Cronache da un mondo impazzito
Bruciano i sovranisti?
Donald Trump, Boris Johnson, Jair Bolsonaro e Matteo Salvini: è stata un'estate di ubriacature e tracolli, per i sovranisti del mondo. Pensare di poter tiranneggiare in nome del popolo sovrano (senza mediazioni sociali) produce terribili incendi. Non solo simbolici
L’estate calda dei sovranisti si avvia verso la conclusione. L’afa ha spinto a decisioni spericolate, affannosi contorsionismi, spregiudicati azzardi, incendi di ogni genere. Matteo Salvini è riuscito, nel breve volgere della settimana di Ferragosto, a far cadere il governo, di cui egli stesso faceva parte in posizione forte, a trasformare il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, che pure voleva sfiduciato, da signor Nessuno a statista di livello internazionale, a distruggere il centrodestra e con esso ogni ipotesi immediata dell’esistenza nel nostro Paese di una destra moderata e moderna, a rinvigorire Berlusconi e a rendere compatto il Pd, con miracoloso intervento, restituendo inaspettatamente alla sinistra una centralità che fino a pochi giorni prima sembrava pura utopia. E pensare che da più parti il capo della Lega veniva considerato un politico di razza e un grande comunicatore!
Nel ruolo di ministro dell’Interno, svolto con disinvolta iattanza e con esibizione di flaccide nudità presso i rumorosi lidi romagnoli, ha alternato beach party a conferenze stampa, morsi alle piadine a firme sui documenti che vietavano l’ingresso nei porti italiani alle navi delle organizzazioni umanitarie non governative stipate di poveri cristi. Ha intonato cori patriottici insieme a cubiste dalle patriottiche sinuosità, facendoli seguire da proclami inneggianti alla Beata Vergine e da twitt al veleno contro chiunque gli capitasse a tiro. Nel corso del suo tour istituzionale tra sdraio e ombrelloni, forse ubriacato dall’effetto inebriante delle creme abbronzanti, ha sciorinato insinuazioni perfide contro alcuni ministri del governo di cui era vicepremier, accusati di non produrre nulla di concreto, mentre lui stava lavorando per il bene del Paese. Infine ci ha fatto sapere che l’esperienza di governo era finita, che lui chiedeva al popolo sovrano “pieni poteri” e che il movimento politico con cui aveva governato per quattordici mesi era formato da incapaci.
Lo stesso Salvini nella veste, forse a lui più congeniale, di Grande Pataccaro, ha poi indossato giacca e cravatta e con compita rassegnazione e stordita recrudescenza istituzionale, mentre il popolo degli italici suoi sudditi si godeva le meritate ferie, è andato finalmente nel suo ufficio al Viminale, si è seduto alla scrivania e si è fatto fotografare nei pressi del computer acceso. Da lì ha dichiarato che il governo era caduto vittima di un intrigo internazionale ordito a Bruxelles dai poteri forti che avevano inteso in questo modo far fuori lo stesso Salvini. Nello spregevole quadro complottistico, aveva trovato posto anche il presidente della Repubblica Mattarella, il cui compito «impartito dai poteri forti, era di disinnescare Salvini».
Non è andata meglio al presidente brasiliano Bolsonaro. L’Amazzonia brucia più di sempre, anche per la sua incauta politica ambientale, e lui dà la colpa alle ong. Un complotto, certo. Avrebbero appiccato gli incendi gli stessi volontari delle organizzazioni non governative, spiega, al fine di filmare le fiamme e accusare il presidente brasiliano. Malgrado l’avvincente spiegazione, Bolsonaro si è ritrovato tutto il mondo contro. Lui prima ha cercato di minimizzare la questione, poi se l’è presa con il presidente francese Macron che avrebbe voluto che dell’Amazzonia si occupasse anche il G7, in modo da destinare aiuti economici tali da permettere gli interventi necessari. Bolsonaro si è stupito del “tono sensazionalista” adottato negli altri Paesi (In fondo che problema è se brucia il polmone del pianeta?), ha parlato di ingerenze in “una questione interna del Brasile” e di “nuovo colonialismo”.
Un aiuto a Bolsonaro è arrivato dal Padre di tutti i Pataccari, Donald Trump. Da una parte si preoccupava degli alberi dell’Amazzonia, dall’altra pensava di intervenire contro gli eventuali incendi in Alaska, eliminando a monte il problema, cioè avviando una politica di deforestazione. Qualche giorno prima aveva tentato di acquistare la Groenlandia, dove certo di alberi ce ne sono pochi, ma dove potrebbe esserci molto petrolio. Per cominciare a usare le trivelle, bisogna però fare il tifo per il rapido scioglimento dei ghiacci e quindi perché le mutazioni climatiche continuino a produrre effetti devastanti. Tutto torna. Anche i conti d’altra parte devono tornare. Le devastazioni dell’uragano Dorian hanno messo in luce che il muro ai confini con il Messico, in verità declassato a reticolato, viene costruito almeno in parte togliendo fondi alla Protezione civile, fondamentale per intervenire in difesa della popolazione e del territorio in disastri come quello prodotto da Dorian.
L’estate rovente dei sovranisti forse conosce l’esibizione di maggior pregio nella performance del neo premier britannico Boris Johnson, a cui sono bastati pochi giorni per dimostrare la lungimiranza della politica sovranista. Di fronte alla possibilità che il Parlamento di Sua Maestà decidesse di rimandare l’uscita della Gran Bretagna dalla Unione Europea, ha pensato bene di chiedere e ottenere dalla Regina la sospensione delle attività parlamentari. In una delle poche sedute previste, ha dovuto però costatare di aver perso la maggioranza e dunque anche la possibilità di continuare a guidare il governo: il deputato conservatore Philip Lee, già medico e già rugbista, ha abbandonato i banchi dei tories ed è passato tra le fila dei liberal-democratici. Un successo insomma pari a quello di Salvini.
In effetti, il sovranismo (neologismo che contiene qualche ambiguità semantica) deve fare i conti con un paio di contraddizioni che appaiono connaturate alla stessa idea che lo ispira. Si pretenderebbe infatti che sovrano fosse il popolo, che andrebbe difeso nei suoi interessi più specifici dalla congiura perpetrata dagli organismi internazionali. Sta di fatto che in questi tempi di relazioni internazionali fitte e intricatissime, nessuno è più in grado di fare da solo, tanto meno gli Stati più deboli ed esposti dunque più degli altri ai venti globali. Quindi, visto che non è possibile agire in autonomia, si può solo alimentare l’idea di operare contro gli altri. Ognuno avidamente lavora per il proprio tornaconto: brucio un po’ di foreste e mi arricchisco, che importa se da qui a qualche decennio saremo tutti più poveri e infelici? L’Italia agli italiani, gli alberi dell’Amazzonia ai brasiliani, l’Alaska (e se possibile anche la Groenlandia) agli americani.
Ma la contraddizione più evidente sta nel fatto che si vorrebbe che a garantire gli interessi del popolo sovrano contro le manovre della comunità internazionale fosse un uomo solo al comando, cioè una specie di sovrano in abiti moderni. È quello che ha mosso Salvini a far cadere il governo, chiedendo esplicitamente al popolo sovrano di concedergli “pieni poteri”, cioè di governare senza il controllo del popolo sovrano. Partendo da un’idea analoga, Johnson ha creduto di poter fare a meno dei rappresentanti del popolo per difendere le scelte del popolo. Risultato: il popolo sovrano e i suoi rappresentanti democraticamente eletti, gli si stanno rivoltando contro.