Cartolina dall'America
La santa tifosa
Negli Stati Uniti è un personaggio popolarissimo: si chiama Sister Jean, è la mascotte della squadra di basket della Loyola University di Chicago. Ha cento anni e dice: «Adesso si vuole sapere e vedere tutto subito. E invece bisogna trovare il tempo per pensare»
100 anni compiuti il 21 agosto, occhi che pungono, un sorriso che comunica serenità, un eloquio lucido e sicuro, Sister Jean Dolores Schmidt è la cappellana e la mascotte dei Ramblers, la squadra di basket della Loyola University di Chicago. Su una sedia a rotelle per una brutta caduta occorsa mesi fa, indossa la sciarpa con i colori oro e bordeaux, simbolo della Loyola, e parla con una voce giovane e squillante. Non c’è traccia della sua età. È ormai una celebrità divenuta famosa per prima volta nel 2018 durante il torneo maschile di pallacanestro delle squadre universitarie a livello nazionale del NCAA (National Collegiate Athletic Association), quando la squadra della Loyola si classificò, tra le quattro finaliste (Final Four), arrivando alle semifinali che si giocarono a San Antonio il 2 aprile 2018. La vittoria fu conquistata da una squadra della Pennsylvania, i Villanova Wildcats, ma da allora la sua popolarità andò alle stelle.
Mentre seguiva la squadra nelle sue partite di città in città, ad ogni stop, le televisioni e i giornali che volevano intervistarla aumentavano. Cosi tra gli altri, ha rilasciato interviste al Chicago Tribune, al New York Times, allo Washington Post, alla CNN, al canale sportivo ESPN e al programma televisivo Good Morning America del canale ABC. Nel marzo 2018, intervistata da una giornalista del canale CBS che le chiedeva come ci si sente a diventare d’improvviso una celebrità nazionale, Sister Jean scherzando ha risposto «Per la verità, se posso correggerla e se quello che mi dicono è vero, lo sono a livello internazionale perché sono apparsa anche in Messico e in Gran Bretagna». Con lei si sono fatti fotografare Bill Clinton, Charles Barkley, noto campione del basket americano, il cardinale di Chicago Blase Joseph Cupich, il manager dei Cubs Joe Maddon e molti altri personaggi famosi.
«A volte le mie preghiere non sono molto pie – afferma sorridendo – ma hanno grande importanza per i giocatori. Inoltre durante l’intervallo tra il primo e il secondo tempo vado avanti e indietro sul campo e i fan della squadra avversaria mi dicono che prego con più fervore per la Loyola che per la loro. Io rispondo che se indossassero i colori oro e bordeaux, lo farebbero anche loro. E infine vorrei ricordare l’importanza delle tre W: Worship, Work, Win (Prega, lavora, vinci) che sono il mantra della nostra squadra».
Ho incontrato Sister Jean per la prima volta più di 30 fa alla Loyola University, poco dopo essere arrivata a Chicago. Ci siamo incrociate anche altre volte a eventi ufficiali dell’università in seguito, ma sempre molto superficialmente e molto tempo fa. L’ho rivista solo pochi giorni addietro per l’intervista. Adesso ha un ufficio nel Centro dove si ritrovano gli studenti. La sua porta è sempre aperta e i giovani entrano ed escono in continuazione dalla sua stanza. Ha un piccolo cellulare molto elementare, non manda messaggi, ma risponde sempre alle mail. Porgendole la mano ho cominciato a presentami. Lei mi ha interrotto, mi ha guardato fissa negli occhi e, con un grande sorriso, ha pronunciato il mio cognome, ricordandomi dove ci eravamo conosciute: «Tu hai insegnato qui da noi, sei italiana, sei sposata con George e balli benissimo». Francamente ero attonita. Quando poi ha cominciato a raccontarmi la sua vita la sorpresa è stata anche maggiore.
