“Cartoline da Lesbo” di Allegra Salvini
Cronache da un approdo
Un libro che tutti dovremmo leggere. Un diario tenuto nel 2018, lungo cinque mesi trascorsi da una giovane volontaria Ong nell’isola greca che accoglie nel campo di Moria 21 mila rifugiati. Con fermezza di indagine e con uno sguardo fresco e consapevole del mondo come dovrebbe essere
«Al momento sull’isola di Lesbo ci sono oltre 21.000 tra migranti, richiedenti asilo e rifugiati. Soltanto a Moria ci sono quasi ventimila persone, in un campo che ha una capacità di meno di tremila. In seguito alle misure di contenimento del virus covid-19, vi è stato limitato l’accesso a tutti coloro che non esercitano attività strettamente necessarie (come manutenzione, sicurezza, distribuzione pasti…). Il governo greco ha poi limitato la circolazione di rifugiati e migranti al di fuori dei campi e ha ordinato la preparazione di strutture speciali per trattare i casi confermati al loro interno. In ogni caso, il sovraffollamento e la mancanza di attrezzature mediche protettive renderà molto difficile contenere la diffusione di Covid-19, quando e se arriverà». È la “cartolina da Lesbo” appena inviata a Succedeoggi da Allegra Salvini, la volontaria Ong che per cinque mesi – dal febbraio al luglio 2018 – ha lavorato nell’isola greca fino a tre anni prima considerata paradiso per i turisti. Dal 2015 infatti è diventata la terra dell’attesa per centinaia di migliaia di uomini, donne, bambini in fuga dal Medio Oriente e dall’Africa con un unico miraggio: l’approdo in Europa.
Allegra Salvini aveva ventidue anni quando ha scelto di andare a Lesbo. Si era appena laureata in Scienze politiche a Firenze, con una tesi sull’accordo Ue-Turchia per il contenimento dei rifugiati. Convinta europeista, voleva sperimentare sul campo quello che aveva scritto. Sarebbe dovuta restare nel lembo di terra di fronte alle coste turche soltanto un mese. Ha dilatato cinque volte quel tempo, assistendo passo passo i “rifugiati” (chiama così sia quelli veri e propri che i richiedenti asilo): dal loro sbarco all’arrivo nelle tende del campo di Moria ai rapporti con le autorità per sbloccare la loro sosta forzata e trovare un varco per l’Europa agognata, quasi che il territorio greco raggiunto fosse ancora un infido limbo. E infatti tale le si è mostrato. Così ha presto cominciato a riversare in una sorta di diario settimanale quanto stava vedendo: appunto le Cartoline da Lesbo pubblicate ogni sette giorni dall’aprile al luglio 2018 su La Repubblica.it e ora diventate un libro con lo stesso titolo (Clichy Edizioni, 142 pagine, 15 euro).
Un libro che tutti – cittadini del Vecchio Continente – dovremmo leggere per dare una consistenza geopolitica e umana alla figura (che ci rimane sfocata) del profugo. E per comprendere gli spietati meccanismi dell’Europa, del resto quanto mai evidenti in questi giorni, mentre l’emergenza coronavirus squaderna egoismi, contraddizioni, contrapposizioni tra Stato e Stato. Attraverso la lente di Lesbo l’Europa appare ad Allegra «simbolo di incompiutezza, anzi di grave colpa politica», anticipa nella prefazione Maria Cristina Carratù, giornalista di La Repubblica. Il perché lo spiega l’autrice. Lesbo divenne dal 2015 punto di passaggio obbligato per tutti i richiedenti asilo in fuga specie dalla guerra civile in Siria, ma anche dall’Iraq e dall’Afghanistan. Chiedevano di andare soprattutto in Germania, un anelito accolto da Angela Merkel dopo il ritrovamento straziante sulla spiaggia del corpicino senza vita di Aylan, il bambino morto durante la traversata, rilanciato dalle immagini tv in tutto il mondo.
Attraversa così l’Egeo un milione di persone. Ma già nel 2016 Slovenia, Croazia, Serbia e soprattutto Macedonia chiudono le frontiere, bloccando di fatto in Grecia i rifugiati. Per allentare la pressione su Atene, l’Ue stringe un accordo con la Turchia: verserà a Erdogan sei miliardi per sgomberare dalla Grecia, rimpatriandola, quella massa umana; oppure per tenerla in Turchia, impegnandosi comunque a bloccare la partenza di irregolari dalle sue coste. Così Lesbo, Chios e Samos diventano non luoghi di transito ma di permanenza, perché i rifugiati possono andare in Grecia continentale solo dopo l’ok alla domanda di asilo. Che arriva dopo mesi o anche anni. Rimangono così bloccati un tempo indefinito nel campo di Moria, che nell’estate 2018 contava novemila persone in tenda quando ne poteva contenere tremila e che ora ne ha ventimila – come ci ha aggiornato la Salvini – di uomini, donne, bambini assiepati. D’inverno si muore di freddo, d’estate di caldo, la promiscuità tra etnie genera risse. Per non parlare delle malattie.
