Dal nostro inviato al Lido
Falsi (d’autore)
Le due facce del cinema italiano alla Mostra: Pietro Marcello racconta a modo suo un Martin Eden dei nostri giorni; Francesca Archibugi ricama sul disagio sociale senza mostrare di conoscere davvero che cosa sia
La Mostra procede, e procede piuttosto bene, nonostante alcuni passi falsi che appartengono ad ogni concorso. Non c’è però dubbio che le premesse siano state fino al momento onorate e dal nostro punto di vista a parte Pablo Larrain deludente con il suo Ema tutti hanno rispettato le consegne, nel senso di aspettative. Ieri è stato il giorno del secondo film italiano in concorso, Martin Eden di Pietro Marcello, un altro regista italiano capace, con tre soli lungometraggi all’attivo, di definire uno stile personale e riconoscibile. La storia è molto liberamente tratta dal romanzo omonimo di Jack London e il ruolo del giovane tormentato protagonista è stato affidato a Luca Marinelli, autore di un’altra prova davvero notevole. L’evoluzione o meglio lo sviluppo del personaggio avviene in una Napoli priva di elementi temporali certi e riconoscibili in cui l’uso di costumi e dettagli impediscono l’attribuzione ad un preciso contesto storico. L’attualità, diremmo, è quel periodo storico, l’adesso e sempre, temiamo. La parte squisitamente cinematografica è quella più riuscita del film del regista casertano. L’uso di un repertorio variegato ed originale conferisce alla pellicola una mescola visiva straordinaria che a nostro avviso non viene sorretta, almeno nella seconda parte del film, da dialoghi altrettanto convincenti. Comunque, averne di registi così, se non altro per il coraggio e l’improntitudine.
Tra gli altri film in concorso vi rendiamo conto, scusandoci per il ritardo, di Joker diretto da Todd Phillipps. Innanzitutto grazie per avere messo in concorso questo film, che magari potrebbe aver fatto storcere la bocca a molti puristi legati «all’autorale e non voglio sapere altro». Anche se, in realtà, Joker è un grande film d’autore che passa attraverso la magnifica interpretazione di Joaquin Phoenix, che dà vita anima corpo e cuore ad un personaggio ricco di sfaccettature e di toni solo in apparenza esasperati. In realtà tutto è calibrato per la definizione di un rivoluzionario suo malgrado e che suo malgrado attraversa tutto quello che il dolore può riservarci. Joker è un personaggio ad un’unica dimensione che le contiene tutte. È un puro che come tale può solo generare dolore in chi lo venera e in chi lo considera un esempio da seguire.
Tra i film italiani non in concorso vorremmo spendere due parole per Vivere di Francesca Archibugi. La storia è quella di due coniugi, lui Adriano Giannini, lei Micaela Ramazzotti. Lui giornalista online specializzato in fake news, lei istruttrice di ginnastica per signore in sovrappeso. Lui ha un figlio adolescente avuto da una precedente relazione con la figlia di un oscuro potentato, insieme hanno una bambina che soffre di asma psicosomatica. Lui si porta a letto tutto ciò che respira, lei fa di tutto per farsi sentire da lui che però non la sente. Poi lui dice «sono infelice», giuro, testuale. E si porta a letto la giovane scozzese, ultracattolica, che però quando rimane incinta decide di interrompere la gravidanza. Vi risparmio alcuni dettagli tricotici che diventano oggetto di discussione al momento dell’operazione. Naturalmente l’oscuro potentato tira le cuoia sul letto di un trans, che però lo ama come nessun altro «perché lui era buono». Direi che può bastare. Il finale è assegnato a Marcello Fonte, vicino di questa famiglia che potrebbe essere definita disfunzionale solo da chi le famiglie disfunzionali non le ha mai conosciute. Anche perché il buon Marcello, nel ruolo di un oscuro impiegato, vive solo, osserva e alla fine realizza che lui, quella famiglia lì, la invidia, perché loro vivono. Gesù. E sapete chi invidia quelle famiglie lì? Chi non ha mai vissuto quelle situazioni lì, chi non ha mai mangiato, cito a memoria, il «pane duro», chi è sempre stato, cito ancora a memoria, un «auto-ottimato». Saper girare, bene, per raccontare queste storie non serve, bisogna… come si dice? Ah sì, bisogna vivere. Sul serio.