Pier Mario Fasanotti
Consigli per gli acquisti

Il Dio di Nothomb

La passione mistica (tra Gesù e la Maddalena) secondo Amélie Nothomb; la passione timida secondo Georges Simenon; la passione gelida e l'adolescenza difficile (senza dubbi) secondo Eva Baltasar

Golgota. È Gesù che parla, in attesa d’essere inchiodato alla croce. Fate attenzione a queste frasi: «Questa crocifissione è un errore. Il progetto di mio padre doveva mostrare fin dove ci si può spingere per amore. Se questa idea fosse solo stupida, potrebbe limitarsi a rimanere inutile. E invece no, è anche tremendamente nociva. Una sfilza di uomini sceglierà il martirio a causa del mio esempio imbecille»; «Alcuni diranno che se chiamano Dio il bene, è giocoforza attribuire un nome anche al male. Ma da dove salta fuori che Dio è il bene?… dice di essere amore. L’amore non è il bene»; «La mia infinita sofferenza non cancella nulla del dolore che quei poveretti hanno sofferto prima di me. L’idea stessa di espiazione è ripugnante per il suo assurdo sadismo». Originale, coraggiosa, per alcuni eretica, è la ricostruzione delle ultime ore del Nazzareno, innamoratissimo di Maddalena.

L’autrice, che ha sempre destato una buona dose di scandalo, è Amélie Nothomb, nata in Giappone ma francese a tutti gli effetti. Il suo nuovo libro (giunto secondo al premio Goncourt) s’intitola Sete (editore Voland, 109 pagg., 16 euro). La ragione del titolo sta nel fatto che il Cristo, fatto nascere in una terra d’arsura, considera l’abbeverarsi il massimo della felicità, o meglio: «La buona notizia è che la sete portata al suo estremo è una trance mistica perfetta». Già sulla croce, un soldato romano accosterà alla bocca del condannato una spugna imbevuta d’acqua e aceto. Per spregio. Gesù ne è felice. Sa quanto è importante la corporeità, a differenza del suo creatore verso il quale ha parole aspre. Come: «Da quando ho saputo a cosa ero destinato, ho preso a odiarmi». Contesta poi la ricostruzione che gli evangelisti hanno fatto della sua vita; si rammarica dell’assenza, sul Golgota, dei suoi discepoli, si addolora al pensiero che il verbo del Padre sia unico, a tutto danno di altre religioni. Un libro che può apparire sconcertante, comunque avvolto da un eccezionale fascino.

La moglie. Scritto nel 1941, conserva tutta la freschezza narrativa. Ancora una volta Georges Simenon sceglie un protagonista emblematico e affascinante per la sua sconfinata mediocrità (Il signor Cardinaud, Adelphi, 136 pg., 16 euro). La vicenda si svolge a Les Sables-d’Olonne (nella Vandea). Hubert Cardinaud è un uomo a testa alta, busto eretto, religioso. È proprio nella chiesa principale che è ammaliato da Marthe, la donna molto più giovane di lui, dotata d’un candore pari a quello della Madonna. Si accorgerà, la prima notte, che non è proprio così, ma si autocensura perché «ha paura del disordine». Meglio far finta di niente. Si sposano e hanno due figli. Lavora in una compagnia di assicurazioni, dove pazientemente aspetta di diventarne socio. Dopo quel «pizzico di solennità domenicale», saluta tutti e viene salutato cordialmente. Ha fama di essere onesto. E timido, a tal punto che la maggior parte delle sue frasi iniziano con un «mi scusi». Nel giorno di riposo compie, assieme alla famiglia, sempre gli stessi gesti, compreso quello di comprare e pasticcini nel negozio Dufour e raccomandare al figlio maggiore di tenere bene il pacchettino. Ha l’orologio nel taschino della giacca, ma prima di estrarlo sa già che ora è. Del resto l’itinerario non cambia mai. Simenon ci fa comprendere appieno l’opacità coniugale. Capita che, di ritorno dal lavoro, non trovi più la moglie, e nemmeno i tremila franchi che erano destinati al pagamento del mutuo. Chiede assistenza a una giovane donna per l’accudimento dei bambini, e si mette alla ricerca di Marthe. Compie un intricato tragitto, in pullman e in treno, dopo aver saputo che la moglie se n’è andata con Mimile, un giovanotto poco di buono, ricercato da un uomo che gliela vuol far pagare per uno sgarbo.  Alla fine di un viaggio rocambolesco incontra il rivale: è in fuga sapendo di essere minacciato. Cardinaud arriva addirittura a dargli ottocento franchi. Poi l’incontro con la moglie. Imbarazzo di entrambi, anche perché un giornale riporta la fine tragica di Mimile. Hubert non chiede., lei non spiega nulla. Ma che rapporto è il loro? Ce lo dice l’autore: «Marthe non lo amava, non l’aveva mai amato, non l’avrebbe mai amato. Lo sapeva da sempre. Ma che importanza aveva? Lui l’amava, e tanto bastava». Un racconto lungo più che un romanzo, dove i particolari reggono l’impalcatura di un’esistenza opaca, una delle tante.

Sesso. È una poetessa catalana che ora si cimenta col romanzo. Importante precisare questo perché la sua prosa procede spesso sui binari della lirica. Eva Baltasar è autrice di Permafrost (155 pg., 16 euro, Nottetempo editore). La parola che dà origine al titolo vuol dire strato di terreno gelato. Il significato metaforico sarà chiaro al lettore che si trova dinanzi a un soliloquio di una giovane donna, perennemente ondeggiante tra tentazioni suicide e frequentissimi rapporti lesbici. «Gli occhi anticipano, esplorano il mondo, il corpo non fa che seguirli…la morte rapisce il corpo come l’amore. Che lo colga alla sprovvista». Guarda il selciato da un piano alto e ha il terrore che il suo corpo maciullato si confonda con quello dei gatti, che frequentano il cortile. Il suo essere e il suo sentire la vita adolescenziale dipende molto dai genitori, usi a raccomandare: «Quando sarai grande capirai». Il padre è pressoché assente («un estensione della moglie»), la madre è egocentrica e infantile («una personcina miserabile»). Sua sorella ha una vita cosiddetta normale, con marito e due figlie, ed è curiosa di capire che cosa significhi fare l’amore con una donna. La protagonista offre una spiegazione indiretta, ricorrendo alla sua vasta cultura: le mostra riproduzioni di quadri dell’“action painting”, soprattutto Jackson Pollock, «pura sperimentazione…manipolazione semplice e netta della materia prima». La sorella non comprende a fondo, intuisce soltanto. La protagonista descrive, talvolta con linguaggio molto crudo, i suoi incontri carnali. Ma lo fa poeticamente: «Adoro le mani di una donna. La pelle fine stesa come una membrana di costellazioni…». Ma accanto al sesso frequentissimo (anche se scrive di non esserne “drogata”) spunta la tentazione di tagliarsi le vene. E nello stesso tempo è consapevole che «il sesso mi mantiene presente e salva in uno spazio intangibile ma rassicurante». Contorcimenti mentali profondi scritti in maniera limpida, di qualità altissima. Mai lontani dal dubbio, la cosa che è in grado di perforare il permafrost.

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