Itinerari per un giorno di festa
Gente che va gente che viene
Con Picasso al “De Russie”, con Borges al “Locarno”, con Stendhal alla “Minerve”. E poi l’“Excelsior”, il “Plaza”, il “Quirinale”… Piccolo tour nei grand hotel della Capitale e con le loro storie. Di ieri e di oggi
Sono il contrario dei non luoghi. Eppure c’è gente che va e che viene, stanze spesso abitate per un solo giorno. Persone frettolose, solitarie, scocciate di stare fuori casa. Oppure impazienti di uscire, vedere altro e altri. Invece gli antichi alberghi di Roma sono luoghi per eccellenza. Cullano la fantasia degli scrittori, sono ritrovi per uomini politici, intellettuali, amanti. E regalano dalle loro terrazze scorci imprevisti. Mica soltanto a chi apre generosamente il portafoglio per un soggiorno da nababbo. Ora un cocktail al tramonto servito nel roof garden è alla portata delle tasche di tutti. D’estate un refolo alleggerisce l’afa, di questi tempi invece i giardini d’inverno consolano con i loro colori in attesa del ritorno della bella stagione. La vista comunque allarga il cuore. E allora, infiliamoci nelle porte girevoli, affondiamo i tacchi nei tappeti, sbirciamo chi ozia al piano bar. Indoviniamo le storie degli ospiti, fantastichiamo incrociandole. Come fece Vicki Baum nel suo Grand Hotel, il primo best seller del Novecento – uscì nel 1929 – portato al cinema da Greta Garbo e qualche anno fa ripubblicato da Sellerio.
Una storia è quella dell’artista e della pendola. L’artista è Gino De Dominicis, che tra l’altro siglò nel 2010 con il suo scheletro gigante l’inaugurazione del Maxxi. La pendola è quella dell’Hotel Locarno, in via della Penna, nel triangolo creativo di piazza del Popolo e degli atelier dei pittori di via di Ripetta. «Il Maestro ha corteggiato per molto tempo mia madre, Maria Teresa Celli, proprietaria dell’albergo», racconta Caterina Valente. «Voleva a tutti i costi la pendola sistemata nella portineria. Gli serviva per un’installazione da realizzare alla Biennale di Venezia. Mamma disse di no, non la prestò. Ma lui ha continuato a soggiornare da noi». Il fascino dell’Hotel Locarno – si chiama così perché lo volle nel 1925 una famiglia di svizzeri trapiantata a Roma – è nella sua atmosfera calma di primo Novecento: nelle penombre, nei mobili, nella quiete che traspira da ogni angolo. Non c’è nulla di gridato, di kitsch. Delizioso è il giardino-cortile con piccoli alberi e ciuffi di fiori colorati. Unisce i due edifici dell’albergo (il secondo risale al 1905, ha i soffitti a cassettoni, le vetrate a piombo, i pavimenti in stile veneziano). E la terrazza spazia dal Pincio alle cupole di piazza del Popolo. Hanno dormito in queste stanze Borges e Sepulveda, Carlo Cecchi e Sandro Veronesi, Isabella Rossellini e John Malkovich, Annie Girardot e Michel Piccoli. Ha dato il nome a un romanzo di Alain Elkann e nel 1978 al film di Bernard Weber.
Altri personaggi nelle suites del Grand Hotel de La Minerve, nella piazza con l’elefantino del Bernini che reca sulle spalle un piccolo obelisco. Il palazzo era nel Seicento dimora dei nobili portoghesi de Fonseca, l’albergo nacque due secoli dopo. Si mischiano le epoche: resti romani nelle fondamenta, una statua di Minerva del canoviano Rinaldo Rinaldi nel salone centrale, ristrutturazione nel 1924 di Pierluigi Nervi e nel 1990 di Paolo Portoghesi. Dalla terrazza si “tocca” la cupola del Pantheon sullo sfondo del Gianicolo, dell’altana del Quirinale, di Sant’Ivo alla Sapienza. Ovvio che fosse il ritrovo dei viaggiatori del Grand Tour. Gregorovius gli dedica alcuni dei suoi Diari Romani, George Sand vi affogò grandi inquietudini, Stendhal vi provò un pizzico della sua sindrome.
Picasso e l’impresario dei Balletti Russi Diaghilev fecero invece dell’Hotel de Russie, in via del Babuino, a un passo da piazza del Popolo, il loro quartier generale per preparare il trionfale debutto di Paradeal Teatro dell’Opera. Era il 1917, l’albergo era uso ospitare nelle sue suites gli zar. Incantati dal giardino che con una barocca scalea sale verso il Pincio e che sciorina alberi antichi, palme, roseti e dal giardino segreto, chiuso dal lato dell’albergo su via del Babuino, dove in ricordo degli originari alberi da frutto ora fioriscono gli aranci amari. Visse e morì nel 1891 in queste stanze Gerolamo Bonaparte, vi dormirono Strawinskji, Cocteau. Le feste dei nobili romani erano frequenti, specie per celebrare la conclusione della caccia alla volpe. Un mondo che ogni anno il De Russie rievoca con emozionanti mostre-evento. I bozzetti di Picasso due anni fa, i costumi che egli realizzò per i Balletti Russi lo scorso anno, indossati dall’etoile Manuel Parruccini che si è mosso sulle note di Satie e sulle coreografie di Massine. In queste settimane è allestita l’esposizione di un eccentrico, geniale artista italiano, Gaetano Pompa, scomparso nel 1998: le sue Mutmassugen (congetture, dall’origine germanica) sono onirici disegni miniaturistici con presenze del mito, animali fantastici, e, nelle opere esposte al De Russie, i personaggi usciti dalle opere di Strawinskji.
Dal Tridente a via Veneto. Ecco il Westin Excelsior, l’eclettico candido palazzo dove si favoleggia della Dolce Vita, dello struscio dei paparazzi, delle notti bianche di Flaiano e Fellini. E poi l’ottocentesco Grand Hotel Plaza, in via del Corso, dove si tenne il summit del 1957 per la nascita del Mercato Comune Europeo. L’Hotel Quirinale è uno spaccato della Roma umbertina, quando attorno alla Stazione Termini crebbe il viavai di stranieri e funzionari dell’Italia Unita. Un cedro del Libano centenario è il verde del giardino interno. E un lungo corridoio lo collega al Teatro dell’Opera, il glorioso Costanzi che faceva alloggiare qui le sue ugole. Quando cala il sipario è ancora la cornice dei gala, di elettrizzanti cene placé. I calici che hanno festeggiato il trionfale Nabuccodei 150 anni diretto da Riccardo Muti si sono levati qui.