Giuliano Capecelatro
Riflessioni in margine al virus

L’Io e l’Apocalisse

La lotta fra pattuglie aggressive di Io e un esercito di Altri sotto forma di nemici da abbattere si radicalizza nel terrore dell'infezione. Ma, forse, l'apocalisse che stiamo vivendo può essere una rivelazione...

Giambattista Vico non avrebbe il minimo dubbio. Traversia, certo; come negarlo? È atroce, giorno dopo giorno, la conta dei morti; è terribile, giorno dopo giorno, osservare la curva ascendente degli infetti, il suo allargarsi a macchia d’olio quasi in ogni angolo del globo. Ma come ogni traversia che si rispetti, anche il Covid-19, o Coronavirus che dir si voglia, per blasfemo che possa apparire, contiene dialetticamente nel suo seno un’opportunità da cogliere.

Al di là delle cronache cliniche, l’effetto più immediato della pandemia nella vita quotidiana è aver posto in risalto l’Altro. Il timore, più che giustificato, del contagio ha decretato la necessità dell’isolamento, del rinchiudersi nel proprio orticello, dell’evitare contatti a difesa della propria persona. Chi esce cammina circospetto, guarda con apprensione e sospetto gli altri passanti, attento a non avvicinarsi, né farli avvicinare, al di là della distanza di sicurezza: un metro (ma gli estremisti sostengono almeno quattro).

Le mascherine potenziano l’effetto; quei visi coperti, irriconoscibili, affondano nell’ignoto, assumono un carattere di minaccia. Gli altri, l’Altro, tutte quelle esistenze che si situano al di fuori del nostro breve corpo, sono potenziali portatori e trasmettitori di virus, pistole puntate contro la nostra salute. La figura dell’Altro si configura e consolida come estraneo; fomite di diffidenza continua; sino a poter essere individuato addirittura come nemico.

Si è ripreso a parlare, in queste ore grame, di un libro scritto quasi due secoli fa, come se fosse un bestseller fresco di stampa: I Promessi sposi, dove il nodo Io-Altro, nel quadro di una devastante epidemia di peste, è centrale. Nella compagine dei malvagi, gli alfieri dell’Io senza freni, Alessandro Manzoni (recuperato alle ragioni di santa madre chiesa dopo una giovinezza scapestrata) arruola e mette in primo piano don Rodrigo. La morale del signorotto si può riassumere, in soldoni, nella fulminante apostrofe del marchese del Grillo: “io so’ io…”, con quel che segue.

Forte di questo assioma, don Rodrigo persegue i suoi scopi. Che prescindono in modo assoluto dai diritti degli altri, dell’Altro; se necessario, ne fanno strame. Desidera svagarsi in uno ius primae noctis con Lucia, promessa a Renzo Tramaglino, non per effettiva concupiscenza carnale – Lucia, ammette lo scrittore, non si può dire proprio una bellezza –, ma unicamente perché così gli gira. Per affermare se stesso e il suo potere, l’ “io so’ io…”, con quel che segue.

Don Lisander, per quanto cattolico osservante, non ce la fa ad assolverlo dai suoi peccati; lava l’onore offeso dei nubendi e condanna Rodrigo, come anche il suo braccio armato, il Griso, a morte ignominiosa, come ignominiosamente ha vissuto. Attenua il verdetto con il perdono cristiano del sempliciotto Renzo, sotto gli occhi caritatevoli di fra’ Cristoforo (proiezione dell’autore). La divina Provvidenza ha risolto da par suo una situazione che sembrava destinata a un finale scabroso e iniquo. Ha calpestato l’Io arrogante e fatto prevalere, dopo non poche tribolazioni, le ragioni dell’Altro, degli altri, i Tramaglini e le Mondelle di cui pullula l’orbe terracqueo.

Sul piano della realtà storica, però, la divina Provvidenza ancora non si è imposta. E appare ben lontana, oggi come oggi, dal fare la sua determinante entrata in scena da deus ex machina. Intanto imperversano i campioni dell’ “io so’ io…”, con quel che segue.

Cos’altro afferma, in fondo, il presidente americano  Donald Trump, quando offre montagne di dollari per avere da aziende europee l’esclusività per i soli States di un vaccino antiCovid-19? Gli Usa, nel risiko geopolitico un gigantesco Io collettivo, epitomizzato nella figura del suo presidente, di fronte al quale ogni Altro – dalle sponde del Tamigi ai monti Urali e al vulcano Fuji – può, anzi deve, andare a farsi benedire.

Cos’altro propugna il trionfante liberismo, se non il trionfo dell’Io, la lotta a coltello di miriadi di supponenti io contro altri io egualmente supponenti, dove tutti sono l’Altro, intralcio da togliere di mezzo, far eclissare, salvo alleanze occasionali, di pura convenienza; in un’epica rappresentazione di darwinismo economico e sociale.

