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Gli appunti di Poe
I quaderni dove Edgar Allan Poe appuntava le sue riflessioni sulla letteratura e sulla società, l’ispettore capo Morse di Colin Dexter e la Firenze di Marco Martinelli (non solo quella dantesca)
Veleno. Andava al massacro delle banalità. Non tanto nei suoi racconti, quanto nelle recensioni che faceva per i giornali e negli scritti privati. Crudele, geniale, a volte capzioso: così emerge la figura di Edgar Allan Poe nel libro pubblicato da Adelphi (Marginalia, 249 pagine, 14 Euro). Esempio di alterigia, in un suo quaderno: «Il disprezzo – dice un proverbio orientale – penetra fin dentro il guscio della testuggine; esistono però esseri umani che, in fatto di impermeabilità, si sentirebbero oltraggiati dal paragone con il guscio di una tartaruga delle Galapagos».
Se la prende anche con Montaigne che sostiene che «la gente parla di pensare ma da parte mia, non inizio mai a pensare finché non mi metto a scrivere». Ecco il commento di Poe: «Un sistema migliore per lui sarebbe stato quello di non mettersi mai a scrivere prima di aver smesso di pensare». Una sua velenosa recensione: «Il suo cervello! – ammesso che l’abbia – si trova essenzialmente a proprio agio con futili statistiche, pettegolezzi insulsi e commenti sdilinquiti, acconciati a sembrar profondi; mentre l’idea che si arrischi a una composizione è una chimera».
Oxford. Mente arguta, grande lettore, ipocondriaco, forte bevitore, fantasioso, melomane, scontroso: questo è (anzi era, visto che è morto come, di recente il suo creatore) l’ispettore capo Morse, fortunato protagonista dei romanzi dell’inglese Colin Dexter (che era anche docente di latino e greco). In quest’ultimo romanzo, Il giorno del rimorso (Sellerio, 510 pagine, 15 euro) si deve risolvere un caso molto complesso. Viene trovata uccisa Yvonne, donna sui 45/50 anni, nuda, legata con le manette al letto. È bondage. Suo marito, bancario, è a Londra e si precipita a Oxford, dove c’è la villa con l’allarme in funzione (particolare che sarà un grattacapo per gli investigatori, ossia Morse e il sergente Lewis). Poco dopo, in circostanze singolari, muoiono tre uomini: legati al caso? Pare di sì. Sta di fatto che Dexter di ogni personaggio offre un profilo anche psicologico. Morse all’inizio non vorrebbe occuparsi della faccenda (e ci sarà un perché), poi indaga. A modo suo. Il suo metodo, in coerenza con il suo non facile carattere, è quello di esaminare l’intuizione che ha avuto subito e non procedere, salvo qualche eccezione, gradualmente. È un giallo corposo, classico, scritto magistralmente, che si snoda tra i pettegolezzi di piccoli centri e nei pub. Il lettore più colto rimarrà affascinato da molte citazioni. E anche dalla descrizione che l’autore fa dell’ispettore capo, solo e disordinato. Per esempio: «Morse era sempre stato più in sintonia con gli adagi della vita che con gli allegri; e casa sua rifletteva la predisposizione malinconica».
Firenze. Ormai sono in molti a trarre, e a divulgare, i benefici dalla lettura dei grandi classici. Ci prova anche Marco Martinelli – che è anche un affermato protagonista del nostro teatro – con Nel nome di Dante (Ponte alle Grazie, 153 pagine, 14 Euro). Ma il risultato migliore, in questo caso, è il racconto di come visse e di quanto patì l’Alighieri. Il padre della lingua italiana quando era adolescente passeggiava in una città che contava 40/50 mila abitanti (poche città europee superavano i 100 mila residenti). Città estremamente rissosa quella del giglio – o meglio: del fiorino – dove duellavano i guelfi (filo-papali) e i ghibellini (pro-Imperatore, Federico II). Dante sarà ghibellino, però nero e non bianco: altra distinzione, antesignana di future frammentazioni politiche. Lo scontro non era solo ideologico. Chi vinceva in un dato periodo si lasciava andare a sventramenti di case, distruzione di negozi, confische di beni e punizioni tremende. Dante, che oltre a essere poeta gentile si occupava di politica, se la cavò con l’esilio. Se ne va con rancore e tutto il rancore è nella sua Divina Commedia. Riferendosi, nel Paradiso, alla sua città, scrive «L’aiuola che ci fa tanto feroci». Firenze è il “maledetto fiore”, con riferimento non alla botanica ma al denaro (il fiorino). E Beatrice faceva di cognome Portinari? Certo, ma i più acuti studiosi sentenziano che la donna incontrata quando aveva nove anni non diventò altro non fu e diventò “la donna ideale”.