Viaggio nel cuore dell'Europa
Cantiere Bruxelles
Bruxelles 2019, ovvero la confusione che non ti aspetti: cantieri e mercati, boulevards ottocenteschi e mura medioevali, euroburocrati e turisti. Tutto questo (e altro) è la città simbolo di quel caos che continuiamo a chiamare Europa
Non c’è spicchio di cielo dove non svettino gru e ad ogni angolo di strada spuntano cantieri. Una polvere sottile e bianca, più sabbia che materiale di risulta, si posa sulle scarpe e rende scivolosi i passi. Avvisi compilati a mano informano delle date di inizio e fine lavori mentre la segnaletica rimovibile aggiorna costantemente i residenti dei tratti di marciapiede dove ieri si poteva parcheggiare, oggi no. Benvenuti a Bruxelles, impegnata in questo scorcio d’estate a rinnovare le pavimentazioni, costruire o ristrutturare edifici, migliorare la viabilità e rendere il centro plus respirable, vert, agréable. E per anticipare le lamentele, un manifesto col rendering di Boulevard Anspach, fornisce un indirizzo email e recita: Domande o commenti? Ti ascoltiamo!
Da molto tempo associamo l’immagine di Bruxelles a quella delle asettiche architetture davanti alle quali si fanno inquadrare i nostri corrispondenti dall’Unione Europea, ma la città – che pure negli ultimi 60 anni ha orientato il suo sviluppo e il suo carattere verso il destino di capitale d’Europa – non è tutta lì.
Bruxelles Capitale, insieme a Fiandre e Vallonia, è una delle tre regioni che compongono lo stato del Belgio, federale dal 1993. Posta geograficamente quasi al centro del paese, è ufficialmente una città bilingue dove si parla francese e fiammingo, che è una derivazione dell’olandese, divisa in 19 comuni o municipalità, con una popolazione di un milione di abitanti che raddoppia se si considera l’intera regione.
Il suo centro storico, ancora chiamato Pentagone perché i grandi boulevards costruiti nell’Ottocento hanno ricalcato l’andamento delle antiche mura di cinta medievali, è formato di due parti: la città alta che ospita i più importanti edifici pubblici e la città bassa che ancora conserva le viuzze con le case delle antiche corporazioni. Il suo cuore è naturalmente l’elegante e vivace Grand Place il cui edificio più importante, l’Hôtel de Ville, svetta da ogni punto visuale con una guglia di quasi cento metri di altezza.
Qui intorno l’umanità è varia, tra turisti, residenti, negozianti, impiegati e naturalmente operai al lavoro sugli immancabili cantieri. Ci sono ristoranti e negozi di tutti i tipi, chioschi che preparano gaufres variamente farcite o le squisite frites, stalli per le biciclette, monopattini elettrici abbandonati dove capita al termine del noleggio, piccoli giardinetti con panchine, passaggi e gallerie (su tutte l’elegante e famosa Galerie St-Hubert). Ci sono locali storici, in stile art nouveau come il Falstaff (1903), la Taverne Greenwich (dove Magritte giocava a scacchi) o la Maison Cirio, aperta nel 1886 dall’industriale Francesco Cirio come salon de dégustation dei prodotti italiani, freschi e conservati. Ancora oggi, in cima alle mensole dietro il bancone, accanto a statuine e altre mémoires, campeggia al posto d’onore un barattolo di piselli medi prodotti, come recita l’etichetta, «nella sede di San Giovanni a Teduccio presso Napoli».Si beve birra, naturalmente belga, meglio ancora se trappista, si mangiano le immancabili moules frites, si chiude il pasto con la mousse aux spéculoos, biscotti speziati alla cannella famosi almeno come il cioccolato, che è la vera gloria nazionale, onorata da centinaia di negozi che presentano in vetrine come di gioielleria le deliziose pralines: Leonidas, Marcolini, Neuhaus, Godiva…In Place St-Gery, nell’ex mercato coperto, c’è un obelisco che ricorda il posto in cui fu fondata la città e proprio lì vicino, nascosto in un cortile occupato da un ristorante, vi è uno stretto canale che è l’unico ricordo visitabile in centro della Senne, il fiume che fu interrato nella seconda metà del XIX secolo per motivi di igiene pubblica.I contrasti architettonici sono la regola: spesso una facciata stretta e lunga di un edificio per abitazioni in mattoncini colorati si alterna a un anonimo edificio moderno destinato a uffici, un’enorme opera di street art realizzata sulla fiancata laterale di un palazzo in cemento si affianca a una slanciata guglia gotica, una piccola e vivace strada pedonale sfocia all’improvviso su una piazza o un