Periscopio (globale)
Il diavolo probabilmente
Nasceva trecento anni fa Jacques Cazotte, scrittore eccentrico e visionario che ha affascinato autori come Nodier, Nerval e Flaubert. Il suo “Le diable amoureux”, un successo editoriale anche in Italia, è considerato uno dei capostipiti del romanzo gotico e della letteratura fantastica
La leggenda narra che un anno prima della Rivoluzione francese, durante una cena di notabili ostili a qualunque mutamento sociale, lo scrittore Jacques Cazotte abbia previsto e lumeggiato nei più vividi particolari non solo i successivi sconvolgimenti e l’involuzione che avrebbe poi portato al predominio del Comitato di salute pubblica e al Terrore, ma la morte, a esso legata, di ciascuno dei commensali nei termini esatti in cui sarebbe poi avvenuta. Considerando la personalità di Cazotte verrebbe davvero voglia di crederci, ma a quanto pare si tratta solo di una diceria propalata da un collega scrittore, Jean-François de la Harpe, e forse manipolata da altri a fini propagandistici, che ha finito però per contribuire alla creazione del mito di Cazotte quale personaggio eccentrico e visionario, oltre ad affascinare in seguito altri scrittori come Nodier, Nerval e Flaubert.
In modo forse più modesto e meno stimolante, Cazotte sembra essere stato più che altro un figlio del proprio tempo, rampollo di una famiglia benestante che aveva tutto l’interesse a difendere i propri possedimenti in un periodo di pericolose turbolenze politiche. Nasce il 7 ottobre di trecento anni fa a Digione, frequenta un collegio di gesuiti, si trasferisce poi a Parigi, dove lavorerà per l’amministrazione della Marina francese, e un lustro più tardi, sempre per lavoro, alla Martinica. Lì conosce e sposa la figlia di un consigliere reale, da cui avrà tre figli e con cui si ritirerà, al ritorno in patria, in una casa di campagna, dedicandosi negli ultimi anni alla letteratura, alla religione – farà parte dell’ordine dei martinisti – e alla politica. Quest’ultima passione gli sarà però fatale: sindaco del paesino di Pierry, nella Marne, e monarchico, all’avvento della Rivoluzione si opporrà a essa con tutte le sue forze, considerandola l’incarnazione del Male assoluto. Viene arrestato dai giacobini che tanto detestava il 10 agosto 1792 e giustiziato il 25 settembre sulla parigina Place du Carrousel.
Se gli esordi letterari di Cazotte – La patte de chate Le mille et une fadaises– rappresentano oggi, malgrado le loro qualità parodistiche, più una curiosità che altro, e anche il successivo L’aventure du pélérin, un apologo di denuncia della superficialità e delle mode in voga presso la Corte, resta, per quanto elegante, un lavoro di genere, la vera svolta artistica si avrà con il libro che lo ha poi reso famoso, per ragioni che vanno anche al di là dei meriti strettamente letterari. Mi riferisco naturalmente a Le diable amoureux, del 1772, fortunatissima storia d’attrazione e repulsione fra un giovane soldato e, appunto, il diavolo, che come vedremo assume varie forme, e in particolare in una di queste è particolarmente tentatore, ma anche, una volta tanto, particolarmente tentato.
Il racconto ha sempre rappresentato un buon successo editoriale: da noi, per esempio, nel corso degli anni ne sono uscite diverse versioni, dalla traduzione di Franco Cordelli del 1992 per SE, poi ripresa da Einaudi, a quella recentissima di Ugo Dettore per Quodlibet (con uno scritto di Ermanno Cavazzoni), passando per la versione di Gaia Panfili (Donzelli, 2005), arricchita da un racconto di Andrea Camilleri e a sua volta ripresa da Feltrinelli nel 2012, a quella di Isabella Mattazzi (Manni, 2011), autrice anche di un attento studio, una precisa e condivisibile analisi dell’opera di Cazotte e del Diavoloin particolare. L’interesse deriva anche dal fatto che, pur nella sua brevità, il testo è considerato, in particolare dopo gli studi di Todorov, uno dei capostipiti del romanzo gotico e in generale della letteratura fantastica, seguendo di appena otto anni Il castello di Otrantodi Walpole, uscito nel 1764, e precedendo di molto il Monacodi Lewis, che è solo del 1796.
