Cronache infedeli
L’idiocrazia brasiliana
Il presidente brasiliano Bolsonaro è «idiota»? Se lo chiede il 39 per cento dei suoi “sudditi”. Ma è anche l'opinione corrente di molti commentatori internazionali. Ritratto del politico più pericoloso del momento
Una folla di oltre cinquecento persone che sgomita nella vasta platea di un teatro del quartiere Libertade, nel centro di San Paolo. Conferenzieri agguerriti, entusiasmo alle stelle, attenta copertura mediatica. È stato un vero successo, lo scorso 10 novembre, il primo congresso dei terrapiattisti (“terraplanistes”) brasiliani, chiamati a raccolta nella capitale economica del Paese contro la finzione eliocentrica e la cospirazione globoloide.
La stampa nazionale ha seguito l’avvenimento con seria attenzione, perché in questo grande Paese i terrapiattisti, alla soglia dell’anno di grazia 2020, godono di una inedita popolarità. Secondo un sondaggio pubblicato dall’Istituto Datafolha, il sette per cento dei brasiliani (circa 11 milioni di persone) è convinto che la terra sia un disco piatto, e che solo il muro di ghiaccio dell’Antartico impedisca all’umanità intera di precipitare come un fagotto nello spazio.
L’inedita credenza assume dimensioni massicce nei quartieri popolari, nelle campagne, tra i ceti meno istruiti e nella massa dei fedeli delle chiese evangeliche, oltre ad essere ben rappresentata ai vertici dello Stato da dignitari e civil servants sostenitori convinti delle teorie del “complottismo” internazionale. In una parola: gli stessi luoghi fisici, sociali e intellettuali che nel voto popolare di un anno fa hanno incoronato l’ex capitano dell’esercito Jair Messias Bolsonaro.
Il presidente, dunque.
Nella galleria dei mostri che oggi affollano il Gotha politico internazionale – da Trump a Boris Johnson, da Erdogan a Orban a Kim Jong-un – il leader della destra-destra brasiliana spicca per una sua sinistra originalità. Nero su bianco, il quotidiano Folha de Sao Paulo si interroga: «Ma Bolsonaro è intelligente?». L’editoriale prende spunto dall’esito di un sondaggio popolare secondo cui il 39 per cento dei brasiliani si dice convinto che il capo dello Stato non sia affatto intelligente. Peggio ancora: il 30 per cento degli intervistati definisce la nuovissima esperienza presidenziale “cattiva” o addirittura “terribile.”
L’uomo, da parte sua, è imbarazzante. È nota la sua fissazione per le questioni falliche. Rispondendo a un giornalista giapponese, ha affermato, per esempio, che gli orientali «ce l’hanno piccolo», e nei giorni del Carnevale ha postato su twitter un video sessualmente esplicito, a base di organi sessuali maschili. È nota infine la sua sgarbata polemica con il presidente francese Macron, invitato senza tanti riguardi a vergognarsi della sua “vecchia compagna”, mentre la terza moglie del presidente brasiliano è “bella e giovanissima”.
Sul versante dei diritti, il nuovo presidente può dar lezione a Donald Trump. Come militare e politico, Bolsonaro ha fatto carriera insultando donne, neri, ambientalisti e omosessuali. «Preferisco che mio figlio muoia in un incidente piuttosto che vederlo accoppiarsi con una creatura con i baffi»; gli immigrati sono immondizia, le Nazioni Unite un covo di comunisti, e «se un poliziotto non sa uccidere, non è un vero poliziotto». In storia, confessa di non essere preparato, ma ha invitato gli alti gradi delle forze armate a commemorare il colpo di stato militare del 1964 che aprì le porte a una dittatura durata ventuno anni.
A proposito di terrapiattisti, confessa di credere alla terra piatta anche il guru del presidente, Olavo de Carvalho, filosofo autodidatta e pittoresco teorico dell’estrema destra che dalla sua residenza in Virginia – parola del presidente – ha «dato origine alla rivoluzione che cambierà il presente e il futuro del Brasile». Questo sconosciuto pensatore, seduto alla destra di Bolsonaro nella sua recente visita a Washington, afferma tra l’altro che il dolcificante della Pepsi è composto da cellule di feti abortiti, proclama che la legalizzazione del matrimonio tra partners dello stesso sesso è l’anticamera della pedofilia, suggerisce che disastri naturali come il terremoto ad Haiti e l’uragano Katrina siano punizioni divine scagliate contro le tradizioni religiose africane. Un altro seguace del filosofo Carvalho, il ministro degli esteri Ernesto Arajuo, ha recentemente definito il nazismo «un movimento di sinistra».
