Visto al Teatro Franco Parenti di Milano
Eduardo e il mago
Carlo Cecchi riporta in scena due atti unici di Eduardo, “Dolore sotto chiave” e “Sik Sik l'artefice magico”. Un ritratto elegante (e polemico) del teatro "all'antica italiana" fatto di emozioni e arte al tempo stesso
Gli atti unici di Eduardo sono quanto di più interessante, vivace, dinamico possa esserci in quello che era il laboratorio di scrittura, di formazione, dei fratelli De Filippo; della “Compagnia del Teatro Umoristico I De Filippo”. E vale per tutti i componenti del trio, che in quel lontano, fecondo sodalizio fondarono le basi del loro genio artistico. Tutto ciò era avvalorato dal fatto che c’era una committenza reale, progettuale, negli impresari del Cinema- Teatro Kursaal di Napoli (1931-1932 circa). Eduardo, Peppino e Titina intrattenevano difatti il pubblico cinematografico fra una proiezione e l’altra: tale premessa consentiva, intanto di buttare le fondamenta per i successivi capolavori e di poter poi confermare ad ogni intermezzo teatrale le loro doti drammaturgiche. Molti sketch hanno poi generato veri e propri capolavori, come accadde per Natale in casa Cupiello ad esempio, nata come azione compiuta sviluppatasi in seguito in tre atti, e molti altri ancora che da semplici bozzetti son diventate delle opere complete, con una vera e propria ellissi creativa avvenuta nel corso del tempo.
Fra queste piccole meraviglie ve ne sono alcune che sono rimaste intatte nel loro pregio di opere originali, compiute, funzionali a se stesse, e Carlo Cecchi che da sempre ha fatto della lezione Eduardiana il tracciato del suo estro poetico, ne porta alla ribalta due dei migliori: Dolore sotto chiave (1964) e Sik Sik l’artefice magico (1929), in scena al Teatro Franco Parenti di Milano dal 12 febbraio al 1 marzo. Lo stesso Eduardo nella combinazione Ogni anno punto e a capo del 1971, riunisce alcuni suoi atti unici, a far da mastice la rivista, genere in voga all’epoca in cui i tre attori comparivano alla ribalta. E mi piace aggiungere, (fonte Maurizio Giammusso, Vita di Eduardo, 2004), che anche il patrono di questo storico teatro, Franco Parenti sia stato interprete di Sik-Sik sotto la direzione dello stesso autore in quel 1971 al Piccolo Teatro. Anni dopo ci ha provato il figlio di Eduardo, Luca De Filippo, che unitamente a Armando Pugliese mise insieme quel tesoro che era Eduardo al Kursaal, cinque atti unici che descrivevano proprio quelle atmosfere, quelle malinconie, quei colori di quegli anni.
Il legame che tiene insieme per Carlo Cecchi – attore/direttore – il dittico è proprio da ricercare nel gioco semplice ed efficace del teatro. Il repertorio è quello dell’antica all’italiana, per dirla con Sergio Tofano, anche se nel 2009 l’artista toscano, napoletano di adozione, aveva accostato la cialtroneria del “magro” illusionista a quella del Claus Peyman compra un paio di pantaloni e viene a mangiare con me di Thomas Bernard, in una visione tutta meta/teatrale. La versione odierna invece punta l’accento sul ruolo dell’attore, sul gioco del teatro, sulla parabola finzione-realtà, sulla semplicità dell’impatto platea-palco, e come a suggerire una certa continuità con il precedente allestimento anche qui un attore dichiaratamente veste i panni en-travesti di un ruolo femminile, come accade per il bravo Dario Iubatti nei panni della Signora Paola.
Si fa un gran parlare in questi giorni della lingua tradita, e per lingua intendo il napoletano, inserita dall’Unesco nell’Atlante mondiale delle lingue in pericolo nel 2010, nella messa in onda della serie tv L’amica Geniale. Mega fiction americana, aldilà del suo valore artistico, in cui la scrittura di Elena Ferrante è tradotta in un ben imprecisato ibrido, che non è né napoletano né italiano, in una riconoscibilità partenopea pressoché ignota. Fra varie Gomorre e Amiche geniali lo spettatore è completamente smarrito, di fronte ad un idioma non identificabile né dalle vecchie generazioni ma neanche dalle nuove che si affacciano a riconoscere le varie differenziazioni fra i dialetti della nostra penisola.
Ebbene Carlo Cecchi compie un miracolo, unico nel suo genere, facendo interpretare il napoletano eduardiano ad attori non oriundi, ricreando un nuovo lessico, e per gli svarioni rimasti intatti – volutamente sottolineati – vale per tutti quel “mezone” in vece di “muzzone”, ovvero cicca di sigaretta, pronunciato da Rafele (sempre Dario Iubatti) in Sik- Sik. Di questa ricercatezza, lo spettacolo tutto, ne è disseminato, facendone una sua peculiarità. Carlo Cecchi naturale naturale ripercorre le due ore complessive con la sua solita eleganza, leggerezza, indolenza quasi a voler sottrarre ogni macchinosità ad un teatro in voga di questi ultimi anni. E se nel primo atto lo scenografo Sergio Tramonti appronta un impianto sì funzionale, ma essenzialmente, volutamente casuale, nella seconda parte Titina Maselli fra velari che calano, colorati occasionalmente da graffiti metropolitani, segno inevitabile del tempo che trascorre, ritroviamo una scena più allusiva, poetica, con quel bellissimo fondale quasi di impostazione futurista. Gli altri interpreti sono: Angelica Ippolito, Vincenzo Ferrera, Remo Stella e Marco Trotta; mentre lo spettacolo è prodotto dall’adunanza dei tre enti, Marche Teatro, Teatro di Roma ed Elledieffe.