È vero che per un certo periodo gli sbarchi diminuirono – annota l’autrice nell’introduzione alle sue Cartoline. Avvenne proprio per la consapevolezza da parte dei profughi delle difficoltà di ricollocamento. L’Ue fu accusata di “deterrenza” e da parte sua credette che l’accordo con Turchia funzionasse. In realtà era solo un trasferimento di responsabilità allo spregiudicato Erdogan. Perché non è stato omologato dal Consiglio Europeo, ma è stato soltanto il frutto di un’intesa intergovernativa tra i singoli 28 Stati, ciascuno dei quali ha fatto prevalere il proprio “volere particolare”. Dunque, nota Allegra Salvini, «è proprio l’assenza di un’UE compatta e solidale che ha reso la situazione ancora più critica».
Ecco allora il reificarsi delle falle dell’accordo sulla viva pelle dei fuggitivi. Ecco, appunto, i protagonisti delle storie di Allegra. E non sono solo Cartoline drammatiche, la volontaria ha registrato anche i momenti in cui si è esultato per uno straccio di speranza, cantato, riso, mettendo da parte le diffidenze generate dall’estraneità. Come quella sera del 4 maggio nel teatro di Mitilene. S’era messo su uno spettacolo all’insegna della festosa improvvisazione. Nel quale le parole avevano un’eco in cinque lingue: greco, inglese, arabo, francese, farsi. Tutti erano arrivati vestiti a festa per quel che potevano, i profughi, i volontari delle Ong, le famiglie di Lesbo. Mahabharabbit, il titolo, il nome inventato del protagonista, una sorta di Gianconiglio che deve ripulire il mare dai rifiuti. I bambini si fanno voci bianche, suona la tromba Maria, l’avvocatessa dei rifugiati, danzano le greche, schioccano la lingua tutti gli altri mentre una rete-mongolfiera cala dall’alto…
Già, i rifiuti. Pulire la spiaggia dagli involucri di plastica con i quali chi affronta il mare sul gommone protegge il cellulare durante la traversata e che nell’entusiasmo dell’approdo, nella frenesia dei selfie, getta sulla riva, è il compito finale dei volontari al termine del turno di guardia notturno. Allegra racconta quello che avviene durante le otto ore sulla spiaggia, dalla mezzanotte alle otto del mattino successivo. Il caffè prima di uscire dal suo alloggio, le tavolette di cioccolata messe in tasca, il fagotto con i calzini e le coperte per rifornire quanti – bagnati, infreddoliti – toccano terra. Partono da Izmir intorno alle due di notte, in genere. E loro, i volontari, a spiare il mare nero, a tendere l’orecchio per captare voci, richiami. Quella notte del suo turno era passata tranquilla, ma ecco proprio dopo l’alba due sbarchi. Un’umanità terrorizzata alla quale correre incontro, «sessantuno persone su un gommone di quelli arancioni che si comprano nelle edicole o agli empori prima di arrivare in spiaggia, con quattro-cinque assi di legno usate come base».
Uno di quegli approdi portò anche uno squarcio di gioia per Yusuf, del quale Allegra aveva raccolto il racconto. Ventisette anni, lavoratore, studente, marito, padre di tre figli. In Siria gli mancano tre esami per laurearsi in letteratura inglese quando scoppia la guerra civile. Cominciano a pressarlo, deve scegliere da che parte stare, con i lealisti o con i ribelli. Nel 2017 si convince ad andar via, con la famiglia. Da Derr-El Zor a Raqqa, dove decide di raggiungere la Turchia da solo. Per dieci volte tenta la traversata, paga seicento dollari agli scafisti, che a molti chiedono se sanno nuotare perché se i turchi li intercettano devono tornare a riva a forza di bracciate… Arriva a Istanbul, altri cinque tentativi andati a vuoto per raggiungere la Grecia. Alla fine paga 400 dollari un posto sul gommone grande e tocca Lesbo. Cinque mesi in tenda a Moria, stipato con altri uomini talvolta ostili, liti e angoscia. Infine quella notte, lo sbarco della sua donna con i tre bambini, la famiglia riunita in un’altra tenda.
Le altre facce sono quelle di Samer, 28 anni, iracheno, laureato in filosofia, una libreria ereditata dal nonno pure filosofo e che i fondamentalisti lo hanno costretto a chiudere con minacce e poi con sevizie perché vendeva “libri atei”. O quella di Dino, statunitense di Boston, trasformatosi da turista a volontario, che raduna ogni mattina duemila persone, di ogni età ed etnia, alle quali regala la sua lezione di yoga, «perché yoga è speranza». O quella di Niki, che si è inventato “HottSpott”, il baretto aperto ai rifugiati.
Allegra Salvini li ha tutti scolpiti nel cuore. E tornata a casa, a Firenze, ce li ha restituiti con la freschezza e la fermezza della sua indagine.