Ma, fuori da questa bolgia di strepiti, stravaganze, pericolose ossessioni, analfabetismo muscolare, dove va davvero il Brasile di Bolsonaro? Che destino si prepara per il grande Paese straordinario e dolente, che solo dieci anni fa sembrava aver conquistato un posto sicuro nell’ élite economica del pianeta e correva con le locomotive dello sviluppo e della crescita globale? Le previsioni sono catastrofiche, come ammettono gli stessi alleati del presidente. Kim Kataguiri, un parlamentare che siede nei banchi della maggioranza, è lapidario: «Siamo ormai in stagnazione, e i mercati non scommettono un real sulla nostra capacità di controllare il debito pubblico e attrarre investimenti». Il banco di prova del governo doveva essere l’attesa riforma delle pensioni: un sistema perverso che concede straordinari benefici ad alcune categorie e che consente a un esercito di privilegiati l’uscita dal lavoro prima dei cinquanta anni.
A Planalto, tra i banchi del parlamento, tutti sono prodighi di ammonimenti sulla necessità di disinnescare questa bomba ad orologeria piazzata sul futuro prossimo del paese. «Il Brasile – dice il ministro delle finanze Paulo Guedes – spende per il sistema pensionistico dieci volte in più rispetto alla spesa per l’educazione: è come tentare l’attraversamento dell’Oceano su un aereo senza carburante». Ebbene: nessuno a Brasilia scommette più su questa riforma, perché il governo è paralizzato dal gioco delle consorterie economiche e politiche, dall’intreccio degli interessi privati. Resteranno dunque le pensioni d’oro, resterà la voragine nei conti pubblici. Ecco le mie previsioni per il futuro, avverte ancora Kim Kataguiri: «Non riusciremo a fare la riforma delle pensioni, scivoleremo nella recessione, e il governo sarà lasciato a sanguinare fino al decesso».
In un editoriale dal titolo esplicito (“L’uomo forte di carta”) The Economist enumera uno per uno i capitoli della crisi politica brasiliana e mette in conto una fine anticipata (“an early end”) della legislatura e della presidenza. Troppo facile, forse: se il peggior nemico del governo è il governo stesso, l’opposizione semplicemente non esiste, si è dissolta con il fallimento della presidenza Roussef, con le vicissitudini giudiziarie e con l’arresto di Lula. Ora che l’ex presidente è di nuovo libero, promette battaglia nel Paese e nel parlamento, ma la sinistra brasiliana soffre dello stesso morbo insidioso di tutte le sinistre del pianeta, dal continente americano all’Europa. Nessun cambio generazionale, nessun uomo (o donna) nuovo all’orizzonte, mesto sventolìo delle vecchie bandiere ma nessuna nuova idea all’altezza dei tempi. Lula ha ormai 74 anni, ed è in ogni caso un sopravvissuto, perché le sue vittorie e il suo appeal risalgono a quasi venti anni fa. Nel frattempo il Brasile è cambiato e l’onda impetuosa del sovranismo ha tracimato ovunque nel mondo.
Del resto, Jair Messias Bolsonaro è il perfetto golem del nostro tempo. Lo ammette lui stesso: «Non sono nato per fare il presidente, sono nato per fare il soldato». È vero: il figlio maggiore di Gerardo Bolsonaro e Olinda Bonturi, veneto di terza generazione, è stato catapultato sullo scranno più alto del Brasile quasi a sua insaputa. Ha vendemmiato i voti dei militari, degli evangelici e degli anti-globalisti agitando idee elementari e propositi di rivalsa sociale e di classe. Egli stesso, nel profondo, è un terrapiattista, convinto che la distruzione galoppante dell’ecosistema amazzonico sia come bruciare le stoppie nel giardino di casa. Un uomo solo e infelice al comando, costretto per contrappasso a confidare sulla moderazione degli alti gradi militari. «Il nostro stile è conciliante, non incendiario, noi conosciamo bene i rischi dell’estremismo», ammonisce l’uomo forte del governo, generale della riserva Augusto Heleno Ribeiro.
In un commento divertito, ma non troppo, il corrispondente di Le Monde da San Paolo avanza il sospetto che l’intero Brasile sia ormai sul punto di trasformarsi in una “idiocrazia”, una terra di idioti. La citazione si riferisce al titolo (“idiocracy”) della commedia culto di Mike Judge, che descrive con amara ironia una società impantanata nelle sabbie mobili dell’anti-intellettualismo, del mercantilismo e della degradazione ambientale. Con una differenza non di poco conto: nel testo teatrale viene dipinto uno scenario distopico del futuro dove il livello di intelligenza medio raggiunge quote talmente basse da mettere a rischio la sopravvivenza del genere umano. Al contrario, nel Brasile dei Bolsonaro gli umani infettati dal virus dell’idiozia continuano a riprodursi con ritmi da record.