Ancora su “Diario dello smarrimento”
L’arte di smarrirsi
Andrea Di Consoli, raccontando sé e il propri vagabondaggi tra luoghi e letture, traccia il ritratto di un uomo che insegue l'impossibilità costante di realizzarsi: un diario delle imperfezioni che costellano le nostre vite
Accensioni simili si possono notare nei Quaderni di Cioran e nei Taccuini di Camus. Anche questi erano (vertiginosi) diari di autori erranti, intellettuali aperti alle caleidoscopiche possibilità, o guide allo smarrimento dei perplessi, come Valerio Magrelli ha intitolato la sua plaquette post-Il sangue amaro. Un pensiero interessante è dedicato proprio al poeta romano: «Ricordo vagamente l’immagine di una delle prime poesie di Valerio Magrelli: l’occhio che si rovescia per guardare dentro, non più fuori. Le risposte sono dentro. La verità è dentro. Il cammino è dentro». È uno degli scorci che Andrea Di Consoli, nato a Zurigo da genitori lucani, autore televisivo della Rai nonché scrittore e critico letterario, fa intravedere in Diario dello smarrimento (Inschibboleth, pp. 176, € 15, leggi qui la recensione di Delia Morea), opera frammentaria e basaltica, intrusiva, oracolare e ironica (ionica), scritta su granodiorite. Vi figurano quadri biografici tratti da un lancinante passato, il Sud lucano tra càrpini, castagneti e cerri; pezzi di critica e storia letteraria, Roma nei suoi luoghi onfalici (la Stazione Termini, ad esempio), l’affettuoso rapporto con i figli, Napoli pressoché ubiqua; Marlboro rosse, il comunismo, la trascendenza, incontri quotidiani, momenti di chiaroveggenza, la Poesia quale ninfa portatrice di tenui barbagli di senso. E semplici ma sintomatici aneddoti: «Credo fosse il 1991, o il 1992. Non facevo che rileggere Dietro il paesaggio di Andrea Zanzotto – come sto facendo adesso dopo molti anni. Riuscii a trovare il suo numero telefonico sulla rubrica della provincia di Treviso – c’erano dei luoghi pubblici dove si potevano trovare gli elenchi telefonici di tutte le province italiane. Un giorno mi feci coraggio e, da una cabina pubblica di Rotonda, lo chiamai. Rispose. Esitai qualche secondo, poi riattaccai, colmo di vergogna».
C’è una filosofia dietro al pensiero frammentario di Andrea Di Consoli? Senz’altro. «Sono sempre stato un esistenzialista – camusiano, nello specifico. Non ho una buona idea della natura umana. Da sempre la mia cultura è la cultura della crisi e della fraternità – la poesia che amo di più è infatti La ginestra di Leopardi. Della mia terra d’origine ho mantenuto il carattere distintivo: una profonda solitudine. È il motivo per cui, dinanzi al male, preferisco mortificare me. Non cerco colpevoli per lenire le ferite delle dannazioni naturali. Se a soffrire devono essere gli altri, preferisco che sia io». Come Sisifo e l’uomo in rivolta, lo scrittore lucano – esponente non poco scoperto di una pensée méridienne – è legato alla resistenza umanistica e a un ethos capace di cogliere nell’umano e nell’immanente la traccia viva della più autentica sacertà. Nondimeno (nella stessa pagina per altro) sorge la consueta, ineludibile domanda dal sapore agostiniano: «È vero ciò che dice l’amico spietato Stefano Barigelli: al fondo io sono un cattolico. Un cattolico disperato, che non crede più a Dio, ma che vive come se ci fosse. Tutta la mia nostalgia è nostalgia di Dio. Per me non c’è cosa più raccapricciante che notare nei tanti volti che mi circondano la scomparsa della memoria della Croce. E del senso di colpa, sorgente di ogni slancio possibile verso il bene».
Smarrire – verbo cruciale di questo libro – trae, infatti, la sua origine etimologica dal francone marrir, esmarrir: errare, perdere la via. A sua volta proveniente dal radicale germanico mar-, il quale reca in sé l’idea di «ostacolo o difficoltà a vedere, trovare, raggiungere qualche cosa» (Dizionario etimologico online). È come se lo stesso radicale innalzasse uno sbarramento, una palizzata. Il diario di Andrea Di Consoli non è, dunque, la fedele cronaca di uno scrittore che si è ormai irrimediabilmente perduto, “smarrito” del tutto. Al contrario. Forse esso coincide più precisamente con un diario (in corsa) della difficoltà a raggiungere qualcosa, a realizzarsi cioè pienamente nella propria umanità, nell’essere uomini in un mondo di uomini, nel pervenire alla maturità di un amore veramente adulto: destino che riguarda noi tutti e che Di Consoli, con generosità, ci lascia osservare attraverso lo specchio psicologico e spirituale della propria soggettività.