Itinerari virtuali dal divano
Il ritorno di Rembrandt
Appassionante la vicenda dell’autoritratto del pittore olandese, nella vesti di San Paolo, esposto palazzo Corsini, suo luogo di appartenza nella Roma che fu. Brevi video ce lo mostrano sul sito della Galleria, dove resterà fino al 15 giugno
Non possiamo apprezzarla se non con i brevi video nel sito della Galleria Corsini di Roma che surrogano la visita reale, causa coronavirus. Ma forse potremmo farcela, a gustarla di persona, perché resta allestita fino al 15 giugno. E comunque solo a raccontarla, la rassegna inaugurata a fine febbraio, affascina al pari di un romanzo storico. Infatti Rembrandt alla Galleria Corsini: l’Autoritratto come San Paolo non solo espone un affascinante dipinto mai più visto a Roma dal 1799, ma mette in scena nobili e mercanti d’arte, invasori e collezionisti, notai e factotum, in un avvincente intrigo internazionale ricostruito dal curatore della mostra, Alessandro Cosma, attraverso lettere, stime e atti processuali rintracciati nell’Archivio Corsini di San Casciano in Val di Pesa.
28 dicembre 1797, il prologo della vicenda. Il generale francese Mathieu-Leonard Duphot viene ucciso, in un tumulto. È la miccia che presto conduce all’occupazione della città pontificia da parte delle truppe di Parigi e alla nascita della Repubblica Romana. Ne fanno le spese le famiglie nobili, fedelissime al Papa e soprattutto ricche, di beni se non di denaro corrente. Gli invasori impongono tasse capestro. Atterriscono il maestro di casa Corsini, Ludovico Radice, che deve subire le minacce e perfino l’arresto da parte degli esattori perché le casse del principe sono vuote e lui, don Tommaso, si trova in Sicilia. «Se lei non interviene non so come pagar la tassa», scrive al blasonato. E gli prospetta una soluzione: vendere un po’ di quadri a qualcuno dei tanti mercanti stranieri che pullulano in città. «Non intendo assolutamente approvare in verun conto il progetto fattomi», la risposta del principe, al quale erano care le opere accumulate dal cardinal Neri Maria Corsini (tra cui la Salomè di Guido Reni, nella foto, ndr), che le aveva personalmente allestite nella Quadreria del palazzo alla Lungara.
Ma Radice, messo alle strette, si mette d’accordo con il mercante romano Luigi Mirri, che gli offre delle cambiali e il 22 maggio acquista venticinque pezzi della collezione, valutati oltre seimila scudi ma pagati 3.500. Tramonta la Repubblica Romana, don Tommaso rientra a Roma e viene a conoscenza dell’alienazione. In una corsa contro il tempo, prova a fermare l’esportazione dei dipinti. Avvia una causa contro il Mirri e contro l’inglese William Young Ottley, che nel frattempo aveva acquistato alcune delle opere. Il 22 gennaio 1800 le parti in causa raggiungono un accordo. Il principe ricompra dal Mirri i dipinti ancora in suo possesso, tra cui la Salomè di Guido Reni, la Madonna di Murillo, il Ritratto di Giulio II attribuito a Raffaello. Ma è finito già oltremanica quell’Autoritratto di Rembrandt che gli è assai caro: fu acquistato personalmente per cento scudi dal cardinal Neri, quasi un omaggio al padre, il marchese Filippo, testimone della visita fatta nel 1667 dal granduca Cosimo III dei Medici a «Rembrandt pittor famoso».
Così l’Autoritratto – che Maria Neri aveva comprato dalla vedova del direttore dell’Accademia di Francia, il pittore Nicolas Vleughels – passò di mano in mano agli antiquari, da Ottley a Robert Fagan, da James Irvine a William Buchanan, che nel 1807 lo portò oltre Manica. Il nuovo proprietario, Charles Kinnaird, ne accresce il carisma chiedendone una incisione a Charles Turner. Ancora un passaggio di proprietà, nel 1936, ai coniugi de Brujn. Che lo lasciano con disposizione testamentaria al Rijksmuseum di Amsterdam, dal quale è tornato per la mostra a palazzo Corsini. L’allestimento lo ha posto proprio di fronte al recuperato ritratto di Giulio II, mentre esattamente dove Tommaso li ricollocò sono ancora la Salomè, la Madonna di Murillo, il ritratto del Cardinal Savelli di Scipione Pulzone. Ed è contornato, l’Autoritratto, da una strepitosa serie di incisioni dello stesso Rembrandt, presenti anche esse in massa – erano duecento – nella collezione Corsini, poi andata nell’omonimo fondo dell’Istituto Centrale per la Grafica. Testimoniano l’interesse che i principi toscani ebbero per l’olandese, ornando con le stampe la loro Biblioteca, tra le più prestigiose che esistano a Roma, rimasta tal qual era nel palazzo della Lungara, sede della Galleria Nazionale di Arte Antica insieme con Palazzo Barberini.
Emozionano l’Ecce Homo (nella foto) e la Morte della Vergine, con originalissime scelte iconografiche, nonché Tre alberi, raro paesaggio in acquaforte che si affianca a violenti tratti a puntasecca per raffigurare la pioggia; sorprende la “stampa dei cento fiorini”, così detta per il prezzo esorbitante che richiese il pittore di Leida; intrigano gi autoritratti, una fissazione con la quale Rembrandt promuoveva se stesso arrivando a crearne almeno ottanta. Ed eccolo appunto nelle vesti di San Paolo, oggetto principale e prezioso della mostra, l’unico nel quale l’artista si raffigura come figura biblica, peraltro intesa come punto di riferimento dai protestanti, qual erano il suo primo proprietario, il banchiere Jabach, e Rembrandt stesso. Un’opera della vecchiaia – è datato 1661, sette anni prima della morte del suo autore ad Amsterdam – nella quale dense pennellate rifiniscono il volto scavato da rughe e il turbante, mentre il resto del corpo, con i simboli di Paolo come la spada che lo uccise e il volume delle Epistole, resta poco rifinito, insieme alla finestra sullo sfondo scuro, che allude al carcere ed è emersa grazie al recente restauro.
Il Cardinal Corsini lo sistemò vicino a una porta, inserendolo nell’inventario del 1751. Una saletta attigua all’allestimento conserva i documenti relativi alla sua storia, dall’acquisto alla sparizione. È nell’elenco dei venticinque dipinti stilato dal maestro di casa, ciascuno con accanto il prezzo di vendita spuntato dall’abile mercante romano. Ed è citato negli atti del successivo disperato processo avviato dal principe Tommaso. Che non vide tornare neanche la Visione di Sant’Agostino di Garofalo, oggi alla National Gallery di Londra, né Il sacrificio di Noè, attribuito al Poussin, oggi a Tatton Park.
Allora palpitano ancor più di pathos le stanze della Galleria Corsini, tanto evocative della Roma che fu.