Ma di cosa parla Il diavolo innamorato? La storia è relativamente semplice, ma le vere insidie per il lettore si celano nei dettagli, ragion per cui dovremo procedere con cautela. Il protagonista, come dicevo, è Alvaro, un giovane capitano delle guardie del re di Napoli, inesperto, sbruffone e arrogante come tutti i personaggi di questo tipo, ma dotato anche di un certo coraggio e di una certa innocenza. Attratto dalle ambientazioni esoteriche, Alvaro si ritrova a invocare Belzebù fra le rovine di Portici (Ercolano), da poco riesumate. Il diavolo non si fa attendere e rispondendo alla provocazione gli compare sotto le sembianze di una testa di cammello che giustamente e senza tante perifrasi gli chiede cosa mai voglia. E cosa può volere un giovane soldato? Tutto, naturalmente: denaro, amori, avventura, divertimento, il soddisfacimento di ogni pulsione. Ecco allora che il diavolo, venuto in suo soccorso, si sottopone a una serie di trasformazioni a seconda, si direbbe, delle esigenze del nuovo padrone: diventa un cagnolino, una raffinata cantante d’opera e infine Biondetto/Biondetta, strano incrocio di paggio, maggiordomo, domestico e assistente personale dalla natura androgina, ma dotato di una curiosa, inspiegabile bellezza, un personaggio che si andrà trasformando sempre più in una dama elegante con cui il Nostro potrà viaggiare per la penisola, approdando in un primo tempo a Venezia, scenario per eccellenza di ogni passione. Qui i due vivranno un amore fatto di schermaglie e fughe, di diffidenza e scontri dialettici, un amore che è anzitutto lotta (in primiscontro se stessi e le proprie predisposizioni, oltre che contro le convenzioni) ma anche resa al capriccio.
Il gioco di Cazotte è però sottile: se per certi versi Biondetta può essere vista come l’ennesima incarnazione della donna tentatrice, demoniaca e perversa sulla scorta della tradizione cattolica, al tempo stesso rappresenta per il giovane, sprovveduto ed essenzialmente ignorante Alvaro una personalità antagonistica forte, dalle idee, opinioni e cognizioni ben pronunciate; cognizioni che naturalmente non le provengono dal fatto di essere una leggiadra fanciulla, ma da tutta l’esperienza millenaria che il diavolo ha maturato nonché dalla cultura del secolo dei Lumi che ha assorbito (si vedano a mo’ d’esempio la difesa dell’unione libera e delle libere passioni rispetto al matrimonio, l’esaltazione della natura e della scienza, il fastidio nei confronti dei legami familiari tradizionali). Tutt’altro, in ogni caso, che un personaggio passivo, languido e avvolgente, come vorrebbe certa iconografia per le figure muliebri, ma un diavolo che quasi con sorpresa scopre invece il proprio desiderio e le proprie pulsioni, non provando alcun imbarazzo nel cercare di soddisfarle. Il rapporto fra i personaggi, in qualche modo, si capovolge: di fronte a Biondetta il presunto seduttore Alvaro si ritrova con le armi spuntate e diventa più che altro oggetto di desiderio, mentre la fanciulla, che tradizionalmente dovrebbe essere sedotta, si trasforma nel vero motore dell’azione, soprattutto durante il soggiorno nella città lagunare.
Quel che succede poi è che, nel tentativo di raggiungere la tradizionalista e ostica Estremadura, dove vive la madre di Alvaro, donna Mencia, per presentarle Biondetta e riceverne l’assenso all’inevitabile matrimonio, il protagonista e la sua amata/amante andranno incontro a una serie di avventure, fra cui una tempesta spaventosa, avventure che sanciranno l’impossibilità di una riconciliazione degli opposti, di un’accettazione cioè del diavolo da parte di una famiglia (o meglio, di una madre-padrona) che più cattolica e tradizionalista proprio non si potrebbe. Lo stallo è completo: il diavolo innamorato, Biondetta, non può impossessarsi dell’anima dell’amato – il vero campo di battaglia, come lo definisce Cazotte – finché questi non si libererà completamente e volontariamente dalle ascendenze materne, e d’altra parte Alvaro non riesce a trascurare completamente i suoi obblighi filiali, che lo trattengono al di qua della perdizione. Se la prima versione, mai pubblicata, prevedeva il trionfo finale del diavolo, con echi quindi eminentemente faustiani, e quella del 1772, per converso, il salvataggio del protagonista che trova riparo nella religione e nei valori tradizionali, nell’epilogo all’edizione del 1776 – quella che leggiamo oggi – Cazotte stesso riferisce che i lettori suoi contemporanei di questa conclusione non erano affatto convinti. Al punto che lo scrittore cercherà di conciliare le diverse esigenze (quella del decoro e quella della modernità) operando una serie di modifiche testuali che renderanno il testo, e soprattutto il suo finale, una vera “opera aperta”.
Aperta innanzitutto su tre possibili scioglimenti, quello della prima versione, quello della seconda e l’ipotesi di un sogno o fantasticheria che spiegherebbe tutto senza spiegare, ahinoi, nulla, salvo suggerire che Alvaro si sia limitato a rimuovere – ma non certo a cancellare – l’elemento istintuale disturbante che Biondetta rappresenta. La presenza come deus ex machinadi una specie di esorcista, presentato da donna Mencia nel contesto oscurantista dell’Estremadura come un sapiente, tale Quebracuernos (e il nome è già tutto un programma), aggiunge alla vicenda un tocco di piacevole ironia. Neanche lui, tuttavia, potrà rimediare al fatto che il diavolo è ormai definitivamente dentro di noi, nelle nostre insoddisfatte personalità, e si manifesta nella tensione continua fra realtà dei fatti e desiderio, fra l’accettazione delle aspettative sociali e le nostre inconfessate, e a volte inconfessabili, aspirazioni.