boulevard dove sfrecciano auto, mezzi pubblici e biciclette. Nel quartiere delle Marolles, dove il quotidiano Marché aux Puces attira anche molti turisti, case d’epoca si affiancano a edilizia popolare e lungo la Rue Blaes, che riporta in centro, negozi di antiquariato e modernariato, di complementi d’arredo e varie inutilità, rivelano un’inclinazione all’originalità che manca in altre zone. Qui, come in altri quartieri non centrali, si incontrano molti immigrati di colore che, secondo le statistiche, oggi vengono soprattutto dal Marocco. Qui si sentono gli odori delle cucine speziate del mediterraneo, ai balconi sono stesi panni ad asciugare nonostante sia vietato, piccoli e grandi murales insieme a insegne stravaganti attirano e incuriosiscono e tutto l’insieme è comunque armonico e ordinato. Una sensazione di omologato disordine e sporcizia la provoca la Rue Neuve, una delle più affollate vie dello shopping commerciale, punteggiata da negozi di catena e punti di ristoro street food (compresi un raro McDonald’s e uno Starbucks). Per un bell’ambiente e una piacevole passeggiata che alterna negozi di lusso a edifici storici e ambasciate, bisogna andare invece sulla Avenue Louise, lasciandosi alle spalle l’imponente Palazzo di Giustizia accanto al quale sorge, da poco, una ruota panoramica. Il benessere generale che si respira un po’ dappertutto, qui si avverte di più.
Il quartiere europeo, situato a sud-est e collegato alla zona del centro dalla intasata e inquinata Rue de la Loi, è caratterizzato dall’imponente Palazzo Berlaymont, sede della Commissione, che oscura per grandiosità il dirimpettaio palazzo Justus Lipsius, sede del Consiglio. Qui sembra di essere in un’altra città, in un ambiente sottovuoto e controllato, percorso soprattutto da funzionari, stagisti e tutto quel personale che ruota stabilmente o provvisoriamente intorno agli organismi della UE. Sono uomini, donne e giovani riconoscibili per il badge appeso al collo, l’aria indaffarata, il fatto di parlare lingue diverse. Salutano amichevolmente gli agenti di custodia agli ingressi e vengono inghiottiti dalle porte girevoli o automatiche, lasciandosi alle spalle un avviso che informa niveau de danger jaune. Li immagino seri e compunti, al loro posto di lavoro, impegnati a far funzionare l’Europa, almeno fino a quando finisce l’orario di lavoro. Allora si buttano per strada, dove nel frattempo sono comparsi ordinati stand di frutta e verdura e di cibo da asporto, si allentano la cravatta o il foulard e addentano un panino o accendono una sigaretta senza che l’ovattato decoro dell’ambiente risulti compromesso.
Un po’ arretrato verso sud l’enorme edificio del Parlamento, sistemato tra la vivace Place du Luxembourg e l’ameno Parc Leopold, è allietato dal viavai di scolaresche e di turisti, dalla circolazione dei residenti e degli studenti di una vicina scuola, da un’agorà allestita con cartelloni informativi e sedie colorate che si apre proprio davanti all’ingresso intitolato ad Altiero Spinelli. Qui tutto sembra più umano e più vero, compreso il fatto che alla Station Europe, che accoglie i visitatori e prenota le visite guidate gratuite al Parlamento, c’è anche un addetto che parla italiano.
L’antico mercato di Bruxella, crocevia di traffici, culla di corporazioni e banchieri e poi di industrie e attività produttive, è oggi il centro direzionale dell’Europa, una città terziarizzata che parla molte più lingue delle due ufficiali. Una metropoli più europea che belga, adornata come poche dallo splendore dell’art nouveau, servita da tre stazioni ferroviarie e da un’efficiente (nonché complicata) metropolitana, dannata da un clima che definire variabile è un complimento, ricca di parchi, di corvi, di giardinetti privati davanti alle abitazioni in quartieri a misura d’uomo che qui ci sogniamo.
Una città che in oltre 60 anni di Europa ha convogliato investimenti straordinari, ha stravolto l’ impianto urbanistico, ha modificato profondamente il suo tessuto sociale, le sue prospettive di sviluppo, forse la sua mentalità.
Una città che però resta sfuggente, cortese ma non cordiale, al pari di certe signore altezzose ma gentili per educazione. Una città che avverte con cartelli Salir la ville est un délit, sporcare la città è reato. È vietato lasciare rifiuti per strada, la raccolta differenziata funziona con il porta a porta. Però l’umido viene ritirato una sola volta a settimana.