Every beat of my life
Splendore del Risorto
A parlare è l’angelo, quello che ha smosso la pietra del sepolcro. Ha pena per Maria, la madre «in muta accettazione del suo stesso pianto». I versi di Roberto Mussapi ci accompagnano in questa Pasqua drammatica e ci suggeriscono di guardare al cielo per operare in terra
Dal mio libro Frammenti dall’esistenza di Maria sentiamo qui le parole di un angelo: non quello che recita tutto la storia, il racconto, quello dell’Annunciazione e che le è accanto.
Questo, ho immaginato, ho visto, è l’angelo potente che rimuove la pietra del sepolcro: ha visto le donne, l’altra Maria… Si sente quasi triste per non avere avuto lei Maria, la madre di Gesù, presa nella gioia del suo bagliore. L’amore dell’angelo è infinito, vorrebbe donarlo fino a estinguerlo, ma la sua natura glielo impedisce: l’amore alimenta incessantemente.
Un altro messaggero, più umile di lui, egli dice (mostrando così la propria assoluta umiltà), può confortare Maria, portarle la gioia, lo splendore della Resurrezione dopo lo strazio del Golgota.
L’angelo che più splende, che ha rimosso la pietra, ha pena di lei, della madre di Cristo…
In questa Pasqua drammatica ho scelto questo angelo, capace di un amore che supera la sua stessa potenza, e di un calore che trascende il suo stesso splendore.
Abbiamo bisogno di aiuti forti, di questi tempi.
Tra cielo terra, si trovano. Guardiamo al cielo e operiamo sulla terra.
Il sepolcro
Io smossi la pietra, ero bianco,
e il mio stesso bagliore abbagliava me stesso
perso in quella luce nel non vederla,
lei, l’altra Maria, non Maria Maddalena,
la Maria senza altro nome, senza niente,
lei che mi avevano detto vista piangere
ai piedi della croce, lì, in un angolo,
raccogliendo le lacrime di madre nel calamo
che come allora stava sorgendo.
Lei, timida, che non aveva osato piangere
nella carneficina e nel tumulto
di chi gridava e flagellava, nel sangue sgorgante,
mite, confusa ai pochi che piangevano,
in un angolo, lontana da loro, condannata
a essere già certa e consapevole
mentre il suo cuore sgorgava lacrime
senza sgomento, senza ripulsa,
in muta accettazione del suo stesso pianto.
Lei già prima e già oltre,
felice come le era stato concesso dall’annuncio,
docile come le era stato scritto dagli astri,
ma sanguinante, dentro, dolcemente, come un agnello.
La mia luce apparve di un bianco insostenibile
solo agli astanti, alle povere donne,
fui io a gonfiarla di orgoglio angelico,
e di gloriosa epifania del risorto:
lui, l’invisibile, colui che era presente in quell’assenza,
il buco vuoto nella pietra per sempre.
Ma in me io ebbi pena nel non scorgerla,
che lei non fosse la prima a vedermi e ascoltare
le mie parole sonanti e incancellabili.
Sapevo che già sapeva, dall’origine,
che era oltre, là, nel suo silenzio,
ma ebbi pena che non fosse a ascoltarmi
e avvolta nel mio bagliore fosse presa
in quella visione che ebbero le altre donne.
Non c’era, lei, come non c’era stata
se non nell’attimo in cui lui crollava
agonizzante in un fiotto di sangue.
Ubiqua, la nostra la natura, non compresente:
non ero dove lei era e dove un altro,
un angelo più umile di me, più debole
stava asciugando le sue lacrime e chino
vedeva il suo sorriso compresente.
Avrei voluto essere al suo posto,
lasciare il mio splendore abbagliante
e il grido e la pietra divelta per sempre
per essere accanto a lei, capire il mistero
di quel sorriso e quel pianto che ancora
nutrivano me e tutti gli altri angeli
d’orgoglio per avere dato soccorso
all’uomo fatto fango e nato polvere
bruciante nell’ossessione di risorgere,
mentre lei, non so in quale angolo,
accanto a una madia, in una zona d’ombra
adagio, in silenzio, riviveva
le doglie in cui lo aveva fatto rinascere.
Roberto Mussapi
Da Frammenti dall’esistenza di Maria