Un convegno mercoledì a Roma
Per Renzo Foa
A dieci anni dalla morte, un incontro ricorda Renzo Foa, giornalista colto e visionario che vide prima degli altri il fallimento di una sinistra che aveva smesso di rispettare i propri valori (cultura, solidarietà e formazione) per inseguire il populismo della nuova destra
A dieci anni dalla morte, la complessità della parabola politica e professionale di Renzo Foa inizia a dipanarsi: non è stato lui a cambiare idea (passando da un campo all’altro), è stata l’organizzazione partitica della sinistra ad abbandonare le proprie ragioni. Non è stato lui ad lasciare il Pci (o, meglio, i suoi succedanei) ma sono stati i dirigenti del partito egemone della sinistra italiana a non capire che per salvare questo nostro povero paese non bisognava inseguire la destra sul terreno del populismo e del primato dell’ignoranza, ma occorreva continuare a puntare sulle proprie buone carte: la formazione, la cultura, lo sviluppo dello spirito critico.
Renzo Foa sarà ricordato domani a Roma, presso la sede dei Radicali italiani in via Angelo Bargoni 39, a partire dalle ore 17. Ci saranno, tra gli altri: Ferdinando Adornato, Dario Biocca, Gianfranco Spadaccia e Walter Veltroni.
Basteranno, qui, pochi tratti per riassumere questa fondamentale figura di intellettuale italiano a chi non lo conosce: dopo decenni di professione giornalistica tutta a l’Unità (il giornale che era del Pci) ne divenne il primo direttore “non politico”, ossia non prelevato direttamente dalla nomenclatura di partito e catapultato come un commissario a domare una redazione turbolenta. No, lui era un giornalista puro, inviato di stile e di peso (dal Vietnam alla celebre intervista a Dubcek), nonché grande conoscitore della macchina/redazione. In questa sua veste perigliosa dovette affrontare la fase più difficile della storia di quel partito e dell’idea cui esso si riferiva: la sua morte. Renzo Foa, senza tirarsi indietro, perlustrò nuove strade, fissando alla fine la sua attenzione su quella del primato del riformismo e della cultura. Non tutti lo seguirono, soprattutto nella redazione de l’Unità che, in quel frangente, non solo non capì il peso della storia sul proprio destino ma s’illuse di poter fermare il mare con una mano. Se penso ai giorni terribili della normalizzazione de l’Unità del dopo-Foa del 1992, mi viene in mente la plastica immagine dell’idiozia di Bersani nel famoso filmatino nel quale, post elezioni 2013, si presta al dileggio di un manipolo di cretini cinquestelle: intelligenze sprecate, entrambe, che credono di poter mettere ordine ai destini del mondo e invece non fanno altro che cedere l’Italia al nuovo razzismo. Mi viene in mente questo paragone perché quella normalizzazione de l’Unità venne condotta dal partito con la complicità oggettiva (e inconsapevole?) di una parte cospicua della redazione del giornale: non a caso, da un lato c’era il padre putativo di Bersani (D’Alema) e dall’altro un gruppetto di antagonisti che poi si sarebbero ritrovati (nel 2018) a votare per Di Maio, considerato nuovo paladino della sinistra contro quel fascista di Matteo Renzi!
Ecco, Renzo Foa fu fatto fuori da questo cortocircuito dei cervelli e delle idee. Quando egli capì che la sinistra aveva sbagliato strada, prima provò a dirlo in giro, a indurre qualcuno a cambiare rotta, ma poi – osteggiato e ridotto in solitudine – accettò ospitalità altrove: al Giornale di Paolo Berlusconi, a liberal di Ferdinando Adornato. Aveva capito, Renzo Foa, che ormai s’era all’emergenza finale e che, per fermare l’onda dell’ignoranza che allignava nella destra estrema come nella sinistra, andava usata ogni arma. Fu un compito ingrato, il suo: perché fu preso per un voltagabbana mentre avrebbe dovuto essere letto come un lucido visionario in grado di vedere in anticipo la deriva che la sinistra del Paese stava prendendo.
È servito, il suo “sacrificio”? A chi gli rimase vicino, sicuramente sì – mi arrogo di diritto questo privilegio. Ma il saldo della storia, nel complesso, è negativo. Sono altri gli intellettuali che vengono oggi ricordati e celebrati, ben altre le banalità che perdurano dalla stagione della prima e seconda repubblica. E le idee sopravvivono nell’ombra, nei recessi di pochi resistenti sommersi di altrui like, tweet e amenità simili. Oggi trionfano la maleducazione contrabbandata per esercizio di libertà, la grossolanità dei modi, la bugia ostentata, la semplificazione estrema. E invece Renzo Foa era un uomo elegante e onesto, problematico (soprattutto con se stesso) e dotato di un’ironia fine: come avrebbe resistito, a questi tempi?