Lidia Lombardi
Itinerari per un giorno di festa

Vitruvio & Leonardo

Due personaggi destinati a incontrarsi per grandezza e analogia di interessi. Così Fano, presunto luogo natale del sommo architetto romano, e Pesaro gli rendono omaggio insieme al sommo artista rinascimentale che a lui si ispirò. In due mostre che coniugano classicità, Rinascimento e contemporaneità

«La basilica della mia città, con il tribunale alto su un podio e la Aedes Augustii….». Parla Vitruvio, il maggiore teorico dell’architettura dall’antichità a tutto il Novecento. E lo fa nel V libro del suo Trattato, appunto il De Architectura, illustrando la grande opera, l’unica da lui realizzata, in quella Fano cara ad Augusto che l’ingrandì e le diede un mastodontico arco, nel punto in cui la via Flaminia interseca l’abitato. Ebbene, della Basilica di Vitruvio nella affascinante città marchigiana non rimangono che possenti ruderi cui si accede scendendo nel sottosuolo della chiesa di Sant’Agostino, attraverso una scala stretta, chiusa a livello stradale da un’inferriata. Ma come fosse davvero questo unicum del sommo teorizzatore dell’ingegneristica edile (del resto anche Piranesi, che tanti monumenti teorizzò e riprodusse in incisione, ne realizzò uno soltanto, la chiesa di Santa Maria Del Priorato, all’Aventino) si può vedere in una preziosa mostra appena inaugurata nel Palazzo Malatestiano. Si intitola Leonardo e Vitruvio: oltre il cerchio e il quadrato. Un omaggio all’artista rinascimentale nel cinquecentenario della morte e appunto all’intellettuale vissuto nel primo secolo avanti Cristo, organico alla corte di Ottaviano Augusto, nato nel centro Italia, forse a Fano. Due estroversi enciclopedici personaggi, destinati a incontrarsi. E non solo nel più conosciuto e citato disegno leonardesco, quell’Uomo Vitruviano che inscrive il suo corpo in un cerchio e in un quadrato. Ma nella confluenza di interessi verso l’idraulica, le macchine militari, per la misurazione del tempo e dello spazio.

Dice Francesca Borgo, curatrice dell’esposizione (fino al 13 ottobre) e del catalogo Marsilio insieme con Paolo Clini: «Il cosiddetto Uomo Vitruviano è più di Leonardo che di Vitruvio, perché egli prima lo disegna con le proporzioni che interessano a lui e poi aggiunge il testo di Vitruvio, quasi a sfidarlo». Il canone del corpo umano è piegato dunque alla speculazione del da Vinci sull’armonia della Natura confrontata con forme geometriche.

E una sfida sono i cinque disegni in mostra, pervenuti dal leonardesco Codice Atlantico conservato nella Biblioteca Ambrosiana di Milano (nella foto un dettaglio di uno dei disegni). Incassati in altrettante teche illuminate accortamente – una luce compatibile con la loro deperibilità, tanto che tre mesi di esposizione a Fano corrisponderanno a un loro riposo, senza essere più esposti, di nove anni – emanano un fascino insieme misterioso e perspicuo: sono oscuri oggetti artistici e contemporaneamente strumenti didattici. Li contorna la scrittura leonardesca, di per sé intellegibile agli esperti in quel suo distendersi da destra a sinistra (Leonardo era mancino), anche se in un caso egli procede a scrivere nella direzione convenzionale per essere meglio compreso. Ecco allora le meraviglie narrate con il tratto fine della matita, tutte desunte e rielaborate dal De Architectura: la balestra gigante, portentosa macchina da guerra studiata nei più raffinati meccanismi della fisica; l’odometro, una sorta di contachilometri che ragiona sul diametro della ruota di un carro e che conteggia ciascun miglio utilizzando la caduta di un sasso e l’avanzamento di un piolo su una ruota dentata; l’orologio idraulico, che interpreta in modo originale la clessidra ad acqua vitruviana munendola di un piccolo galleggiante a salvagente; la sezione della cupola del Duomo di Milano, nella quale Leonardo si richiama vitruvianamente all’interpretazione antropomorfa delle forme architettoniche e dunque le nervature del tiburio rimandano ai tendini del collo; gli studi geometrici per la quadratura del cerchio, una sequenza esteticamente affascinante di “lunule” disegnate a penna a inchiostro con l’abilità di un miniaturista.

Di fronte ai disegni si squadernano le vetrine contenenti i trattati di Vitruvio più consultati nel Cinquecento, quei testi che Leonardo cercava presso i librai milanesi. E se è vero che i fogli del Codice Atlantico mostrano l’operazione tutta mentale del toscano nel dare corpo alle descrizioni di Vitruvio – sono insomma una “mappa del suo pensiero” – la trasposizione dei disegni in immagini di grande formato proiettate nella seconda sala espositiva permette un’esperienza immersiva nelle invenzioni: il visitatore, muovendo le braccia, indica quale particolare della macchina leonardiana vuole ingrandire. Operazione non troppo ardua per i realizzatori dell’impianto interattivo: perché il da Vinci disegna in scala 1:1, fornendo di ogni segmento un disegno particolareggiatissimo. Con l’Uomo Vitruviano, poi, ciascuno si può confrontare come in uno specchio: sale su una pedana, assume le due posizioni del disegno e il computer calcola l’armonia del suo corpo secondo il canone leonardesco.

E la Basilica di Vitruvio? Si inforcano occhiali tecnologici ed eccoci catapultati dentro di essa secondo una ricostruzione in 3d (nella foto) che ci fa spaziare nell’ampio cortile, tra l’ombra proiettata dalle colonne, verso l’abside semicircolare, verso la Aedes Augustii. Chi voglia poi visitare i resti sotterranei, può farlo prenotandosi alla visita guidata serale che si svolge a giorni alterni. Fano restituisce del resto altre possenti vestigia romane, dall’Arco d’Augusto alla cinta muraria, ampliata nel Quattrocento dai Malatesta, che hanno lasciato alla città anche la Rocca, arcigno quadrilatero difensivo che guarda dalla collina il mare e i suoi approdi, e il Palazzo, la corte vera e propria, distinto in ala gotica e ala rinascimentale dominata dalla Loggia del Sansovino.

Ma c’è ancora Vitruvio nella vicina Pesaro, in ossequio a un circuito virtuoso organizzato da Sistema Museo. Nei Musei Civici di Palazzo Mosca, Agostino Iacurci realizza un Viaggio onirico tra le pagine del “De Architectura”. L’artista, noto per i monumentali dipinti murali realizzati in spazi pubblici di tutto il mondo – ha composto opere tridimensionali e pittoriche fortemente scenografiche, in una dimensione suggestiva che accompagna la presentazione di dieci diverse edizioni del De Architectura provenienti dalla pesarese Biblioteca Oliveriana. In un caleidoscopio surreale, poi, cariatidi, capitelli, colonne, templi sembrano rianimarsi. Quasi un sogno a occhi aperti, una sorta di attuale Hypnerotomachia Poliphili, il romanzo allegorico attribuito a Francesco Colonna che costituisce con le sue 169 xilografie una delle fonti iconografiche più utilizzate nel Rinascimento e di cui viene esposta un’edizione di Aldo Manuzio realizzata a Venezia nel 1499. Così si chiude il cerchio classico-rinascimentale-contemporaneo.

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