Nata a San Francisco da famiglia cattolica e molto amante dello sport, nel 1919, lo stesso anno in cui il Congresso approvò il diritto di voto alle donne, Jean la maggiore di tre figli, sentì la sua vocazione molto presto nella vita. In terza elementare una maestra le parlò delle suore dell’Ordine della Carità della Beata Vergine Maria (Blessed Virgin Mary: BVM) e Jean sentì che voleva essere una di loro. Negli anni della crisi del ’29 e della Grande Depressione, ancora bambina, afferma, imparò ad essere frugale nella vita quotidiana. Giocò a basket dal 1933 al 1937 e si fece suora del BVM, alla fine delle superiori, a soli 18 anni. La sua famiglia era molto originale. Ebbero perfino una scimmia, Jerry, portata da un amico del padre e nata in una nave proveniente dal Sud America. «Ogni mattina beveva caffè e mangiava pane tostato. Mia madre le fece perfino un golfino rosso che portava sempre. A casa abbiamo avuto per alcuni anni anche un piccolo alligatore. Lo tenevamo al posto del cane» – dice scherzando.
Sister Jean si trasferì a Dubuque in Iowa dove si trovava il quartiere generale dell’ordine delle suore del BVM, per poi tornare in California nel 1941 come insegnante e allenatrice sportiva. Poi si spostò a Chicago dove nel 1961 accettò il posto di docente al Mundelein College, una scuola femminile vicino alla Loyola University e frequentò gli eventi sportivi di ambedue le istituzioni universitarie. Dopo essere andata in pensione nel 1991 quando Mundelein College e Loyola University furono accorpate, è stata richiamata come cappellana della squadra di basket. Per 25 anni ha pregato con i giocatori, è divenuta una talent scout e ha fatto il punto con la squadra dopo ogni partita. «Non posso dire quando i giocatori hanno una brutta o una bella giornata, ma posso dirvi che sono giovani uomini forti e flessibili. Lavorano sodo!».
Racconta sorridendo alcuni episodi divertenti della sua vita. Come quando era a Los Angeles e insegnava ai figli di molte celebrità hollywoodiane come Bob Hope e Frank Sinatra. Un giorno nel 1953 le fu proposto di registrare alcune delle sue lezioni in televisione alla USC (University of Southern California), ma ci furono problemi tecnici e la registrazione non si poté fare. Allora Sister Jean ebbe un’idea. «Chiamai Bob Hope e gli chiesi se potevo usare i suoi studi e il permesso mi fu accordato. Cosi fui capace di fare le mie lezioni».
Il trascorrere del tempo per Sister Jean si muove sull’onda dei decenni. Si è battuta durante gli anni delle lotte per i diritti civili e ha assistito ad alcune manifestazioni contro la guerra in Vietnam. Quando le domando quale sia l’evento più traumatico a cui ha assistito nella sua lunga vita mi risponde senza esitazioni l’11 settembre che ha messo sottosopra il paese come neanche due guerre mondiali hanno fatto. «La mancanza di speranza e il terrorismo sono divenuti parte della nostra cultura: la rabbia e una paura profonda si sono infiltrate nella nostra società. C’è grande mancanza di amore. Ormai nel nostro mondo regna la confusione. La gente non sa più in cosa e in chi credere. Alcuni non vogliono la pace e non sanno come amministrare le proprie emozioni. In particolare i social media si mettono di mezzo perché non aiutano la gente ad ascoltare, cosa di cui invece c’è grande bisogno. Adesso si vuole sapere e vedere tutto subito. L’immediatezza non sempre va bene e l’essere sempre occupati a fare qualcosa neanche. Bisogna trovare del tempo per pensare e per fare questo bisogna ritrovare la calma e la tranquillità interiori».
Quando le chiedo qual è il segreto della sua lucida longevità mi risponde che prima di tutto è merito della genetica, ma aggiunge anche che, «celebrare la vita, svegliarsi la mattina felici di essere vivi e pieni di gioia, è importante. È bello stare con gli altri, pensare a quello che si può fare per gli altri, per la comunità. Dà un significato alla vita». Ricorda inoltre l’insegnamento di Sant’Ignazio di Loyola che alla fine della giornata facendo un bilancio delle proprie azioni si domandava: «”Come posso migliorare quello che ho fatto oggi?” Questo aiuta a non semplificare i problemi, ma a renderli semplici. Inoltre – conclude – mangio bene, dormo bene e, almeno spero, prego bene».
Infine alla domanda se è mai stata in Italia risponde che c’è andata due volte negli anni ’90. Quello che l’ha colpita di più oltre, ovviamente all’arte e alle bellezze naturali, è stata «l’ospitalità degli italiani che mi hanno accolta con grande affetto e generosità, doti essenziali per vivere in maniera davvero cristiana e che questo papa ci mostra con la sua pratica quotidiana».