Nicola Bottiglieri
Vivere ai tempi del coronavirus

Nostra Patria casalinga

Da oltre un mese i confini della nostra "patria" si sono ristretti a quelli della nostra stanza: è una rivoluzione enorme per il nostro immaginario. Quasi come quando la De Agostini, più di cento anni fa, inondò l'Italia con le sue cartine geografiche

Nel 1901 nacque a Roma, a pochi metri dalla fontana di Trevi, l’Istituto Geografico De Agostini (trasferito a Novara nel 1908) che ebbe come compito quello di produrre le carte geografiche per tutto il territorio nazionale. Il fondatore di nome Giovanni, fratello di Alberto Maria, esploratore e missionario salesiano nella Terra del Fuoco, ebbe l’intuizione di mettere una carta geografica dell’Italia in ogni aula delle scuole del Regno. Da allora tutti i ragazzi cominciarono a vedere come era fatto il loro Paese, dove si trovasse la capitale, quante erano le regioni, le città, i confini a nord, a sud, est, ovest.

Il profilo dello stivale appeso alle pareti si riempì di immagini quando in ogni casa cominciarono ad arrivare le cartoline illustrate prodotte dai Fratelli Alinari di Firenze che riportavano paesaggi, monumenti, piazze e costumi del “Bel Paese”. Da un lato la foto in bianco e nero, più spesso lucida e colorata, dall’altro l’indirizzo, il francobollo e lo spazio per i saluti, che non dovevano superare le sei parole. Le carte geografiche e le cartoline contribuirono a formare per molti decenni l’immaginario patriottico nazionale, perciò da allora colleziono carte geografiche antiche e cartoline illustrate per ricordarmi quel mondo vintage, prima dell’avvento della televisione che ha scombinato ogni cosa.

1861-2020. Centocinquantanove anni dopo, il primo ministro Giuseppe Conte, il ministro della Sanità Alberto Speranza e il Capo del Dipartimento della Protezione Civile Angelo Borrelli, insieme ad un gruppo di esperti, hanno disegnato una nuova carta geografica del Paese. Dal 10 marzo di quest’anno, quindi da più di un mese, ogni italiano ha una nuova patria con capitale la stanza da letto; come regioni la stanza da pranzo, il tinello, la cucina, lo studio, l’anticamera; come province i mobili, tavoli, sedie, poltrone, armadi, pensili e comodini, mentre le città sono le stoviglie, i paralumi, i mobiletti dei giornali, i tappeti, i quadri ed i vasi per i fiori. I mari saranno i corridoi, le Alpi la porta di casa. La scarpiera è l’enclave sul balcone, equivalente a Campione d’Italia che si trova in territorio svizzero.

Si possono varcare le frontiere di questa patria personale con una auto-certificazione, e solo per recarsi in territori confinanti con i quali da sempre vi siano stati buoni rapporti: a nord il panettiere, a sud la farmacia, ad est il supermercato, ad ovest l’edicola dei giornali. E fra i quattro punti cardinali l’elettricista, il tabaccaio, la toilette per i cani, le ricariche telefoniche ed ora persino le librerie ma solo una volta a settimana, entrando a due a due, con guanti di lattice, mascherina e carta d’identità che dimostri di non essere “anziano”, limite che una volta si misurava dai 75 anni in su, mentre oggi è stato spostato verso il basso di dieci unità, fino a 65, nuova frontiera dell’età matura. Ambasciatore plenipotenziario di questa patria casalinga è mia moglie, che si reca all’estero raramente e solo con precise istruzioni, mentre si aggira furtivo fra regioni e città un terrorista adolescente che vuol far saltare ogni giorno l’assetto territoriale, in nome di una “umanità condivisa” e di un cosmopolitismo scapestrato alimentato da cicche e immagini su Instagram. Non basta il guinzaglio di parole a fermarlo, bisogna adottare misure eccezionali: chiuderlo nella prigione della sua stanza, pagando il provvedimento restrittivo con un extra sulla paghetta settimanale.

Il ruolo dei fratelli Alinari, che riempirono di sogni, viaggi e saluti le antiche famiglie, oggi è svolto dalle cartoline virtuali di facebook che provengono dai 25 monumenti della nostra amicizia: si tratta di foto di torte fatte in casa, zeppole con crema, italiani ai balconi che battono le mani, copertina di libri mai letti, cani di strada, striscioni con scritta “andrà tutto bene”, a cui seguono altri che dicono “andrà tutto a puttane”, cuoricini tricolori sotto “ci abbracceremo presto mamma e papà”, faccine, sticker, selfie ed altro cascame virtuale buttato alla rinfusa nella sacca del mio IPhone 6, giù usato da mia figlia prima che lei comprasse IPhone 11. Indispensabile, a quanto pare, per studiare lontano dalla patria mediterranea a favore di un’altra piena di nebbia e di sbruffoni.

Compagna delle infinite giornate la televisione che da quando è nata impasta da sempre vizi e virtù degli italiani, mentre in questa assurda primavera ripropone le vecchie primizie credendo che il tempo ad esse abbia dato nuovo splendore!

A sera, con le braccia e le gambe aperte come l’uomo di Leonardo disegnato sulla moneta da un euro, nudo, nel mio letto quadrato, circondato dal circolo dei divieti che mi sono stati imposti dalla legge, immagino la ninfa Europa sul dorso del dio Zeus trasformato in toro. Il mito greco racconta che dopo il rapimento l’animale che abitava nel medio-oriente, si diresse furente verso la Grecia e l’Italia, trovando dimora fra le Alpi e le foreste dei Germani, però prima di addormentarmi, penso che oggi il toro oramai ammansito andrebbe verso la Cina, a Wuhan, la regione dove  non vi è più il coronavirus. Avendo perso per strada la ninfa Europa, caduta dietro qualche cespuglio ed oramai smarrita in qualche provincia del mondo. Prima di chiudere gli occhi del tutto, mi domando ancora se Zeus il toro ritornerà indietro a cercarla oppure entrerà in una stalla cinese, oramai placato, contento della tranquillità trovata, sapendo che il virus non è del tutto scomparso, ma che i cinesi con le loro terapie d’urto e medicinali “poco compassionevoli” sapranno in breve estirparlo.

Di notte, quando mi sveglio, guardo la carta geografica dell’Italia appesa in camera da letto e mi chiedo qual è il suo posto nel mondo, qual’ è il mio posto nella casa, e quale sarà la mia casa nel futuro.

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