Roberto Verrastro
A proposito di “Catturare una spia”

Spiare, che passione!

James Olson, ex capo del controspionaggio Usa, racconta l'arte di smascherare le spie: i russi, i cubani, i cinesi... il mondo è pieno di attori che inseguono segreti per i loro padroni. Ma è un gioco nel quale la vittoria spesso equivale alla sconfitta

Le vittorie possono coincidere con le sconfitte. James Olson lo ha imparato nell’ultimo trentennio del Novecento nel quartier generale della CIA a Langley, in Virginia, dove era capo del controspionaggio, materia che ora insegna presso la Bush School of Government and Public Service della Texas A&M University. «Ti senti bene nello scoprire le spie tra noi, ma poi ti chiedi: come hai potuto permettere che accadesse? Il tuo lavoro non era impedire cose del genere?», si domanda Olson retoricamente nell’introduzione del volume Catturare una spia. L’arte del controspionaggio (Georgetown University Press, 248 pag., 26,24 euro, ebook 19,42 euro). Nell’anno accademico 2016-17, circolavano nelle università statunitensi 350.755 studenti cinesi, per lo più interessati ai corsi di ingegneria e alle discipline scientifiche. Erano circa un terzo del totale degli studenti stranieri presenti nel Paese. «Esperti militari statunitensi hanno affermato che non esiste un significativo sistema di armi cinesi che non sia basato sulla tecnologia statunitense rubata», scrive Olson nel primo capitolo, riassumendo con uno slogan il principale problema per la sicurezza nazionale: «Ci sono spie, e poi ci sono spie cinesi».

La Cina era già emersa come potenza spionistica mondiale negli anni Settanta, decidendo che spiare, soprattutto nell’ambito industriale, era la via più rapida per costruire la sua forza economica e militare. Nel 2015 e nel 2016 è stato ristrutturato il suo vasto apparato d’intelligence, la cui primaria agenzia di spionaggio esterno è l’MSS, il Ministero per la Sicurezza dello Stato, che incoraggia molti studenti cinesi a trovare lavoro negli Stati Uniti, per acquisirvi lo status di residente permanente legale e ottenere così la cittadinanza statunitense dopo cinque anni, che si riducono a tre sposando un partner d’oltreoceano. Il lungo elenco di sino-americani finiti in carcere per spionaggio, arruolati facendo leva sulla lealtà verso la Madre Cina e sul denaro, include ingegneri come Chi Mak, che lavorava per l’azienda californiana Power Paragon, condannato nel 2008 a 24 anni di reclusione per aver fornito alla Cina informazioni top secret sulle navi e i sottomarini della Marina militare statunitense, e Dongfan Chung che, grazie al suo impiego alla Rockwell International e alla Boeing, aggiornava la patria d’origine sul programma spaziale statunitense, procurandosi nel 2010 una condanna a 15 anni.

E mentre l’Italia pare essersi accorta solo di recente della possibile ingerenza di potenze estere nelle competizioni elettorali, Olson ricorda che «i cinesi hanno tentato di condizionare le campagne elettorali statunitensi attraverso contributi illegali almeno dagli anni Novanta», per volgere a loro favore le politiche commerciali, le leggi sulla proprietà intellettuale e molto altro. Le abilità informatiche cinesi sono così sofisticate che continuano senza lasciare traccia gli attacchi alle aziende hi-tech statunitensi, per quanto vietati da un accordo bilaterale del settembre 2015, lo stesso anno in cui furono sottratti i dati personali di 21,5 milioni di americani occupati allora e in passato nell’amministrazione federale. In uno scenario tanto allarmante agisce anche la seconda insidia in ordine di rilevanza, costituita dalla Russia. «I russi sembrano non aver ricevuto il messaggio che la guerra fredda è finita», nota Olson, «il loro spionaggio negli Stati Uniti è oggi non meno attivo che al culmine di quell’epoca».

Al tramonto dell’Unione Sovietica, «i russi non consideravano squalificante il fatto che qualcuno avesse prestato servizio nel repressivo e antidemocratico KGB». Il presidente della Federazione Russa, Vladimir Putin, ne fece parte dal 1975 al 1991. «Tutti gli indizi indicano il suo continuo coinvolgimento diretto nelle operazioni di intelligence, in particolare per neutralizzare l’opposizione ed eliminare i presunti nemici dello Stato». Attenti quanto i cinesi alla tecnologia statunitense, specialmente quella utile a scopi bellici, i russi ricorrono ampiamente allo spionaggio cibernetico per manipolare l’opinione pubblica di altri Paesi. Una tattica usata con successo per negare responsabilità governative nelle loro intrusioni, consiste nell’appaltarle a «privati cittadini» che bombardano blog e forum politici con propaganda filorussa. A tirare i fili sono in realtà l’FSB, il servizio di sicurezza interna, e il GRU, l’intelligence militare, con la supervisione dell’SVR, responsabile della raccolta di informazioni e delle operazioni coperte all’estero. «I servizi d’intelligence della Russia post guerra fredda rimangono potenti, pericolosi e spietati».

Dopo essersi soffermato sull’ulteriore minaccia rappresentata dai servizi segreti cubani e iraniani («Siamo fortunati che Cuba sia così piccola, altrimenti saremmo in guai davvero grossi»), Olson svela che nell’arte del controspionaggio la miglior difesa è l’attacco, basato sulla figura dell’agente doppio, al centro del sesto e del settimo degli otto capitoli del libro. Nel linguaggio del controspionaggio, si intende per agente qualcuno che si lascia reclutare da un’agenzia d’intelligence straniera, per la quale lavorerà in modo esclusivo e ben pagato. Un agente doppio, che ovviamente deve essere un ottimo attore, fa la stessa cosa rimanendo fedele alla precedente organizzazione. «Il nemico non è stupido e spesso ha i mezzi per verificare l’attendibilità dei rapporti dell’agente doppio», precisa l’autore, per evidenziare che diffondere disinformazione ingannando gli avversari è di solito l’ultimo degli obiettivi di simili operazioni. Il primo è quello di capire come si muova il nemico in questione negli Stati Uniti e altrove, identificandone gli agenti e facendo loro perdere tempo, denaro e la faccia: una missione compiuta senza intoppi da un agente doppio, rivelata in seguito nei modi opportuni, espone al ridicolo e alla demoralizzazione la controparte.

Naturalmente, nel controspionaggio anche gli altri Paesi possono servirsi di agenti doppi, e la CIA stessa è stata giocata diverse volte. Tra i segnali che permettono di smascherarli, Olson cita la disinvoltura nella ricerca del contatto iniziale: un agente che tradisce sul serio la sua comunità nazionale lo fa di regola con una certa ansia. La stessa disinvoltura negli ultimi anni ha condotto perfino alcuni cittadini statunitensi a spiare per la Cina, come Candace Marie Claiborne, una sessantenne prodiga di documenti interni del Dipartimento di Stato, dove lavorava dal 1999. Il volume ne rievoca l’arresto effettuato dall’FBI il 28 marzo 2017. Il 9 luglio scorso, Claiborne è stata condannata a 40 mesi di detenzione, tre anni di libertà vigilata e 40mila dollari di multa: per un quinquennio, dal 2011 al 2016, la donna e la sua famiglia sono stati ricompensati con un appartamento completamente arredato, una retribuzione mensile, viaggi internazionali e regali in occasione del Capodanno cinese.

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