Roberto Verrastro
A proposito de “La società dell'ira”

L’economia razzista

La sociologa tedesca Cornelia Koppetsch ha studiato il populismo e la nuova destra in Germania e nel mondo. La conclusione è che a creare esclusione è la Modernità globale che ha esautorato la politica per il primato del profitto

«Sappiamo chi siamo se sappiamo chi non siamo e contro chi siamo» è il motto del populismo di destra individuato dalla sociologa tedesca Cornelia Koppetsch, docente all’università di Darmstadt, nell’introduzione del suo saggio La società dell’ira-Populismo di destra nell’era globale (transcript Verlag, 288 pag., 19,99 euro, ebook 12,59 euro), uscito in Germania poche settimane prima dell’omicidio del 65enne Walter Lübcke, esponente cristiano-democratico della CDU nell’Assia, Land centro-occidentale tra i più rilevanti del Paese, essendo quello in cui si trova, oltre alla stessa università di Darmstadt, la sede della Banca centrale europea a Francoforte sul Meno. Il 2 giugno scorso, proprio quel motto potrebbe aver ispirato il 45enne neonazista Stephan Ernst, arrestato come presunto responsabile dell’omicidio Lübcke, freddato nottetempo da un colpo di pistola alla testa esploso da distanza ravvicinata mentre il politico, paladino dei diritti dei rifugiati, si trovava sulla terrazza della sua villa a Wolfhagen-Istha, cittadina nel nord dell’Assia.

«La Repubblica Federale Tedesca e in seguito anche la Germania riunificata, grazie a una prosperità economica senza precedenti e al confronto approfondito con le conseguenze del nazismo, sono sembrate a lungo immuni da significativi successi di partiti di destra», scrive Koppetsch, osservando tuttavia che «per quanto riguarda la crescente importanza dei nuovi partiti di destra, la Germania non sta percorrendo alcuna via particolare, è anzi in ritardo rispetto a sviluppi che in altri Paesi occidentali risultano già consolidati». L’autrice si riferisce a Paesi come gli Stati Uniti, la Francia, il Regno Unito, l’Austria e l’Italia, e a Paesi in passato socialisti come l’Ungheria, la Polonia e la Repubblica Ceca, nei quali una parte rilevante della popolazione, in rivolta contro il sistema dei partiti, ha aperto la strada a una mitologizzazione antimoderna della storia in cui riaffiorano, in versione aggiornata, vecchie conoscenze come le teorie del complotto e l’istituzione del capro espiatorio, «in Germania e in Francia, per esempio, nella figura dell’Islam e dei musulmani».

La decisione della cancelliera Angela Merkel nel settembre del 2015 di aprire i confini tedeschi a circa un milione di rifugiati, in gran parte musulmani, spiega meno di quanto sembri l’avanzata della destra populista tedesca, rappresentata soprattutto da Alternative für Deutschland (AfD), partito fondato nel 2013, che da allora si è rafforzato fino a diventare in alcuni Länder della Germania il secondo gruppo politico per peso elettorale. Se al successo di Donald Trump ha contribuito l’ostilità contro i migranti in arrivo dal Messico e dai Paesi dell’America Latina, anche negli Stati Uniti di inizio Novecento giunsero immigrati sgraditi che non erano musulmani, «come irlandesi, italiani, ebrei e cinesi. Negli irlandesi e negli italiani, gli americani detestavano specialmente il cattolicesimo: i cattolici, come i musulmani nella Germania odierna, erano considerati nemici della democrazia e della libertà». E alla Brexit giova la sensazione di molti britannici di essere in qualche modo minacciati dagli artigiani polacchi e da simili gruppi di lavoratori approdati nel Regno Unito.

Queste distinzioni segnalano che l’Occidente non sta in realtà fronteggiando conflitti di matrice religiosa. Koppetsch definisce Modernità globale il trentennio inaugurato nel 1989 dalla caduta del Muro di Berlino, durante il quale l’avvento della comunicazione digitale ha consentito quell’espansione dei mercati finanziari globali e delle catene transnazionali del valore aggiunto che ha dissolto le strutture del capitalismo aziendale tipiche della precedente modernità industriale, ancorata a dinamiche nazionali, generando mutamenti simultanei nello Stato, nell’economia e nella società. Il neoliberismo della Modernità globale sottopone ogni ambito della vita a imperativi economici, «con conseguenze dannose per la democrazia», benché provveda a dotarsi di una patina progressista incorporando idee di sinistra liberale, quali il multiculturalismo, l’antirazzismo, il femminismo e la tutela delle minoranze sessuali, «che però non intaccano in alcun modo l’approfondimento delle disuguaglianze sociali e il potere del capitale». Una dinamica che fa perno sul fatto, nota Koppetsch nel quinto degli otto capitoli del volume ( Emozioni e identità. L’ascesa delle neocomunità), che «la sinistra non si pone più come forza controculturale, ma sembra diventata essa stessa conservatrice dopo una riuscita marcia attraverso le istituzioni».

Al vertice della stratificazione sociale nella Modernità globale, «la piccola élite degli straricchi», con istruzione e qualifiche professionali spendibili su scala mondiale, vive in città che sono centri di controllo transnazionali con infrastrutture e paesaggi simili, a Londra come a Francoforte, a Shanghai come a Bangkok, dove i poteri economici esercitano il loro predominio su quelli politici con una contestuale perdita di sovranità degli Stati nazionali, mentre emergono nuove periferie che si affollano di migranti poco istruiti che, insieme ai lavoratori locali meno specializzati, formano la classe transnazionale opposta dei perdenti della Modernità globale. Si tratta di soggetti i cui salari sono in linea con gli standard internazionali più bassi per via della globalizzazione della competitività: fornitori di servizi ordinari e lavoratori emarginati dal settore industriale, oltre a disoccupati e beneficiari di sussidi pubblici. In questa polarizzazione si inserisce l’ascesa dei partiti della destra populista, che non è un fenomeno transitorio, ma è legato a un cambiamento strutturale dell’intera società e si configura come una reazione a un’era da parte di cittadini aggrappati a uno spazio economico e sociale esclusivamente nazionale, che intendono mantenere anche a costo di abbattere quella globalizzazione che sono impossibilitati a rimodellare.

La destra populista realizza un’alleanza verticale e interclassista di gruppi sociali conservatori che non vengono mobilitati solo da un declino economico effettivo o temuto, ma che vedono i loro stili di vita e i loro orientamenti valoriali emarginati dall’incremento del cosmopolitismo culturale della Modernità globale. A quest’ultima. vengono contrapposti tre progetti: una rinazionalizzazione che mira a depotenziare sistemi di governo sovranazionali, come il Parlamento europeo, e a tutelare gli interessi economici nazionali mediante dazi doganali (in particolare negli Stati Uniti) e restrizioni all’immigrazione; una risovranizzazione che attira cittadini un tempo privilegiati che, a causa della globalizzazione, si ritrovano con uno status sociale ridimensionato; una valorizzazione delle comunità locali che celebra il «popolo» quale rifugio contro il regime individualista del mercato e la perdita di identità sociale innescata dalle esigenze di mobilità e flessibilità della forza lavoro. Il populismo di destra agisce in quella che Koppetsch, con una terminologia cara alla filosofia tedesca, denomina «dialettica della globalizzazione», nella quale è ora un’antitesi regressiva che non può che essere anch’essa transnazionale.

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