Lo scaffale degli editori
Il senso dell’oblio
Paventando, tra le molte cose di questi giorni, anche l’ulteriore crisi dell’editoria, ecco due titoli che possono riempire i nostri vuoti. Uno annodando nessi con l’attualità, l’altro raccontandoci di una eroica scienziata
Librerie chiuse, impossibilitati a comprare (e leggere) le novità editoriali? Soffrono quanti non rinunciano al piacere fisico di sfogliare le pagine, di annusare la carta. E soffrono gli editori, cui dà voce il presidente dell’Associazione Italiana Editori che ha istituito un Osservatorio a cadenza settimanale per registrare gli effetti della crisi sul comparto, crisi che coinvolge dagli autori ai traduttori e ai redattori, dai distributori ai trasportatori, ai promoter, ai librai infine. Ridotte già le nuove uscite (e di queste le presentazioni potranno effettuarsi con eventi virtuali): – 29 per cento nelle settimane che stiamo vivendo, – 31 nell’arco di tempo tra maggio e agosto, – 17 per cento nell’ultimo quadrimestre del 2020. E però c’è l’acquisto on line. Anche se magari dovremo aspettare un po’ di più per farci recapitare un volume. Allora ne segnaliamo due, finiti di stampare nel mese di febbraio, peraltro evocativi – anche se programmati in tempi non sospetti – della emergenza che stiamo vivendo.
Atmosfera rarefatta, solitudine esistenziale, ripiegamento su se stessi alla ricerca della centralità della parola – che in molti casi ci è ora impedito di scambiare di persona – sono il tratto distintivo dell’inconsueto romanzo di Philippe Forest, professore di letteratura all’Università di Nantes, critico letterario e cinematografico, autore tra l’altro di Piena, pubblicato nel 2018 da Fandango. La stessa editrice lancia ora L’oblio (221 pagine, 18 euro, traduzione di Gabriella Bosco). Vi si narra di un uomo convinto di aver perso una parola nel sonno, incapace al risveglio di ricordarsi quale. «L’ho cercata dietro al cuscino, ai piedi del letto, tra il materasso e la rete – dice l’io narrante, del quale l’autore non ci rivela mai il nome. Parlo per immagini, ovviamente. Una parola non è una cosa. Non ha niente di materiale. Eppure avevo proprio la sensazione che quella parola fosse simile a un oggetto che avrei potuto ritrovare».
La ricerca diventa un’ossessione per il nostro smemorato di una notte: che una alla volta tutte le parole lo abbandoneranno e che, perdendo il linguaggio, la sua vita si svuoterà. Allora si rifugia su un’isola al largo del continente, cerca le parole nel vento, nella solitudine, sonda le nuvole, ascolta i silenzi. Le vuole individuare nella luce dell’oceano, riflessa dallo specchio della sua camera d’albergo. Forest arricchisce il plot di minimi eventi, scendendo sempre più nel fondo dell’animo del suo protagonista. Ora è un quadro, dipinto dal precedente inquilino della stanza, ad animarsi: più la mente del narratore si svuota di parole, più dentro la cornice si formano nuovi tratti, che il protagonista circa di fissare con una vecchia macchina fotografica. Fino a quando, dal quadro o dall’oceano, nel chiarore confuso della Natura e dell’Io, emergerà una donna, in carne e ossa, capace di svelargli il senso dell’oblio e di ridargli la voglia di provare piacere. È un libro slow, questo di Forest, da leggere lentamente, in cerca di nessi. Il suo limite forse. Ma di tempo ne abbiamo.
Al cinema è stata proiettata per qualche giorno, grazie alla coraggiosa uscita anticipata al 5 marzo, nonostante l’emergenza coronavirus. È Marie Curie, una piccola e preziosa pellicola polacca, interpretata da Karolina Gruszka e diretta da Marie Noelle sulla base dei diari della scienziata due volte premio Nobel per la fisica, insieme con il marito e con il collega Becquerel, e per la chimica, onorificenza conquistata da sola. E se a giugno uscirà un’altra pellicola, l’inglese Radioctive, nella quale la protagonista ha il volto di Rosamund Pike, intanto a febbraio Rizzoli, nella Collana Bur Le Biografie, ha ripubblicato Vita della signora Curie, uscito nel 1937 e firmato da Eve Curie, la figlia della scienziata che era morta tre anni prima. Vi si ripercorrono le tappe della scopritrice del radio (fondamentale in ambito medico per curare i malati di cancro) e del polonio, elemento cui diede il nome della sua terra, perché nacque a Varsavia nel 1867. Una biografia basata su esclusivi documenti di famiglia, che inseguono non solo i leggendari risultati ottenuti da Marie ma anche la sua storia privata di giovane caparbia povera e bella, figlia di una nazione, la Polonia, oppressa dalla Russia, dove le donne non potevano accedere agli studi superiori.
Ecco allora la vita solitaria e bohemien della Curie a Parigi, fino alla laurea in fisica e in matematica. Ecco l’incontro e il matrimonio con il geniale Pierre e il loro lavoro per isolare un elemento “magico”, il radio. Una scoperta che offre all’umanità anche una nuova scienza e una nuova filosofia. La morte tragica di Pierre, travolto da una carrozza, non ferma Marie, che continua a sperimentare nel suo laboratorio e a raggiungere nuovi traguardi, pur minata nel fisico a causa dell’esposizione al radio fino alla morte, a 67 anni. Un’epopea della ricerca, questa biografia. Così Eve racconta l’annuncio all’Accademia, il 12 aprile 1898, della intuizione che porterà alla scoperta sensazionale: «Due minerali di uranio, la pechblenda (ossido di uranio) e la calcolite (fosfato di rame e di uranite) – scandisce Marie – sono molto più attivi dello stesso uranio. Il fatto va rilevato e induce a credere che questi minerali possano contenere un elemento molto più attivo dell’uranio». È la prima tappa – commenta la figlia dei Curie – della scoperta del radio. Che avverrà dopo quattro anni di esperimenti nel loro laboratorio parigino in Rue Lhomond: una baracca cadente e umida, dove d’inverno entra la pioggia e l’estate infuoca il sole.