Cronache dall’Italia sospesa
L’usignuolo di Quasimodo
Un piccolo giardino a Milano, nel quartiere che ricorda le gloriose Cinque Giornate e dove abitavano partigiani. Luoghi abituati alla resistenza: come quella di una quieta bimba dirimpettaia o di un uccellino che all’alba rassicura col suo canto puntuale
Immagini di Roberto Cavallini
Ho vissuto a Roma negli anni più spensierati e belli, gli anni dell’università, delle lezioni all’accademia, delle visite domenicali ai musei – ogni domenica una sala, o un museo diverso – degli incontri con gli amici a piazza Barberini o a Campo de’ Fiori, dove abitava Mara. Poi sono venuta ad abitare a Milano, e dei primi giorni in questa città ricordo le passeggiate nelle strade del centro, che mi sembrò subito troppo piccolo, riuscivo ad attraversarlo tutto a piedi in poche ore. Nelle strade romane con i bei palazzi rinascimentali i numeri civici superano ampiamente il cento, via del Corso arriva oltre il numero 500; a Milano Corso Buenos Aires, uno dei più lunghi, arriva a 60. Poi i palazzi di Milano, quelli antichi e belli, sono schiacciati tra quelli costruiti negli anni 70, che non mi ispirano a camminare col naso in su. A Roma invece vivevo nella bellezza anche andando per strada, e per un pittore la bellezza è vitale, è l’aria da respirare.
A Milano la coltre grigia del cielo di pianura ricopre anche d’estate i colori delle cose e della natura. Persino i fili d’erba appena nati in questi giorni tra le aiuole, non sono davvero verdi, sono grigio-verde. Fidatevi, è proprio così. Infatti giro sempre con un paio di occhiali polarizzati, che migliorano la percezione dei colori, soprattutto i blu e i rossi. Sono la mia droga, non posso più farne a meno, soprattutto quando non sono di buon umore.
Una cosa che amo della mia casa di Milano è che, pur essendo in centro, ha un piccolo giardino, più un campo da bocce come proporzioni, due metri e mezzo che si allungano per tredici metri fino al muro del cortile. Ho tagliato prospetticamente la lunghezza costruendo delle “quinte”, il sostegno di bambù della rosa, alcuni grandi vasi a destra e a sinistra, simmetrici, e la vasca con il papiro e la statua di Buddha a pelo d’acqua, in fondo. Questo finto giardino giapponese piace molto agli uccelli, che non lo trovano affatto kitsch. All’alba canta sempre un’allodola (dico io) o un usignuolo (sostiene mio marito), e il pettirosso viene a mangiare le briciole di panettone o di biscotti al burro a mezzo metro da me che lo guardo beata.
Il mio quartiere è intitolato ai numerosi risorgimentali che hanno cacciato gli austriaci da Milano e che hanno costruito le barricate coi letti e i materassi a piazza Cinque Giornate, poco distante. Abito in via Mameli, vicino ci sono via Pisacane, Via Menotti, piazza Tricolore, eccetera. Nello stesso quartiere abitavano molti partigiani, come testimoniano le tante lapidi sulle case. Il mio quartiere ha una vocazione resistente, non c’è dubbio.
In questi giorni di isolamento, di assedio nelle nostre stesse case, e prima che in tutta Italia, vedo dal balcone i pochi passanti che camminano velocemente fino all’edicola o che fanno la fila, pazienti, lontani più di un metro l’uno dall’altro, per fare la spesa e tornare a casa in fretta. Vedo il naso di Beatrice, la ragazzina di fronte, schiacciato contro il vetro della finestra. È un po’ triste, ma non fa i capricci per uscire. È paziente, responsabile e soprattutto resistente, come la maggior parte dei milanesi. Gioca alla Play, ritaglia figurine, cucina biscotti, disegna, si annoia. Ma resiste, e aspetta di poter tornare a scuola e rivedere gli amici.
Mi viene in mente una poesia di Salvatore Quasimodo, Milano Agosto 1943: il rombo di un ultimo aereo si allontana dai Navigli dopo un bombardamento, e sulla città morta scende la polvere e il silenzio, «e l’usignuolo / è caduto dall’antenna, alta sul convento, / dove cantava prima del tramonto». Ma stamattina, all’alba, l’usignuolo (o è un’allodola?) del nostro giardino cantava ancora, come tutte le mattine, ed è stato un piacere ancora più grande svegliarsi un po’ per ricordare dove ero e in quale strana e assurda situazione mi trovavo, per riaddormentarmi serena: le sentinelle partigiane e resistenti del quartiere, la piccola Beatrice e il nostro uccellino dell’alba, proteggevano le nostre spalle.