Cucina in quarantena
La ribollita di Chicago
Pellegrino Artusi la chiama la zuppa di magro toscana dei contadini, ma nel mondo è nota come ribollita: una zuppa che ha mille varianti a seconda dei prodotti dei luoghi dove viene preparata. Per esempio, negli Usa...
Sono toscana, anzi, meglio, maremmana. Si sa, noi toscani aspiriamo la c o a seconda dei casi insieme alla g la strascichiamo. “Bocca basciata si rinnuova come fa la luna” scriveva nella novella di Alatiel Boccaccio che già allora aveva capito che per salvarsi dalla peste bisogna fuggire dalla pazza folla, allietando il tempo a nostra disposizione, raccontando e raccontandoci. Sono nata però a Firenze di cui apprezzo, tra molte altre cose, sia l’arguzia dei detti e dei motti che la ribollita. Sì proprio la ribollita: a Firenze si aspira anche la t della” ribollitha” che mia madre, per metà veneta, ma anche lei nata a Firenze, mi ha insegnato.
Pellegrino Artusi nel suo celebre libro di cucina la chiama la zuppa di magro toscana dei contadini perché sembra che risalga al medioevo quando il venerdì le ‘mense’ (i piatti di pane che erano in realtà focacce di pane azzimo, su cui i ricchi appoggiavano la carne) che avanzavano venivano date ai contadini e ai servi che vi univano le verdure di stagione, facendo questa zuppa che mangiavano poi per diversi giorni. Il nome ribollita infatti viene dal fatto che può essere riscaldata in pentola più volte e mangiata anche dopo diversi giorni. È popolare nelle zone del fiorentino, dell’aretino, del pisano e della lucchesia. Ce ne sono perciò diverse varianti, molto simili tra loro, ma con differenti spezie e ortaggi che, a seconda delle zone, si accompagnano tuttavia ai due ingredienti fondamentali e imprescindibili: cavolo nero e fagioli.
Ma io sono anche americana e spesso proprio per mantenere viva la tradizione toscana anche all’estero l’ho cucinata per i miei amici d’oltreoceano. In America il cavolo nero che viene in genere dalla California, si chiama lacinato kale e si trova solo in alcuni supermercati riforniti di verdure e spezie più esotiche come Whole Foods o in certe catene di supermercati italiani o greci che hanno anche ortaggi più ricercati come gli zucchini romaneschi o appunto il cavolo nero.
Ebbene la ribollita è stata per me in almeno due occasioni protagonista di storie curiose.
La prima è avvenuta proprio in un mercato quando ho sentito un gruppo di signore guidato dalla loro insegnante di cucina che spiegava la ricetta della ribollita toscana, Tuscan twice cooked soup. Colta nel vivo di una preparazione che conoscevo bene, quando la signora, dietro di me, nel reparto degli ortaggi, ha parlato di una strana preparazione e di verdure diverse da quelle che, anche in tutte le varianti possibili, fanno parte di questa zuppa prelibata, mi sono girata e, con una naturalezza un po’ sfrontata, le ho detto: «Excuse me, mam, I apologize for my intrusion, but this is not the recipe for the twice cooked soup, at least not the Tuscan one. Ribollita, is made in a different way». Al che lei colta di sorpresa, ma molto presente a se stessa, mi ha immediatamente rilanciato la palla e ha detto: «Well, if this is the case, come and cook it for us. We buy the ingredients you tell us and we see each other tonight at the house of the lady we were planning to go to cook our ribollita dinner. 7 o’ clock sharp». E cosi è stato. Questo accadeva circa venti anni fa e adesso siamo amiche non solo con Naomi che era l’insegnante, ma anche con le altre 3 signore, Jeri, Drina e Lauren che l’accompagnavano e con cui ci vediamo regolarmente.
La seconda storia invece risale anch’essa a circa venti anni fa. E ha a che vedere con la visita di Vittorio e Carla Taviani a Chicago in occasione dell’invito dell’Istituto italiano di cultura per la proiezione del film La notte di San Lorenzo. Insegnavo cinema nel Dipartimento di Lingue e letterature romanze dell’Università dell’Illinois a Chicago e avevo appena proiettato quel film per i miei studenti. Anni prima in Italia avevo trascorso un ultimo dell’anno con Paolo Taviani e sua moglie Lina e, dopo la proiezione del film all’istituto, mi fermai a parlare con Vittorio, ma ricordandomi erroneamente dissi a Vittorio che quella serata di fine d’anno l’avevo passata con lui e Carla. Vidi una certa perplessità, ma non ci feci caso e, presa dall’entusiasmo, li invitai a casa per la sera successiva promettendo loro una ribollita. All’accento toscano, alla promessa di George, mio marito, vicepresidente della Loyola University di una visita dell’università e di una gita panoramica della città di Chicago e soprattutto, come poi mi dissero, al pensiero di una ribollita dopo i molti giorni in cui avevano mangiato schifezze a causa di un tour con diverse tappe anche in altre città americane, non seppero resistere. E cosi ci mettemmo d’accordo per vederci l’indomani per cena. George, che ama la cucina italiana, l’Italia e cucinare, in quel periodo faceva il pane toscano, il pane sciocco o, come si dice a Roma, sciapo. Dovevo subito andare a prendere i fagioli cannellini secchi da mettere a bagno la sera prima. Poi per il resto non sarebbe stato un problema: era fatta. La sera successiva la coppia, dopo che George li aveva portati a fare i giri promessi, arrivò a casa. Avevo preparato piccoli antipasti e avevo aperto per tempo un buon Brunello.
