Lidia Lombardi
Lo scaffale degli editori

Storie dal paesaggio

Rocco Familiari, Loris Giuriatti, Cristina Rava: tre narratori affidano alla pagina storia in cui il paesaggio diventa il personaggio centrale. Che siano la terra calabrese, il monte Grappa o le colline piemontesi

L’atmosfera locale, lo sfondo naturale o cittadino sono spesso il condimento della narrativa, non la carne, la pasta, il pesce, ovvero l’ingrediente principale. Ma parecchie volte la cornice, o meglio – per così dire – il “villaggio” permeano la narrazione, permettono lo sviluppo, la logica del plot. Insomma, il paesaggio è anch’esso personaggio.

Accade nella bella serie di racconti di Rocco Familiari, scrittore e drammaturgo, nonché fondatore, era il 1976, del Festival internazionale del Teatro di Taormina. In Donna Brigantia e altre storie (Marsilio, 249 pagine, 16 euro) la cornice-dramatis personae è un paesino calabrese incastonato nell’Aspromonte. Fuori dal mondo, tanto più che le vicende si svolgono nel secondo dopoguerra, una civiltà che ci appare “preistorica”. Ma uomini e donne che vi si muovono – ciascuno protagonista di una novella – sono anche tipi universali, incarnando ciascuno fierezza o furbizia, sensualità o vanagloria, ingegno o rozzezza. Tipi cristallizzati nel loro soprannome, a segnarne il tratto predominante.

Donna Brigantia, per esempio: ha una osteria dove arriva gente di ogni risma e tiene testa a tutti, con il suo fisico imponente e ferino, “statuaria, leonina, puttana, un metro e ottanta di donna, scolpita nella carne come fosse pietra”. I racconti di Familiari non hanno articolato plot, all’autore basta ritagliare il personaggio, e forse qui sta il limite della raccolta. Ma questi calabresi d’altri tempi gli devono una vitalità tale che pare escano dalla pagina. Come il priapesco Arzabandera, così chiamato per quel suo sesso sempre dritto, perfino nella bara da morto. O come quella ragazza dai seni tanto sodi da beccarsi l’epiteto di “Minni i’ petra”, concupita da tutti i coetanei, dei quali – nell’ironia del racconto – riuscirà a farsi beffe. Ecco il pirandelliano geloso ad oltranza de “Il cornuto postumo”, che reclude la moglie in casa subito dopo averla sposata ma muore anzitempo e subisce una vendetta postuma da parte della sposa, che si porterà a letto decine di amanti subito dopo che lui è passato a miglior vita. Ed ecco il meccanico del paese, Cacasuci, fior di intelletto capace di aggiustare tutte le poche vetture in circolazione nei magri anni Quaranta/Cinquanta facendo lui, al tornio, i pezzi di ricambio. E addirittura di trasformare la sua vecchia Millecento in una “ruggente supercompresssa” capace di sfidare la Lancia Aurelia B20 di un giovane avvocato, in una temeraria corsa rimasta negli annali del paese. Familiari avvolge i caratteri con una lingua rapida e colta, erotica ed energica. E ci culla in un tempo perduto, che sta dilapidando quanti se ne ricordano.

Dal secondo dopoguerra agli eroi della Grande Guerra, eroi senza nome che andarono a combattere dalle più lontane regioni dell’Italia da poco unita nelle terre prossime al confine nord-orientale, da difendere a morsi di vita. L’Angelo del Grappa (Rizzoli, 174 pagine, 15 euro) è un romanzo-missione per il suo autore, Loris Giuriatti, che scrive, insegna e accompagna i visitatori del Monte Grappa in percorsi dedicati alla Grande Guerra. Il libro ha avuto un exploit inatteso: autopubblicato nel 2013, è diventato in poco tempo un caso editoriale locale e ora torna in libreria con un prestigioso marchio e in una edizione arricchita anche da una postfazione che ricostruisce la biografia del protagonista implicito della vicenda, un carrettiere sardo classe 1898 partito per il fronte e morto a diciannove anni sul monte Grappa. Viene ritrovato qui il suo diario, che il destino fa finire nelle mani di un ragazzo malvolentieri in vacanza tra le isolate montagne. Angelo, così si chiama, passa dall’iniziale disinteresse alla ricerca dei luoghi dove il soldatino di Sorso è passato con il suo fucile in spalla. E con la guida di un ricercatore impara ad ascoltare le voce della montagna e soprattutto in quello della Storia, vivida proprio mentre è lontano dai banchi di scuola.

Dal Nord Est al Nord Ovest d’Italia, dal romanzo di formazione al giallo. È il Piemonte (e una fetta di Liguria) il paesaggio-personaggio di I segreti del professore di Cristina Rava (Rizzoli, 380 pagine, 19 euro). Torna sulla scena delle Langhe il commissario Rebaudengo, che dalla sua Ceva – dove le massaie fanno la marmellata di puciu e i brasati con il Dolcetto – si sposta nella raffinata e sonnecchiante Acqui Terme, il cui fascino “si nasconde soprattutto sotto gli scuri di legno delle antiche vetrine”, e fino alla modaiola Alassio. Qui, sul lungomare davanti alla scogliera dei pescatori, viene ritrovato il cadavere di una cinquantenne attivista ecologista. Il poliziotto è un ex, ora scrive romanzi noir ma volentieri si rimette in gioco con una sua sotterranea fiamma, il medico legale Ardelia, che vive ad Albenga. Protagonisti e comprimari, attori dell’intrico delittuoso, hanno in comune una flemma tipicamente piemontese, declinata nelle varie sfumature di malinconia, razionalità, cortesia perbenista, imperativo morale, sullo sfondo di cieli pallidi di fine inverno e di colline verde tenero. Anche in questo caso la cornice è pure la cifra della narrazione.

Facebooktwitterlinkedin