A proposito di "Kongo blues"
L’amore sconosciuto
Jonathan Robijn racconta la strana, misteriosa relazione tra un musicista jazz e una donna dalle mille identità. Per dimostrare che l'altro da sé, spesso, è meno estraneo di quanto appaia nella vecchia Europa
Un giallo che scorre tra le note jazz di un nero come Coleman Hawkins, maestro del sax tenore, e quelle di un bianco come l’inarrivabile trombettista Chet Baker. Una colonna sonora finemente allusiva, scelta dal 49enne Jonathan Robijn, rivelazione della letteratura belga contemporanea, ed evocata dalle pagine del suo romanzo Kongo blues che, dopo essere uscito in edizione originale nel 2017, ha raggiunto nel 2019 il cuore dell’Europa, con la traduzione dal fiammingo in tedesco di Jan-Frederik Bandel (Edition Nautilus, 176 pag., 15,19 euro, ebook 13,99 euro), presentata il 21 novembre presso la Goethe-Universität di Francoforte sul Meno in un incontro con l’autore, che ha studiato psicologia e sociologia e ha lavorato a lungo in Africa per Medici senza frontiere. Nella Bruxelles innevata del Capodanno 1988, il 33enne pianista jazz Morgan, di ritorno a casa alle sette del mattino da un concerto tenuto durante la notte di festeggiamenti, a un centinaio di metri dall’ingresso del vecchio palazzo in cui abita in una modesta stanza in affitto al primo piano, scorge una ragazza bionda in abito da sera nero, raggomitolata e addormentata a ridosso di un muro, probabilmente per i postumi di una sbornia.
«Devo chiamare un’ambulanza?», le domanda Morgan. La bella sconosciuta non risponde. «Ciao», continua Morgan a voce più alta, «nevica, non puoi rimanere ancora seduta qui». Nessuna reazione. La tentazione di andarsene è forte, ma Morgan immagina i titoli dei giornali: «Giovane donna assiderata. I vicini non hanno notato nulla». Teme inoltre di vedere al telegiornale la propria faccia esitante di fronte a un microfono: «E lei, signore?». Essendo la ragazza di corporatura snella, Morgan riesce a sollevarla con facilità e a trascinarla a casa sua. Mentre l’ospite inattesa alla quale egli ha tolto le scarpe si rigira sul letto, dove si è riaddormentata, da una tasca del suo soprabito cade una grossa busta da lettera non sigillata, che Morgan raccoglie rapidamente dal pavimento per poi risistemarla nella stessa tasca: contiene un milione di franchi (circa 25mila euro odierni), divisi in quattro mazzette da 250mila, cifra considerevole per una ragazza che non dimostra più di vent’anni. «Ma è chiaro, a Capodanno si ha bisogno di soldi», pensa Morgan, ammirandone la perfetta pelle chiara.
«Suona qualcosa», dice la ragazza al risveglio verso mezzogiorno, notando il pianoforte nella stanza. Morgan riprende un pezzo di Thelonious Monk, di cui alle tre del mattino gli era stato chiesto il bis, «jazz calmo, la musica ideale per introdurre il nuovo anno». A Simona, così si chiama la ragazza, che non rivela il suo cognome e si installa a casa sua con la scusa che gli hotel di Bruxelles sono al completo, Morgan racconta che il suo è invece un nome d’arte. Egli sa solo di essere giunto da piccolo nella capitale belga in aereo e di aver abbandonato la casa dei suoi genitori adottivi a 17 anni. Una volta incontrò un americano che suonava il pianoforte e si chiamava Morgan, che divenne il suo nome al posto di quello vero: Roman. A differenza di Morgan, che ignora dove sia nato, Simona sa di essere cresciuta in una villa con giardino nello Zaire, denominazione del Congo durante la dittatura di Mobutu Sese Seko, un amico personale del padre della ragazza, originario di Liegi, che lavorò già nei suoi anni giovanili come ingegnere ferroviario nel Paese africano, «in cui i diamanti crescevano sugli alberi».
Grazie a Simona, la vita dello squattrinato Morgan migliora vistosamente, tra un invito a cena in un ristorante in cui egli intuisce lo sconcerto di una cameriera, «in un locale che palesemente aveva solo di rado ospiti neri», come lui, e il rinnovo del guardaroba con «vestiti di marca e scarpe italiane». Ma al ritorno a casa, quando Morgan spegne la luce e si avvicina a Simona distesa sul letto, lei lo respinge: «Pessima idea». Un venerdì sera, in un altro locale, lo Spoetnik, Simona presenta a Morgan un conoscente, Walter, che guida una lussuosa Maserati rossa e ha anch’egli 33 anni. Alla fine di gennaio, Simona prende a noleggio per un mese una vecchia e meno appariscente Volkswagen Golf grigia, per dirigersi a Zurigo senza Morgan che, nel frattempo, si reca a casa di Walter, apprendendo dal proprietario che «il signor Du Bois», lo stesso Walter, è sparito di recente alla scadenza del contratto d’affitto. Morgan si appropria di alcune carte di Walter e scopre che, nel dicembre precedente, Simona Tremblay ha pernottato in un hotel di Bruxelles con un certo Jonas Vannieuwelingen.
A casa di Morgan piombano due poliziotti, che gli chiedono se conosca Simona Du Bois, il cui padre è morto da poco in un ospedale di Zurigo. Il nome e il numero di telefono di Morgan sono stati trovati dalla polizia francese su un biglietto che era in una tasca del soprabito dimenticato in un bar di una stazione ferroviaria dalla ragazza, sul cui conto in Africa risultano grosse somme di denaro di dubbia provenienza. Morgan sostiene di aver conosciuto Simona Tremblay, che porta il cognome della madre, Marianne Tremblay, suicida nel 1986 a 52 anni, che riposa nel cimitero di Schaarbeek, in una tomba non distante da quella della fidanzata di Morgan, Angela, scomparsa a soli 29 anni per un male incurabile. Simona Tremblay e Simona Du Bois sono la stessa persona, ovvero la sorella minore di Walter Du Bois, con il quale, insieme a Jonas Vannieuwelingen, è subentrata al padre nel traffico internazionale di diamanti. Il padre di Simona e Walter, che sono ora irreperibili, si chiamava Romain Du Bois, un nome molto simile a quello vero di Morgan: Roman. Nelle carte di Walter ricorrono anche un cognome, Vleminckx, e una data approssimativa: fine degli anni Cinquanta.
Jan Vleminckx è il sindaco settantenne di Durbuy, al quale Morgan va a fare visita spacciandosi per un giornalista che sta scrivendo un libro sul Congo ai tempi della dichiarazione di indipendenza dal dominio coloniale belga nel 1960, prima e dopo la quale Vleminckx vi soggiornò per anni in veste di funzionario statale. Il sindaco ricorda che i figli di padre belga e madre congolese venivano affidati alla missione cattolica di Save, situata nei pressi della città di Butare, nel sud del Ruanda, e successivamente dati in adozione. Poche settimane dopo il loro incontro, Morgan riceve da Vleminckx una foto in bianco e nero che ritrae due bambini, uno bianco e uno nero, all’incirca della stessa età, sui due o tre anni. Sul retro, la didascalia «Walter Du Bois e fratellastro». Il bianco aveva le stesse labbra sottili di Simona. Una storia d’amore impossibile, quella fra lei e Morgan, che invita a considerare l’altro da sé meno estraneo di quanto spesso appaia nell’Europa odierna.