La rivoluzione del comportamenti
Il baco di Magellano
Ormai è chiaro che la diffusione del coronavirus rappresenta l'ultimo atto di un processo di globalizzazione economica iniziato cinquecento anni fa da Magellano. Ma stavolta cambierà tutto. Forse...
È con vera amarezza che stiamo ricordando il V centenario del primo viaggio intorno al mondo, iniziato il 20 settembre 1519 e concluso il giorno 8 settembre 1522 a Siviglia. Le celebrazioni, aperte a Valladolid in Spagna nel marzo del 2018, alla presenza del re Filippo VI e di un ventaglio di studiosi di fama internazionale, sono proseguite nel tempo, con mostre, convegni, eventi di ogni tipo. E altre iniziative ancora seguiranno nei prossimi anni, per ricordare quell’evento con il quale terminò davvero il Medioevo e si aprì l’età moderna. Vicenza, (patria di Antonio Pigafetta che ci ha lasciato la relazione di questo incredibile viaggio), Siviglia, Lisbona, Rio de Janeiro, Buenos Aires, San Julian in Patagonia, Punta Arenas, in Cile, Cebu nelle Filippine, Timor, le isole del Capo Verde ed altri luoghi ancora hanno ricordato, e lo faranno ancora nei prossimi anni, quel tragico meraviglioso viaggio che ha iniziato quel processo chiamato globalizzazione che sta scuotendo vigorosamente le nostre società.
In quel viaggio – patrocinato dalla corona spagnola ma comandato da un Capitano portoghese, Ferdinando Magellano, morto a Cebu il 27 Aprile 1521e concluso sotto il comando dello spagnolo Sebastiano Elcano – furono buttati i germi di una nuova visione del mondo, nella quale tutti i paesi finirono per legarsi gli uni agli altri in modi diversi. L’Europa ampliò i suoi commerci con l’Oriente, iniziò la tratta degli schiavi che legava tre continenti, poi nell’800 con l’industrializzazione consolidò la leadership nel mondo, portandovi la sua religione, le sue lingue, la sua tecnologia, spesso occupando fisicamente il territorio. L’apertura del canale di Suez prima e di quello di Panama poi facilitarono scambi, guerre e commerci. In questi cinque secoli, ogni volta è emerso un paese che ha cercato di “globalizzare” il mondo a sua immagine e somiglianza, esportando i propri modelli di vita, la propria economia, trattando gli altri Stati come consumatori dei propri prodotti. Ma è soprattutto nel XX secolo che il fenomeno è diventato impressionante, furono combattute due guerre “mondiali” e gli Stati Uniti prima, la Cina poi hanno cercato di trattare il resto del mondo come il mercato dove vendere ad ogni costo quello che si produce.
A questo punto, la diffusione velocissima del coronavirus in tutto il mondo sembra la celebrazione del processo maturato in modo instancabile per cinque secoli e ci offre l’occasione per capire i vantaggi e gli svantaggi della veloce occupazione dello spazio, sia terrestre sia celeste da parte di una umanità vorace che mangia tutto quello che c’è da mangiare, ed ora si trova con la pancia piena, in procinto di vomitare quello che ha ingurgitato.
Viene alla mente la riflessione che fu fatta a proposito della caduta dell’impero romano: quelle strade che essi avevano costruito per collegare rapidamente la capitale con tutte le provincie dell’impero furono le stesse che usarono i barbari per sconfiggere Roma, la potenza che le aveva costruite.
La globalizzazione, come l’abbiamo descritta in questa frettolosa sintesi, ha di volta in volta fatto emergere un paese che ha dato il suo stigma al processo: Spagna, Portogallo, Olanda, Inghilterra, Stati Uniti e poi la Cina sono stati i paesi che hanno capeggiato il fenomeno, ma a partire dal capodanno del 2000 per arrivare al gennaio 2020 altri episodi hanno fatto emergere una più drammatica constatazione. Infatti, quel fenomeno che liberava i territori dai propri confini, ha messo in luce aspetti apocalittici, che non tengono conto di frontiere né delle divisioni politiche fra gli Stati. Mi riferisco allo spostamento di gran numero di popolazioni da un continente all’altro, all’inquinamento di ogni tipo, da plastica, da anidride carbonica, da scorie nucleari, all’emissione di gas serra nell’atmosfera con conseguente innalzamento delle temperature, e infine a due fenomeni invisibili: la paura del baco che doveva cancellare i dati dai computer di tutto il mondo la notte del capodanno del 2000 e la diffusione del coronavirus che sta avvolgendo il mondo come una piovra dai lunghi, velenosi tentacoli.
Che cosa ci dice il nuovo pericolo? Che il virus è anarchico e mette tutti sullo stesso piano. Perciò, se fino ad ora globalizzazione voleva dire potenza economica, capacità di imporre le proprie merci in tutto il mondo, ora dovrà significare “comune gestione” del territorio, governo comune del mondo, umanità condivisa. Sarebbe stupido pensare che questa emergenza favorirà quel paese in grado di sviluppare e vendere in tutto il mondo un vaccino capace di fermare il virus. Sarebbe stupido pensare che fenomeni di questo tipo non si verificheranno più sulla faccia della terra e sarebbe ancora più stupido pensare che questa lezione si cancellerà dalla memoria comune appena il virus sarà debellato. Lo sviluppo delle tecnologie informatiche, la facilità degli spostamenti di uomini e merci in ogni paese del mondo, l’uniformità dei modelli di vita devono essere strumento di una nuova consapevolezza, perché oramai tutti lo abbiamo capito il futuro non sarà più come prima. Che questa angoscia che ci attanaglia, sia fertile terreno per una riflessione adeguata.
La strappo procurato dalla chiglia delle navi di Magellano al tappeto del mondo, oggi è divenuto un furioso graffiare di quei disegni e di quelle scene dipinte con maestria nei secoli appena trascorsi.