Ai tempi del Coronavirus
La rivincita della scienza
In queste settimane la cultura umanistica è come attonita e ferma di fronte alle "necessità" della cultura scientifica. Finché un giorno, su una terrazza condominiale, si scopre che anche Thomas Mann è necessario...
La separazione fra cultura scientifica e cultura umanistica oggi ha acquisito aspetti imprevisti. Anzi, con i tempi che corrono, o meglio con i tempi che corrono di notte o sbirciano al di sopra delle mascherine, essa ha svelato la sua irriducibile dualità. Da un lato le speranze di vita, dall’altro la noia, con la sua compagna abituale che è la tristezza.
Infatti, la cultura scientifica si sta organizzando in tutti i laboratori del mondo per salvare l’umanità, mentre la cultura umanistica, si è organizzata in modo spontaneo, individuale e caotico in tutti i salotti del mondo per far passare il tempo. E se gli scienziati “rubano” il tempo per arrivare presto al risultato, gli “umanisti” stanno a casa a “perdere tempo” in attesa del miracolo. Insomma gli scienziati fanno scienza, gli umanisti fanno casino: battono le mani, cantano sui balconi, ascoltano musica a tutto volume, vedono un film o al massimo leggono un libro. Gli scienziati hanno come centro i laboratori, i linguaggi codificati ed i protocolli standardizzati, gli umanisti, al contrario, possono scegliere fra pittura e fotografia, storia e scultura, letteratura e fumetti, teatro e linguaggi affini, senza trascurare il diritto, che pur essendo codificato, i suoi sbalzi di umore li ha pure lui.
E tuttavia, pur se variegata e variopinta, anche la cultura umanistica si deve consumare seguendo istruzioni allegate: l’audiovisivo ha bisogno del buio, la lettura della luce, meglio all’aperto, con il sole e cappellino con visiera, la cui ombra sulla pagina fa riposare gli occhi. Tutto il contrario dei laboratori, con quella luce verdina sempre accesa, fluorescente, fredda, come la carne acquosa delle meduse.
Io sono appassionato di romanzi, con i quali trascorro ore liete fra un film, un telegiornale, una canzone e le telefonate, in entrata ed in uscita. Mi piace leggere tranquillo, godimento impossibile in una casa affollata, dove una precaria pace la puoi trovare solo in bagno o sulla terrazza condominiale. E se nel bagno posso controllare facebook, scrivere post, taggare messaggi, dare consigli o mettere cuoricini alle notizie bizzarre, sulla terrazza posso leggere in pace, respirando l’aria che non sa di sapone.
E così in tenuta antivirus, mascherina, cappellino con visiera, guanti di lattice, mi avventuro fino all’ultimo piano per leggere un romanzo da sempre trascurato ma ora in linea con i tempi: La montagna incantata di Thomas Mann, un volumone di 500 pagine che, se messo sotto il braccio durante una passeggiata, fa sembrare intellettuale anche un analfabeta. La qual cosa avviene appena “entro all’aperto” sulla terrazza, perché la signora del piano terra, sdraiata su un lettino di tela mi chiede, con sguardo circospetto, cosa stia leggendo.
Quando le recito il titolo mi dice «Già l’ho letto». Ed io, di rimando, «E le è piaciuto?». «Non l’ho finito, perché io leggo a letto e tenerlo in mano, davanti agli occhi mi fa venire male ai polsi. Ho visto come finiva leggendo il riassunto su wikipedia… di questi tempi meglio leggere cose più leggere». «Ad esempio?». «Un libro di viaggio». «Il titolo?». «A sud del sud. Un viaggio fino a Capo Horn per recitare l’Infinito di Leopardi…»
Mi allontano pensando che di questi tempi anche la terrazza può diventare un “ermo colle” per chi abita a piano terra.
Vado a leggere il volume che stanca i polsi in un angolo di questa piazzetta sospesa in aria, pensando che uno scienziato mai scambierebbe una terrazza per un “ermo colle”, anzi farebbe distinzione fra una terrazza con “lastrico solare”, ossia con mattonelle, da una “condominiale”, senza mattonelle, chiarendo la differenza fra “balcone” che è parte dell’unità immobiliare, dai “luoghi di disimpegno” che possono anche essere soggetti a “servitù momentanee o perpetue”. Infatti il linguaggio scientifico è preciso e necessario perciò congelato allo stesso tempo.
Penso al grande sforzo fatto dagli scienziati del Settecento per classificare la natura. Uno sforzo immenso, perché la natura è varia e sorprendente. “Classificare” significa vedere il mondo come una biblioteca dove basta capire l’ordine di catalogazione e trovi quello che ti serve. Una idea strepitosa che però ignora quanto il mondo sia caotico, un terremoto può distruggere tutto, un virus può uccidere i bibliotecari, un meteorite ha ucciso tutti i dinosauri della terra… Forse classificare è una scusa per occultare il caos che regna nel mondo.
Quando apro il libro e vengo rapito dalla lettura entro nel gioco della fantasia: il palazzo dove abito diventa la montagna incantata delle Alpi svizzere, la terrazza diventa il sanatorio di Davos, dove i “malati” respirano aria pulita, isolati dal mondo, io sono Castorp che vuole visitare suo cugino Ziemssen, militare di carriera, ospite del sanatorio per tre settimane, dove però resta rinchiuso per sette anni…
Ad un tratto la signora si avvicina, si ferma ad un metro di distanza e mi dice: «A New York i morti li seppelliscono nei parchi della città, in fosse comuni, tanto sono numerosi!».
Nello scendere le scale immagino che uno scalino rappresenti la cultura scientifica e quello successivo la cultura umanistica, io mi diverto a saltellare da uno all’altro, così inciampo e rischio di cadere, poi il pianerottolo, piano, liscio, senza ostacoli, mi rasserena come una pagina del romanzo, fino al prossimo scalino, fino al prossimo inciampo… fino alla prossima pagina di letteratura.