La cena scorse bene, parlammo di tutto: di politica, del cinema italiano, del sistema universitario negli States, della società americana e di molte altre cose. Alla fine della cena detti una piccola lettera che avevo scritto in precedenza nella quale avevo espresso la mia opinione sulla cinematografia dei due fratelli e su quello che significava per me la toscanità di alcuni dei loro film: un paesaggio dell’anima che specie ne La notte di San Lorenzo acquista un particolare sapore poetico. Un omaggio che Vittorio avrebbe potuto leggere in aereo durante il viaggio di ritorno. Per questo gli detti la busta sigillata. Sarebbero infatti partiti il giorno dopo. Al che Carla con un exploit inaspettato quanto improvviso mi chiese di leggerla al momento. Ero un po’ imbarazzata e cercai di tirarmi indietro, ma alla sua insistenza non mi potei rifiutare. Così come un’adolescente che si vergogna e legge in fretta con la testa china le parole che ha di fronte, lo feci. Quando rialzai la testa c’erano nella stanza un silenzio e una commozione talmente palpabili che solo il brindisi proposto da George riuscì a farci superare.
In effetti eravamo fino a quel momento perfetti sconosciuti, ma in quell’attimo ci accomunò, per motivi assai diversi, una forte emozione che aveva a che vedere con la nostra toscanità che quella ribollita sembrava stesse lì a rappresentare. Prima che se ne andassero scherzammo su quella zuppa che ci aveva riunito intorno a un tavolo e riflettere sulla nostra comune identità. Adesso che Vittorio è scomparso mi rimane un ricordo ancora più tenero di quella serata che condivido con Carla sua affettuosa compagna nella vita e nel lavoro.
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Ecco la ricetta della ribollita per 6 persone:
Servono: 340 g di fagioli cannellini messi a bagno la notte prima; 340 g di cavolo nero a cui sono state tolte le costole, tagliato a striscioline; 2 cipolle piccole, 1 spicchio d’aglio, 1 carota piccola, 2 costoline di sedano, 1 mazzetto di prezzemolo tagliati tutti finemente; 6 cucchiai di olio; 2 grandi foglie di bietola; ½ palla di cavolo verza a cui è stata tolta la costola interna, tagliata a striscioline; 2 zucchini tagliati a piccoli pezzi; sale, pepe q.b. e un pizzico di peperoncino; 1 litro di brodo vegetale a basso contenuto di sodio; alcune fette di pane semintegrale toscano sciapo (possibilmente fatto in casa o portato dalla Toscana); olio d’oliva evo per il tavolo; un mazzetto di cipolline fresche tagliate finemente.
Bollire i fagioli con una piccola cipolla e una costola di sedano per 45 minuti a fuoco lento. Quando sono quasi cotti fare un soffritto con cipolla, sedano, carota, prezzemolo e aglio in una pentola da zuppa. Togliere i fagioli dal fuoco e metterli da parte. Quando la cipolla diventa trasparente, dopo pochi minuti, aggiungere il cavolo nero, la verza le bietole e gli zucchini, sale e pepe. Portare a ebollizione il tutto, aggiungendo metà dell’acqua dei fagioli e metà del brodo. Cuocere ancora per 30 minuti e aggiungere l’altro mezzo litro di brodo e metà dei fagioli. Dopo una mezz’ora aggiungere tutta l’acqua dei fagioli e l’altra meta dei fagioli. Far cuocere ancora per 30 minuti, lasciando ancora la zuppa con abbastanza liquido e aspettare che si raffreddi.
Qui c’è una variante: alcuni usano il minipimer per passare la zuppa altri, tra cui io, invece la lasciano nella sua consistenza originale. A voi la scelta. Tostare il pane e (per chi non è intollerante) strofinarci uno spicchio d’aglio. Metterlo sul fondo di una pentola in grado di contenere la zuppa e versarcela sopra. Cuocere fino a che il pane non diventa morbido e poi portare di nuovo ad ebollizione per pochissimo tempo. Mettere la zuppa in una terrina. Servirla immediatamente ricoperta dalle cipolline fresche finemente tritate e con un filo d’olio buono.
La maggior parte delle ricette aggiungono con il soffritto il pomodoro nella forma sia di salsa che di conserva o di pomodorini freschi. Nella mia ricetta invece non ci sono.
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Le immagini sono di Roberto Cavallini