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I falliti di Simenon
Georges Simenon cerca le vittime di "cattive stelle" in giro per il mondo; Paolo Di Paolo racconta Dostoevskij e Sellerio festeggia i suoi cinquant'anni con un bellissimo Camilleri postumo (e incompiuto)
I falliti. Ha viaggiato moltissimo, visitando anche Paesi lontani ed esotici. In ogni luogo ha trovato uno spunto narrativo. Di Georges Simenon, la Adelphi ha pubblicato la raccolta dei racconti (La cattiva stella, 167 pagine, 12 euro) scaturiti dalla sua curiosità, da incontri e piccole indagini (un po’ alla Maigret). Come si evince dal titolo, l’autore ha scritto di persone che non ce l’hanno fatta dopo aver lasciato l’Europa: per varie circostanze, anche tragiche e grottesche, hanno visto svanire le vecchie ambizioni. Il prete cattolico Ploué ogni giorno fa 118 passi, dalla chiesa alla laguna delle isole Marchesi e viceversa. Non distante da lui c’è un mormone americano, col quale si sente concorrente. L’occasione per emergere, dopo 22 anni, gliela offre la visita del “Monsignore”. Fervono i preparativi, tra mille difficoltà visto che nell’isola non ci sono foglie con le quali vorrebbe addobbare la chiesa. Rimedia con strisce di carta colorata, prepara un gruppo di ragazze cantanti, si assicura che l’unico albero, un arancio, rallegri il superiore. L’ha piantato lui raccogliendo a fatica la terra.
Nel giorno fatidico il cielo si rannuvola, è in arrivo una tempesta. Il Monsignore dà un’occhiata alla chiesa ornata di carta azzurra e rosa e commenta: «Di pessimo gusto». Si accorge che padre Ploué gli ha fatto trovare il vino. Reazione: «Avrei gradito non trovarlo nelle isole… le cattive abitudini si diffondono fin nel cuore del Pacifico». Per una serie di circostanze il Monsignore risale sulla nave. Il prete si accorgerà che l’arancio è stato abbattuto dal sacrestano perché le foglie sbattevano contro i vetri e ciò infastidiva l’ospite. Ploué si dispera e immagina «l’odioso sorrisino da yankee» dell’altro prelato. In un’altra zona tropicale, Simenon incontra il fiammingo Peeters, ingegnere mandato lì da una compagnia estrattiva. Non trova l’oro, vive di terribili stenti e la notte la sua catapecchia è invasa dai topi. Peeters inventa una particolare trappola, collegata col fucile. Simenon saprà, più tardi, che il fiammingo è stato ucciso con la pistola da un traditore locale, ma saprà anche che in quelle terre c’era da estrarre il platino. Una delle tante occasioni mancate di uomini falliti miseramente.
Gli altri. Uno dei più grandi difetti degli italiani è quello di voler scrivere romanzi, racconti e poesie senza prima essere lettori. E se si è lettori accaniti, è ancora meglio. Ricordo che qualcuno chiese a Stephen King quanti libri un narratore dovesse leggere. Rispose: «Una vagonata». Le letture ci fanno incontrare persone che nella vita normale mai incontreremmo. Inoltre: la prosa degli altri ci consente di scavare in se stessi, ed è da lì che l’avventura letteraria di ognuno parte. Lo scrittore romano Paolo Di Paolo, che è stato anche finalista al Premio Strega, ha riassunto in 27 capitoli i libri a lui più cari. Non si può che condividere, in linea di massima, la scelta. E ne ha fatto un libro, Vite che sono la tua, (edito da Laterza, 201 pagine, 11 euro). Imbarazzante scegliere: ogni autore ha un peso enorme nel panorama mondiale. Paolo Di Paolo estrapola frasi in maniera sapiente. Di Delitto e castigo di Fedor Dostoevskij afferma di «non aver letto niente del genere». Un autore povero, maltrattato, giocatore incallito, sovversivo. Essere vivo gli dà la nausea. Il russo avverte «un velo di cecità fra lui e il mondo», osserva Pietroburgo e lo spettacolo della decadenza, «repellente». Il protagonista di Delitto e Castigo, Raskòl’nikov, vive in una stanza minuscola, sei passi in tutto. C’è polvere, sporco, squallore. È uno spazio che somiglia al suo umore e il misero disordine, scrive, ha qualcosa di «persino piacevole». A pagina 100 Raskòl’nikov spacca la testa alla vecchia padrona di casa. E che succede nelle restanti 500 pagine? È qui la grandezza dello scrittore. Basta una frase per rendersi conto: «È il sangue che ti grida dentro. Succede, quando non ha uno sbocco, e comincia a guastarti il fegato, è allora che cominciano a sembrare cose che non esistono». Di Paolo vede l’assassino senza redenzione «trascinarsi per la città in un caldo insopportabile, che si incolla addosso come una colpa, e non se ne va mai più». Altri autori, altre pagine: così eccelse da far rabbrividire.
Lo Zen. Per la seconda volta l’editore Sellerio celebra i suoi 50 anni di vita (eccellente) mandando in libreria una raccolta di racconti, ognuno dei quali ispirato a un autore (tremila sono quelli sfornati dagli editori palermitani, Elvira ed Enzo). S’intitola Cinquanta in blu, 371 pagine, 15 euro). Era migliore la prima raccolta? Sì, a mio parere. Davide Camarrone si cimenta nella descrizione dello Zen 2, uno dei quartieri periferici di Palermo. Qui arriva una famiglia, e comincia lo spaesamento: delinquenza, spaccio, furti, attentati col fuoco, avvertimenti vari, incontri inconsueti, petardi festaioli, iniziative faticose per ospitare forme di civiltà e di cultura. Scrive l’autore alla fine: «Lo Zen al quadrato non è un quartiere come gli altri ma un organismo vivente, un mostro grasso e violento che inghiotte e digerisce ogni cosa. Un sistema di esseri viventi perfettamente connessi tra loro, proprio come nel comunismo. Le vite non si trasportano. Restano dove hai vissuto. Ne cominci un’altra, quando lasci la tua casa, perdendo qualcosa, nell’esilio». In esergo a un ottimo racconto di Giosuè Calaciuria (L’affaire Moro) c’è una frase di Leonardo Sciascia: «il dramma, signori, è tutto qui». La spagnola Alicia Giménez-Bartlett presenta il suo racconto citando Fitzgerald: «Dicono che sta per aprire una libreria. È segno che è pronta a rischiare sull’improbabile». Da non perdere, in questa raccolta un racconto incompiuto di Andrea Camilleri: pochi paragrafi, due possibili versioni.