Incontro con il regista di "Bangla"
Mondo Torpignattara
Parla Phaim Bhuiyan, giovane cineasta di Torpignattara: «Avere due culture è un valore aggiunto. Perché sei bilingue, hai più punti di vista, sai riconoscere le due facce della medaglia e devi saper bilanciare le tue origini con una società occidentale che hai assorbito»
Torpignattara è uno dei quartieri più interessanti della capitale. Nei suoi bar si può trovare l’atmosfera della Roma di Trastevere o quella di Campo dei Fiori degli anni Settanta e dei primi anni Ottanta. Regna ancora una romanità verace. Vi cominciano però a essere i primi locali alla moda, propaggine di un Pigneto che si sta allargando. Anche in questo caso le reminiscenze con la Campo dei Fiori degli anni Ottanta sono evidenti. Ma quello che rende del tutto particolare il mix creatosi nel quartiere è la comunità del Bangladesh, che qui ha trovato il suo centro. Il risultato è un quartiere affascinante in cui “romani dei quartieri popolari”, hipster e persone del Bangladesh e Cina si mischiano in un mix quasi londinese. Ma in fondo siamo sempre a Roma e le seconde generazioni, figlie delle persone del Bangladesh, come dei cinesi, sono irresistibilmente romane. Nessuno meglio di Phaim Bhuiyan, regista e attore del film Bangla, è riuscito a cogliere lo spirito di questo mondo. Succedeoggi lo ha intervistato.
Com’è nata l’esigenza di scrivere il film?
L’esigenza è nata in maniera anomala, perché in realtà mi è stato proposto di realizzare il film a soli 21 anni: mai avrei pensato di fare un lungometraggio a un’età così giovane. Tutto nasce da un servizio che ho realizzato per il programma Nemo – Nessuno Escluso, che andava in onda su Raidue. Dopo la messa in onda sono stato chiamato da varie case di produzione, tra cui la Fandango che mi ha proposto di realizzare un film perché gli era piaciuto il servizio. Ho colto l’occasione per raccontare il mondo delle seconde generazioni ed era un modo, per raccontare un mondo visto da uno che lo ha vissuto in prima persona.
Cosa ti lega di più a Torpignattara?
Torpignattara, a livello territoriale mi ha dato tanto come luogo di ispirazione, è un quartiere multietnico dove vivono persone di diverse nazionalità e per fortuna si vive in maniera civile. Sono molto legato a questo quartiere, amo l’evoluzione che ha avuto negli ultimi anni, una riqualificazione passata anche per le numerose opere di street art che sono state realizzate per le sue vie. Mi piace molto anche il fatto che sia decisamente caotica.
Cosa significa per te avere più culture o meglio essere figlio di un mondo complesso e multiculturale?
Per me avere due culture è sicuramente un valore aggiunto, perché quando nasci naturalmente sei bilingue, hai più punti di vista, sai riconoscere le due facce della medaglia e devi saper bilanciare le tue origini con una società occidentale che hai assorbito. È tutto molto stimolante per noi di seconda generazione, anche perché dobbiamo allenarci, con sana pazienza, a vivere in un paese pieno di domande.
Quali sono i cliché sulle persone con cultura mista, da una parte o dall’altra, che ti hanno fatto più ridere?
Il cliché più ricorrente è quando un italiano ti dice «Ma tu parli benissimo italiano! Da quanto tempo stai qui?» Ogni volta devi ribadire che sei italiano, nato e cresciuto in Italia. Questo genere di episodi sono esilaranti. All’interno della comunità del Bangladesh mi fa molto ridere il fatto che, essendo la comunità concentrata a Torpignattara, si è creato un piccolo paesino di provincia, in cui tutti si conosco e tutti sparlano l’uno dell’altro. Non solamente è molto esilarante, ma fa comprendere come tutto il mondo sia paese.
Dall’epoca dell’antica Roma, passando per il papato, Roma è sempre stata un centro di gestione del potere multiculturale, in quanto aveva pretese universali, pensi che i romani se ne rendano conto?
Penso che Roma sia sempre in cambiamento, non penso che i romani se ne rendano conto, più che altro per una questione di ignoranza, non ne conoscono la storia. Roma in gran parte è stata costruita grazie all’aiuto di altre popolazioni, ma in questo periodo storico si punta di più sul nazionalismo e sovranismo e non si pensa più alle persone, che sarebbe l’unica cosa giusta e onesta da fare. Ma sono positivo, spero che le cose cambieranno.
Hai trovato difficoltà ha proporre il tuo progetto?
No, per fortuna nessuna, perché mi è stato chiesto di realizzarlo dalla Fandango stessa.
Scrivendo il film hai rielaborato situazioni o emozioni a cui non avevi pensato?
In realtà no, nella fase di scrittura avevamo le idee chiare. Anzi abbiamo rinunciato a mettere altri particolari e storie perché non saremmo riusciti a raccontarle tutte nel film. Ovviamente cambia tutto sul set, sia per gli imprevisti, sia per l’intesa tra gli attori. Quindi ho deciso di dare molta libertà all’improvvisazione.