Nicola Fano
A Palazzo Franchetti di Venezia

Novecento privato

De Chirico e Magritte, Andy Warhol e Leoncillo, Balla e Klee: una mostra racconta una personalissima chiave di lettura dell'arte del Novecento. Quella della famiglia Calarota che da Bologna è arrivata in Laguna

Una vetrina a Venezia è, ragionevolmente, il sogno di qualunque collezionista d’arte. Un sogno realizzato dalla famiglia Calarota, amanti e galleristi di più generazioni, che da qualche tempo fanno base nel prestigioso (da sé vale una visita) Palazzo Cavalli Franchetti a Venezia: un edificio maestoso affacciato sul Canal Grande – all’altezza del Ponte delle Accademie – che tradizionalmente ospita l’Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti. È qui che questa celebre famiglia di galleristi bolognesi ha iniziato una propria attività espositiva nei mesi scorsi; prima allestendo una mostra dedicata a Jean Dubuffet e al suo rapporto con Venezia, ora con una ricca esposizione intitolata tout court alla pittura del Novecento.

In realtà, specie in questo secondo caso (la mostra Il Novecento a Palazzo Franchetti resterà aperta fino al 16 febbraio prossimo ed è da non perdere), ed essere esposta è una collezione specifica; come tale personalissima ed esaustiva solo del gusto di chi con tempo, risorse e tenacia l’ha messa insieme. Infatti, il percorso espositivo (che non segue, forse giustamente, un criterio cronologico) pare porre l’accento su un particolare aspetto della pittura novecentesca: quello che ripensa continuamente la figurazione. Vuoi in chiave travolgente e metafisica (ci sono una Piazza d’Italia, nella foto accanto al titolo, e un Ettore e Andromaca di De Chirico che stupiscono per il loro gelido nitore), vuoi in chiave pop (da non perdere una Venere di Botticelli rivista da Andy Warhol); vuoi in prossimità dell’astrazione (c’è una bellissima “figura” di Paul Klee), vuoi nel segno del ritorno al rigore (da vedere dei Magritte in questo senso sorprendenti).

In ogni caso, l’angolatura scelta dal collezionista che qui si mette in mostra è sempre decentrata rispetto alla norma o alla consuetudine: non si spiegano altrimenti – per esempio – una serie di bei paesaggi di Giorgio Morandi, che sappiamo essere altrettanto importanti nella produzione del maestro bolognese, rispetto alle sue proverbiali nature morte, ma di queste meno celebrate (e popolari).

Insomma, a girovagare per le sale di questo splendido palazzo si ha l’impressione di mettere l’occhio nel buco della serratura di un appassionato d’arte con gusti personalissimi. Per ciò, forse, altro appellativo la mostra non poteva avere se non un richiamo generico al Novecento. Il secolo breve degli estremi, in arte, è segnato da un percorso creativo che ha subìto spesso accelerazioni e brusche frenate: non a caso, ai due estremi della mostra si possono collocare un bell’astratto di Balla (in piena temperie futurista, ma di lui, a inseguire il mito della figurazione, qui compaiono anche dei gatti futuristi antesignani del pop) e uno strepitoso graffio pittorico di Leoncillo. Ecco: come s’è detto, non è il criterio storico a sostenere questo viaggio nel Novecento, né è identificabile una (impossibile) pretesa di esaustività. È il gusto di un singolo collezionista a farla da padrone: il gioco – per il visitatore – è identificarlo sovrapponendo i propri occhi ai suoi. D’altra parte, proprio qui a Venezia troneggia la collezione Guggenheim che giusto su tale individuale gusto poggia la sua fama. In fondo, è proprio di Venezia raccogliere le sollecitazioni estetiche per quello che sono: specchio privatissimo di vocazioni pubbliche.

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