Cronache dal balcone
Bella ciao al balcone
Breve storia di un minuto: sabato 25 aprile, alle 15, puntuale, parte il canto della Liberazione. Qualche voce prima stentata poi stentorea si aggiunge. Finché l'ultima parola si strozza in gola. Senza un po' di fiato che la spinga fuori
All’ora di pranzo del 25 aprile – mentre sto friggendo pesci surgelati e impanati, che sono un cibo da quarantena dopo che ti sei stufato ogni giorno di pensare in anticipo a cosa preparare per pranzo per mangiare sano, e hai aperto la finestra della cucina per evitare che tutta casa si impregni dell’odore di fritto – sale, dalla terrazza del primo piano, una Bella ciao cantata con intonazione incerta da una flebile vocina accompagnata da un banjo.
I giovincelli del primo piano con quelle espressioni da Spritz Aperol, evidentemente contano tra i loro membri una timida cantante, un po’ Manu Chao e un po’ scuola popolare di musica che, nell’assoluto silenzio della strada, fa tenerezza e fa piacere.
Mi affaccio per vedere la scena, ma lo spettacolo finisce quasi subito, i nananà sostituiscono le parole, le sigarette sono mozziconi in un portacenere stracolmo e…tutti dentro.
Torno alle croccole.
L’appuntamento canoro ufficiale dell’ANPI, è per le 15, tutti a cantare Bella Ciao dai balconi. Anch’io sono presente, seduto su una vecchia sedia da regista a prendere il sole mentre parlo al telefono.
Sono le 15 in punto, parte timidamente un’anziana signora dalla finestra di un palazzo alla mia destra, riparata da una tenda e dalla bandiera che non ha il coraggio di sventolare, nessun’altra voce si leva e allora sento in me il dovere e la responsabilità di dar vigore alla resistenza canora, saluto l’interlocutrice telefonica e con una voce tenorile sempre più forte, da far invidia a Pavarotti e sconosciuta anche a me stesso, intono Bella ciao.
Sono orgoglioso della mia potenza vocale, la strada rimbomba di bella ciao, ciao, ciao, da un balcone alla mia sinistra si affaccia una coppia con chitarra, dai terrazzi condominiali di fronte altre teste spuntano, la signora del secondo piano esce in balcone ma si sporge con misura, qualche altra voce si aggiunge alla mia, trascino la resistenza canora, all’incrocio tra via Duchessa di Galliera e via di Val Tellina, ma arrivato a «questo è il fiore del partigiano» mi sento un groppo in gola, non ce la faccio più, Pavarotti non c’è più, rientro in casa, mi vergogno da morire, anche le altre voci si spengono.
Tutto finito? Così, in un niente, dopo neanche tre strofe?
Neanche per sogno, dalla stradina accanto, un gruppo di giovani voci femminili, chiare, forti, intonate, accompagnate da una chitarra dal ritmo sicuro, raccoglie il fiore del partigiano, la resistenza continua.