Cucina in quarantena
La caponatina di nonna Smeralda
«Mia nonna preparava una caponatina fantastica, ce la faceva trovare nella casa di Palazzolo nella penombra, coperta da un retino per proteggerla dalle mosche. Non so se la ricetta sia quella di Palazzolo o quella tripolina, però io la faccio così...»
Mia nonna puzzava di beccume, di carne andata a male; seduta sulla sua poltrona, gli occhiali a fondo di bottiglia, il sudore le colava sulle tempie e sui baffi anche d’inverno. Le rughe olivastre le si aprivano sempre di più, mentre faceva solitari dalle regole incomprensibili sul tavolo di vetro con il centrino all’uncinetto. Poi ho capito che barava, l’ho capito da mia madre che adesso fa la stessa cosa.
Mia nonna parlava una lingua strana, storpiava tutti i nomi: i numeri di telefono che brillavano di notte diventavano effervescenti, la TV privata Teleinternational diventava Telemesc e il Presidente della Repubblica Pertini veniva ribattezzato Peppino, senza alcuna carica onorifica perché mia nonna era fascista. Conservava con cura una foto del Duce, fez e cavallo bianco, che attraversava la strada di Tripoli con una scimitarra regalatagli dagli arabi.
Mia nonna aveva un altarino pieno di luci lampeggianti sul ripiano di marmo del comò in camera da letto: si illuminavano nell’oscurità la Madonna delle Lacrime, Santa Lucia e Sant’Antonio. Al Santo di Padova lei era particolarmente devota, era abbonata al Messaggero di Sant’Antonio e collezionava le figurine dei Santi.
Con i santini, io ci costruivo storie di passione e abiezione: il mio preferito era San Sebastiano, che pareva una fimmina. A Palazzolo Acreide, il dieci di agosto, gli facevano una festa bellissima, sparando bumme e ‘nzareddi; il Santo usciva portato a spalla lungo una scalinata barocca ripidissima in una nuvola di fumo e fiamme: ogni volta scoppiava un incendio e i pompieri dovevano intervenire con gli idranti. Quando il Santo attraversava il paese, i devoti gli appiccicavano carte da diecimila e da cinquantamila e gli esponevano i neonati nudi perché li benedicesse. Mia nonna si affacciava al balcone e gli faceva le corna. Mamzer, zachenne, gli diceva, pedeinteraste, finuocch.
Mia nonna non mangiava né latte né formaggi, vomitava anche se c’era un po’ di parmigiano nelle polpette. Non mangiava neanche carne di maiale.
Mia nonna si chiamava Smeralda, perché il giorno della sua nascita suo padre Shlomo, setacciando le acque del Ki’am, trovò degli smeraldi mischiati alla polvere d’oro.
Mia nonna era un’ebrea tripolina, che si era dovuta convertire perché era incinta di mia madre.
Mia nonna preparava una caponatina fantastica, ce la faceva trovare nella casa di Palazzolo nella penombra, coperta da un retino per proteggerla dalle mosche. Non so se la ricetta sia quella di Palazzolo o quella tripolina, però io la faccio così.
Servono (per una razione base, ma la caponatina più se ne fa, più è buona):
Due melanzane nere e tonde.
Due peperoni (uno rosso e uno giallo – il colore è importante).
Un gambo di sedano.
Un pugnetto di capperi sottosale (il più piccoli possibile, i capperi più sono piccoli più sono pregiati, raccolti appena formati da muri di calcare).
Dieci olive verdi grosse (meglio quelle di Castelvetrano, l’importante è che siano dolci. Vanno bene anche denocciolate).
Mezza cipolla grossa e rossa (meglio se di Tropea).
Una tazzina di salsa di pomodoro bella tirata con aglio, sale e basilico.
Olio d’oliva e olio di vinacciolo (o di semi d’arachide).
Un bicchiere di aceto di mele (o bianco).
Un cucchiaio raso di zucchero di canna.
Un pugno di mandorle.
Sale, se necessario.
Per fare la caponatina, servono tempo e pazienza, quindi è proprio adatta ai giorni di quarantena.
Prima di tutto tagliate i peperoni a listarelle e le melanzane a cubetti (per carità, non vi azzardate a sbucciarle): io lo facevo fare a mia figlia da bambina, così passavamo tempo assieme. Se non avete minori da sfruttare, usate una mandolina. I cubetti non devono superare 1 cm di lato né essere inferiori a mezzo centimetro.
Scaldate l’olio di vinacciolo in una wok (se ce l’avete) e friggete prima di tutto i peperoni. Metteteli a scolare (io uso un’asparagera di metallo). Friggete poi le melanzane finché non iniziano a scurirsi e mettetele a scolare. N.B.: chi tenta la variante al forno, rischia la scomunica da parte di nonna Smeralda.
Dissalate i capperi; tagliate il sedano a rondelle (consigliabile anche qui mano minorile) e sbollentatelo per cinque minuti; se necessario, dissalate le olive e tagliatele a dischetti.
In una padella ben capiente scaldate l’olio d’oliva e grattugiate la mezza cipolla rossa: quando sarà imbiondita, aggiungete la salsa di pomodoro e poi tutte le verdure. Dopo pochi minuti, spargete lo zucchero e irrorate con l’aceto. Regolate di sale e di zucchero per raggiungere il punto di agrodolce che vi aggrada. Fate cuocere a fiamma bassissima finché l’aceto non sarà assorbito del tutto.
Quando la caponatina sarà pronta, lasciatela riposare per almeno una notte in un’insalatiera di vetro (il variopinto colpo d’occhio è un atout da giocarsi sempre).
Il giorno dopo, tostate le mandorle e frantumatele con il frullatore. Andranno sparse sulla caponatina appena prima di mangiarla, assieme, se di stagione, a basilico e menta freschi.
La caponatina va servita come antipasto e, prima di servirla, fate le corna e ripetete: mamzer, zachenne, pedeinteraste, finuocch. Nonna Smeralda ve ne sarà grata.
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Le immagini sono di Roberto Cavallini