Fellini e Sordi nell’anno del centenario
Aridatece Roma di Alberto e Federico
Mostre, eventi, tagli di nastro, pubblicazioni, omaggi, testimonianze per ricordare i due grandi artisti nati cent’anni fa. Ma il miglior modo per celebrarli sarebbe ridare dignità alla città che amavano
Tornano tutti e due – uno con sciarpa, cappello e megafono perfino nelle viscere della metropolitana mentre girava Roma, l’altro con il faccione sorridente, magari sulla pedana dei vigili di Piazza Venezia. Tornano tutti e due, Federico Fellini e Alberto Sordi, nati nello stesso anno, il 1920, uno a gennaio l’altro a giugno. Un doppio centenario per due complici uniti dall’ironia, dal gusto di ammiccare e alludere, cominciato sul set de Lo sceicco bianco. E in questo centenario tondo tondo, 2020 o MMXX al modo degli antichi romani, l’ex caput mundi li festeggia quasi ubriacandosi di mostre, eventi, tagli di nastro, pubblicazioni, discorsi di circostanza, omaggi, testimonianze.
Federico ha già avuto il suo d-day – lo scorso 20 gennaio – ma continua a svelarsi a noi attraverso una mostra che raccoglie alla Biblioteca Angelica fino al 28 febbraio trenta scatti provenienti dal Centro Sperimentale di Cinematografia. Albertone gli dà il cambio a partire dal 7 marzo nella maniera più glamour: addirittura aprendo la sua villa-fortino in piazzale Numa Pompilio, di fronte alle rovine di Caracalla. Solo ora che non c’è più potrà sopportare l’andirivieni di fan nelle sue segrete stanze, dove non volle mai che entrasse una moglie («E che me metto dentro casa ‘n’estranea?», provocava motivando la sua scelta di rimanere scapolo). Ma la Fondazione che porta il suo nome ne ha ben interpretato la volontà, raccolta dall’inseparabile sorella Aurelia, lei sì sempre nella villa, progettata negli anni Trenta da Busiri Vici e acquistata dall’attore in quattro e quattr’otto nel 1954. Dunque, la signorina nel 2011, novantaquattrenne, dispose che la dimora dopo la sua morte (avvenuta nel 2014) sarebbe diventata un posto dove i romani potessero un giorno ritrovarsi e ritrovare il fratello divo. Così Alessandro Nicosia ha realizzato e curato l’esposizione, promossa dalla Fondazione Museo Sordi con Roma Capitale, Regione Lazio e Soprintendenza Speciale Archeologia, Belle Arti e Paesaggio, facendosi affiancare dai giornalisti Vincenzo Mollica e Gloria Satta. Diecimila biglietti sono già stati acquistati per entrare nella casa del “compagnuccio della parrocchietta” e chissà che mole di tagliandi verrà staccata fino alla chiusura della rassegna, il 29 giugno. Con un diapason riservato all’élite di amici e colleghi del mondo dello spettacolo: una festa nel giardino della villa proprio nel giorno del suo centesimo compleanno, il 15 giugno.
Evviva dunque, Fellini e Sordi si meritano le celebrazioni ed è rivitalizzante provare nuovamente le emozioni che hanno suscitato negli italiani e nella gente del mondo. Incarnano la magia del cinema, il magistero dell’invenzione, il volo nel sogno e nella fantasia, lo sguardo acuto sugli anni che hanno vissuto. E però la nostalgia che abbiamo di entrambi – ritrovando le immagini-capisaldo della storia del cinema, dallo “scivolo dei ricordi” di Mastroianni-Snàporaz nella felliniana Città delle donne alla maschera cinica di Sordi eroe vigliacco in La grande guerra– si trasforma in rimpianto per quello che era Roma quando loro due ci passeggiavano. Sì, magari era una città ormai debordata nelle periferie e intasata dalle automobili. Ma guizzava di vitalità, di invenzioni culturali, di iniziative. Mica solo la swinging Roma della Dolce Vita e degli anni Settanta, l’acme del boom anche culturale, coi cinema sempre pieni, luogo di aggregazione sociale (ricordate i “pidocchietti”?), i teatri capaci di sperimentare con l’underground e l’avanguardia, Giancarlo Nanni, Carmelo Bene e insieme di allestire sontuosi spettacoli con Squarzina e Ronconi. Ma anche la Roma del periodo del declino fisico di Sordi e Fellini. (Nella foto, Alberto Sordi ne “Lo sceicco bianco” di Fellini).
Il regista di 8 e ½ è morto nel 1993, l’anno in cui è eletto sindaco Francesco Rutelli, che preparerà la città del Giubileo del Duemila, allorché la Capitale si ripropone sulla ribalta internazionale alla quale del resto negli anni Ottanta l’avevano avviata le “Estati romane” e l’Effimero inventati dall’assessore alla Cultura Renato Nicolini. Il protagonista di Un borghese piccolo piccolo viene a mancare nel 2003, mentre è sindaco Veltroni, assessore alla cultura è Gianni Borgna, e si inaugura l’Auditorium di Renzo Piano mentre si lavora al Maxxi e al Macro. C’era insomma – senza dimenticare certi scivoloni, come quello del parcheggio interrato del Pincio – un Modello Roma, città tollerante, frizzante di librerie, caffè storici, negozi raffinati, vetrine eleganti, strade decenti in quanto a pulizia e illuminazione. Paragonarle la Roma di oggi – becera, sporca, incattivita, tanto ignorante che perfino il nastro sul quale è incisa la voce che annuncia la fermate degli autobus sbaglia clamorosamente gli accenti e nessuno, da anni, la corregge – fa male al cuore.
Ma tant’è, finché un moto d’orgoglio non porti tutti i cittadini, ma proprio tutti, a chiedere decoro in piazza, stipati come le sardine. E magari il centenario di due romani – il Fellini acquisito dell’appartamento in via Margutta e dello studio 5 di Cinecittà e il Sordi (nella foto in una scena de “I vitelloni” di Fellini) genuino della villa arredata con i mobili dell’antiquario Apolloni, il vaso di De Pisis, i quadri di De Chirico – possa, con i ricordi appaganti, suscitare il ritorno all’etica dell’appartenenza. Non per niente il curatore della mostra su Fellini, Simone Casavecchia, raffinato editore, ha scelto di collocare le rivelatrici fotografie in uno scrigno prezioso qual è la Biblioteca Angelica, addossata a quella basilica di Sant’Agostino che conserva La Madonna dei Pellegrini, rivoluzionario dipinto di Caravaggio. Mentre la mostra su Sordi ha, oltre che nella casa sottoposta a vincolo di tutela, una seconda sezione nel Teatro dei Dioscuri di via Piacenza, affidato all’Istituto Luce: qui ci sarà il focus su Storia di un italiano, il programma televisivo ideato a da Albertone e trasmesso in più edizioni dal 1979 al 1986, con l’indimenticabile sigla di Piero Piccioni (O rugido do leão) che con le sue colonne sonore ha aggiunto carattere a tutti i film di Sordi. Nei Musei Capitolini, dove l’evento è stato presentato all’ombra del monumento equestre di Marco Aurelio, la sindaca Virginia Raggi ha ricordato quando, alunna delle elementari alla “Giardinieri”, un plesso proprio davanti alla villa di Sordi, vagheggiava di scorgerlo affacciato a una finestra. Se lo vedesse oltre quei vetri anche oggi come giustificherebbe la devastazione di Roma?