Ben pasciuti accademici si spendono generosamente per diffondere urbi et orbi la favoletta consolatoria del trickle down effect. Se facciamo affluire soldi, montagne di soldi, raccontano ex cathedra con voci suadenti e inoppugnabili grafici, nelle tasche dei più agguerriti, degli io più forti e cazzuti, questi non potranno non utilizzare tanta grazia di dio per avviare nuovi investimenti, e così creare infiniti nuovi posti di lavoro, per la felicità dei Tramaglini e delle Mondelle, nelle cui tasche sdrucite e poco capienti questo provvidenziale effetto a cascata farà confluire allettanti bricioline. Tanto rumore per nulla: una elaborata riverniciatura e ammodernamento della mano invisibile di Adamo Smith, quella che farebbe del mercato il migliore dei mondi possibili.

Peccato che sotto gli occhi scorrano immagini di tutt’altro film. A dispetto dei pomposi postulati delle scuole di Chicago, le disparità sociali aumentano; si ingrossano le schiere dei poveri e di quanti vivono a un passo dalla miseria; i redditi delle classi medie si assottigliano. Un’esigua pattuglia di Io si spartisce la gran parte della ricchezza mondiale. Il capitalismo impone di inseguire in ogni dove sua maestà il Profitto; anche nelle disgrazie, che anzi rappresentano una bazza (“Alle 3,33 io ridevo…”): il capitalismo dei disastri lo chiama Naomi Klein; in quest’ottica sciacalla, anche il Covid-19 fornirà occasione di lauti introiti.

Le religioni hanno sempre avuto lo spinoso problema di conciliare le virtù indiscusse e l’amore inconcusso delle loro divinità con le catastrofi che l’umanità si trova di continuo ad affrontare. La risposta protocollare è che i cataclismi sono un monito, un messaggio, vogliono dire, insegnare qualcosa alla massa sgomenta e atterrita. Vico ha rimodellato, dissodando il terreno per Hegel, il concetto in chiave filosofica: traversie da cui sgorgano opportunità.

La tragedia globale del Covid-19 ha meccanicamente trasportato l’Altro sotto i riflettori, investendolo di una luce negativa: untore da cui tenersi alla larga; rinserratevi a casa. Ma ha anche sollevato un’onda emotiva, ha spinto tanti a reagire, quasi per atavico istinto, a fare massa. Di fronte al pericolo, la socialità anche nella distanza ha trovato nuove ragioni, si è infine riscoperto che l’Altro non è per forza una minaccia, un potenziale nemico da tenere a bada.  Si sono rinserrate le file.

In giro, nelle grandi città come nei paesini, le finestre, i balconi sono pavesati di cuori, arcobaleni: immagini votive postmoderne. Sventolato sui terrazzi, appeso alle finestre, il tricolore rilancia il miraggio di una nazione finalmente unita, e magari a qualcuno fa sognare tintinnii di sciabole. “Andrà tutto bene” è la parola d’ordine, istoriata su striscioni più o meno grandi, la preghiera di nuovo conio che fornisce l’indispensabile speranza, la fiducia nella possibilità di farcela.

La reclusione è diventata un gesto di solidarietà (anche se molti riluttano, escogitano invereconde scappatoie). I balconi si trasformano nel gigantesco proscenio di una recita collettiva, solidale, affratellante. Affacciati ci si immerge in un afflato comunitario; si battono le mani per ringraziare, celebrare gli eroi del momento, gli anonimi operatori sanitari; si canta, inno propiziatorio che sale al cielo. Dalla Baviera, via internet, giungono in Italia, appositamente per l’Italia in ginocchio, le note di Bella ciao (ormai, dopo l’exploit de La casa de papel, non solo canto partigiano ma inno internazionale, sonora, dilagante richiesta di equità sociale) come auspicio di liberazione dal flagello.

Sulle ali di una fortissima emozione, l’umanità sente (capisce?) che solo unanime, solo con un’effettiva unità di intenti, che sgretoli le intemperanze di un Io fallace, può farcela. Contro il Coronavirus. Contro altre minacce, flagelli. E forse persino a muovere i primi passi verso la fine dell’insensata lotta senza quartiere tra tanti furenti Io. Il Covid-19 ha un carattere apocalittico. Ma cos’è l’apocalisse? Lo dice la parola stessa, se si analizza l’etimo greco (ἀποκάλυψις): rivelazione, caduta di un velo che occulta. Forse sui balconi si accendono solo fuochi di paglia, si compiono rituali apotropaici che cesseranno d’incanto appena cesserà l’emergenza. Ma l’apocalisse ha comunque sollevato il velo, scoprendo le sembianze di un mondo altro.

—-

Accanto al titolo, Pablo Picasso, “Natura morta alla finestra con chiesa di St Augustin” (1919). Nel testo, “La città ideale”.

Facebooktwitterlinkedin