Pier Mario Fasanotti
A proposito di “Bugie d’estate”

Nebbia di coppia

Nei (bellissimi) racconti del tedesco Bernhard Schlink c'è sempre la sensazione forte di incertezza e di inadeguatezza che si prova anche di fronte ai grandi amori. Le opacità della vita di coppia diventano il terreno vitale delle sue narrazioni

Un uomo, una donna. S’incontrano poi si lasciano, poco importa quando. Oppure stanno insieme perché lo vogliono entrambi. In ogni caso ci sono differenze tra lui e lei. Questo è il copione classico di tanta letteratura, oggi così tanto sfruttato da scrittori mediocri. Così mediocri che il lettore sa già dove si andrà a parare. Oppure, proprio per questo, si affeziona al libro, che non offre sorprese in forma di problemi sottili. Diversa è la musica quando ci si imbatte in un autore sapiente nell’entrare negli interstizi della coppia. Ce ne sono, eccome. Anche se bisogna andarli a cercare o avere la fortuna di incontrarli. È il caso di Bernhard Schlink, uno dei maggiori scrittori tedeschi contemporanei (è nato nel ’44). Il suo nuovo libro, Bugie d’estate, (pubblicato in Italia da Neri Pozza, 286 pagine., 17 Euro) contiene sette racconti incentrati su ciò che dicono e fanno un uomo e una donna (uno di essi s’incentra però sulla relazione padre-figlio). Senza mai scivolare nell’ovvio, nel prevedibile o nella banalità.

Prendiamo, per esempio, il primo racconto. S’intitola Fine stagione, ed è ambientato al Capo, località di mare dove piove quasi sempre e la nebbia s’infiltra nella vegetazione e tra le case. Lui si chiama Richard, è un orchestrale di Berlino, né ricco né povero; spesso si esibisce a New York. Lei si chiama Susan, è americana, ricchissima ereditiera, proprietaria di una villa al Capo e di un intero stabile nella più elitaria Mahnattan.

La loro storia prende il via sulla spiaggia, con un reciproco saluto, per nulla ammiccante. Poi si ritrovano allo stesso tavolo del bed&breakfast, dove lui ha una camera. Il quarantenne Richard discorre con la quarantaduenne Susan, occhi piccoli e vivaci anche se non affascinanti; è più interessante che bella. Ognuno dei due parla di sé. Lui racconta di riposarsi e di fare esercizi con il dito: da flautista non si può permettere di sbagliare. Come mai è in vacanza fuori stagione? Non ha i mezzi per viaggiare in estate. Susan lo ascolta, mai in tono derisorio. Gli racconta di recarsi spesso a Los Angeles, dove ha un’attività. Fanno lunghe passeggiate sulla spiaggia, fanno il bagno anche quando piove. Nessun imbarazzo nel trovarsi nudi l’uno davanti all’altra. Richard da tempo s’interroga sulla sua vita solitaria. Susan, divorziata da tempo e senza figli (che avrebbe voluto), confesserà di aver aspettato il compagno a lei più adatto. I due, ormai trasferitisi nella villa di lei, fanno l’amore. Con una calma che rassicura soprattutto lui, timoroso di non essere all’altezza e di dover rispondere al ritornello così consueto: “Come è andata?“, “Ti è piaciuto?“. Il musicista s’interroga sempre sulla possibilità di condurre, da solo, un’esistenza decente o addirittura serena. Lo spaventa, ora che ha conosciuto Susan, il tentativo di essere all’altezza degli altri, o comunque della persona (o delle persone) a lui vicina. Ecco perché desidera sapere degli uomini di Susan. Scopre che i racconti di lei sfociavano sempre in progetti per un futuro comune. Ma Richard si sente all’altezza, a parte la disparità economica?

