Itinerari per un giorno di festa
Riti e miti in onore di San Giovanni
Il sabba delle streghe nella spianata davanti alla Basilica, gli spiriti di Erodiade e Salomé che vagano inquieti, Er Nocchilia e il Belli, Sant’Elena e Santa Croce in Gerusalemme, la scorpacciata di lumache fuoriporta… Così Roma celebrava la festività del Battista. Un pellegrinaggio nei luoghi deputati
«Me feci un bell’insogno l’artra notte/ che annamio tutt’e dua a San Giovanni». Canta Gigi Proietti, stornella sulla festa dell’estate che mischia sacro e profano. Lunedì prossimo è il giorno del Battista, e quella tra il 23 e il 24 giugno la notte più corta, secondo tradizione più che per il calendario astronomico. Le streghe devono sbrigarsi ad andarsene. Il sole fa capolino prestissimo, e le acceca. Una manciata di giorni, ed ecco che agli incantesimi delle malefiche si contrappone la gloria degli altri santi di Roma, i patroni Pietro e Paolo. Venerate aureole della porta accanto, quelli che i pischelli, giocando nel vicolo, apostrofavano: «San Pietro e san Paolo, apritece le porte!». E i ragazzetti della squadra opposta: «Le porte stanno aperte pe’ cchi ce vòle entrà»…
L’intrico delle credenze e dei simboli s’ingrossa nel giorno di San Giovanni. E rispolverarli, con una passeggiata al tramonto nei luoghi deputati, può restituire l’alone di grazia a questa Capitale sempre più disgraziata e sgraziata. Per esempio, la spianata davanti alla Basilica: un’antica festa, qualche anno fa resuscitata ma invece “non pervenuta” in questo 2019 regnante la sindaca Raggi, sciorinava tutt’intorno bancarelle, giostrai, cantastorie. Perché s’immaginava, nell’ampio spazio tra la chiesa e la Scala Santa, il sabba delle streghe? Perché lo spettro della crudele Erodiade – la fedifraga che impose al cognato amante Erode Antipa di tagliare la testa al Battista – vaga senza pace nei prati del Laterano, dove geme per i rimorsi un altro spettro, quello della figlia Salomè. Il gruppone delle streghe dà manforte all’adultera. Bisogna scacciare le maligne. Per questo “li romani de Roma” accorrevano in massa, accendevano falò, agitavano campanacci. Attenti però a non svegliare “Er Nocchilia”, il gigante apocalittico nato dalla fusione dei profeti Enoch ed Elia. Lui dorme sotto la Scala Santa, come ben sa Gioachino Belli, che ne La fine del monno lo evoca: «…Poi pe’ ccombatte co sta brutta arpia/ tornerà da la bbùscia de San Pavolo/ doppo tanti mill’anni, er Nocchilia…».
Ecco allora i riti nel tempio lateranense. E un rinnovato interesse proprio per la Scala Santa, che dallo scorso aprile al 9 giugno, giorno della Pentecoste, ha mostrato il suo marmo originario, coperto dal 1723 con assi di noce per proteggerlo dal millenario strofinio dei fedeli, che salgono i gradini in ginocchio. Secondo i cattolici è la scalinata affrontata da Gesù il giorno del martirio per arrivare al cospetto di Ponzio Pilato. Fu portata a Roma nel 326 da sant’Elena, la madre dell’imperatore Costantino. Ma coraggiosamente Papa Innocenzo XIII decise di farla foderare di legno: il marmo “proconnesio”, proveniente dalla omonima isola vicino Istanbul e molto usato durante tutto l’Impero romano, era già nel Settecento pericolosamente consunto per l’uso di percorrerlo in ginocchio. Ora il ritorno della copertura lignea, anch’essa bisognosa di restauro, nasconde tre delle quattro macchie ritenute del sangue di Gesù flagellato. Sono coperte da croci, due di bronzo e una di porfido rosso. All’altezza della quarta, protetta ha una grata, si è invece formato un buco perché i fedeli infilavano le dita per toccare proprio quel punto.
L’altra meta di devozione e storia della città è la vicina Basilica di Santa Croce in Gerusalemme, una delle “sette chiese” che i pellegrini, giunti a Roma, erano abituati a visitare raggiungendole a piedi. Verso la sua direzione tentavano la fuga le streghe nella notte del sabba, sbaragliate però dallo spirito di Sant’Elena, che qui, nella serie di edifici realizzata dai Severi, abitò. E che trasformò una parte della reggia in cappella, per ospitarvi le reliquie della Croce, da lei stessa – sovrana “archeologa” – rinvenute sul monte Calvario.
Ma torniamo sul prato del Laterano. Quando la notte delle streghe era finita, alle ore infernali si sostituiva l’elegia della campagna romana. Tutti fuoriporta a mangiare le lumache in umido. Il motivo? Nel medesimo periodo dell’anno gli antichi romani celebravano la dea Concordia. E siccome le corna al tempo dei buoni Quiriti simboleggiavano la discordia, farsi una scorpacciata di chiocciole, per di più affogate nel sughetto, significava mettere al bando le liti. Insomma, il 24 giugno era anche il giorno del “volemose bene”. Così le comari, cesto sotto al braccio, arrancavano con la famigliola fino alle fraschette, portandosi “er fagotto”. All’oste pagavano solo il fastidio, “lo scommido”… Abbuffate pantagrueliche alla Salita degli Spiriti, dove lumache, tra la cicoria e la mentuccia, se ne trovavano a bizzeffe. Parecchi intonavano la canzone dei “carciofolari”, di anonimo e naif versificatore abruzzese: «Belle, che andate pe’ li sette sonni, / svejateve: ‘stanotte è san Giovanni./ È notte d’incantesimi, è notte de magia/ le streghe in groppa ai diavoli/ volano in compagnia….».