Un giorno vanno al supermercato. Paga lui e pensa che così troverà il rosso in banca. La sua carta di credito è limitata. Con quella breve convivenza estiva, emerge una differenza comportamentale e sarà lei a farglielo notare: «Come sei europeo!». L’Europa, rivela indirettamente, è la patria di Freud. Il disagio di non poter competere riguarda anche i sentimenti. Richard ammette di provare alcune paure, e certe possono essere bloccanti. Ma non è così, con lei accanto. S’interroga sull’abbandono e sulla passione con cui Susan dice di provare. Le crede, almeno per un po’, ma poi avverte che «qualcosa non torna». Pensano vi vivere insieme a New York. Richard avrà vestiti adatti per fare bella figura in strada con lei al fianco? Viene confortato dal fatto, più volte sottolineato da lei, che «Insieme si sentivano a casa dappertutto». L’amore lo fanno preferenzialmente quando il sole cala. Ma in Richard permane un dubbio: e se lei volesse un grande impeto, una pulsione quasi feroce da indurlo a strapparle i vestiti di dosso? L’amplesso è sempre calmo, e appagante. La furia sessuale accadrà per iniziativa della donna, dopo una banale litigata durante la quale lui si sente messo da parte a causa di una telefonata che trattiene Susan a casa.

Emerge sempre, nei racconti di Bernhard Schlink il timore di “non essere a posto“, di non essere in perfetta sintonia con il partner. Nessuno parla, se non indirettamente, di compenetrazione sentimentale, ma l’interrogativo-disagio si spalma nei giorni e negli anni. Lasciata la località marina, Richard s’installa in un piccolo appartamento newyorkese, mentre lei annuncia di voler raggiungere, dopo un periodo a Los Angeles, il suo grande appartamento, da upper class, nella “grande mela“. Il musicista si costruisce a poco a poco una vita di serena routine: partita a scacchi con un amico, colazione al solito ristorante italiano e persino esibizioni musicali con giovani di strada. Ma Susan sta per arrivare. Richard ha raggiunto il suo equilibrio, ma è terrorizzato di doversi trasferire nel mondo dell’alta borghesia.

L’autore di Bugie d’estate insiste sempre sulla distanza, poco importa se emotiva o geografica, o entrambe. E lo fa senza stereotipi, come avesse dentro di sé le esperienze dei personaggi che scaraventa sul palcoscenico della scrittura. È qui la sua bravura. Ha il dono di infilarsi disinvoltamente sia nella testa di un uomo sia in quella femminile. Nel racconto dove si parla del rapporto padre-figlio, attribuisce un pensiero al genitore (frustrato): «Ecco la fine dell’amore. Sentirsi soli malgrado la presenza altrui, come se l’altro non ci fosse».

Il tema della solitudine emerge anche nel racconto L’ultima estate. Qui si parla di un uomo avanti con l’età (circondato dai nipoti) che dalla Germania si era trasferito in America, come insegnante universitario. A New York è stata dura a causa dei rumori, anche quello dell’aria condizionata e del chiasso cittadino. È stato tenace:  «Non aveva voluto ammettere a se stesso di essere infelice. Lui voleva essere felice». Quindi scatta la non facile ricerca degli «ingredienti della felicità». Il suo disagio è da far risalire all’infanzia, quando lo assaliva la paura di partire e abbandonare il proprio mondo e gli amici. La volontà, e un matrimonio tranquillo, attenua lo sconforto, anche se, ammette da anziano, «qualche volta percepiva una sottile voce interiore sollevare dei dubbi».

Non esiste una regola, la certezza è un edificio costruito male e in grado di sgretolarsi da un momento all’altro. Qual è la vita, del resto. Nella sua casa al lago trova il silenzio: «A lui era piaciuta l’idea che ci fosse un piccolo suo regno, dove entrare e uscire a proprio piacimento». Aveva un nascondiglio, ricavato da una rimessa. Ma in quell’ultima sua estate preferisce sedersi su una panchina, ad ammirare il lago, seguire i gesti dei nipoti. Serenità e inquietudine, nei racconti di Schlink, si abbracciano come amanti testardi. L’uomo del lago, ancora attivo professionalmente, sente che la moglie prepara da mangiare e sa che un suo nipote lo verrà a chiamare. «Poi pensò che aver capito chiaramente che la sua era stata una felicità fallace non era da considerare un fatto negativo». Non accantona la consapevolezza che quella è davvero la sua ultima estate. Va bene così, si dice. «Voleva andarsene perché gli ultimi mesi che aveva davanti a sé sarebbero stati terribili. Non che non fosse in grado di sopportare i dolori, no. Se ne sarebbe andato solo nel momento in cui fossero diventati davvero insopportabili». Un triste ingrediente per essere, ancora un po’, felice.

—–

Accanto al titolo, “Il bacio”, 1925, di Pablo Picasso

Facebooktwitterlinkedin