Pier Mario Fasanotti
Consigli per gli acquisti

Penelope in crisi

Maria Grazia Ciani ricostruisce la vita (e le indecisioni) di Penelope. La spagnola Clara Usòn rivela il fascino del "levar la mano su di sé”. Hanne Orstavik affonda le mani nel rapporto (amoroso) tra madre e figlio

Presenze. Annotò Cesare Pavese nei suoi diari: «I suicidi sono omicidi timidi». Ma la spagnola Clara Usòn, l’autrice dell’affascinante romanzo L’assassino timido (Sellerio, 186 pagg,. 15 euro), si prende la briga di obiettare: «Il suicida cerca la morte, agisce con premeditazione e malafede e quindi è un assassino pauroso, timido». Di qui il titolo della narrazione, popolata da persone vere e da filosofi del passato. La Usòn si muove con disinvoltura e raffinatezza. Il proposito volontario della fine della vita, non può mancare in un salotto dipinto da gravi problemi esistenziali, da grandi del pensiero. Tra questi c’è Ludwig Wittgenstein (autore di un unico libro, il Tractatus). Tagliente una sua frase: «Non so perché siamo qui, ma di una cosa sono certo, che non siamo qui per divertirci». Wittgenstein fu docente universitario, ma poi abbandonò la cattedra per fare il maestro in uno sperduto paese. Umorale, geniale, imprevedibile.

La protagonista del romanzo è Clara, che all’inizio riprende la vita di, Sara Mosarowaki. un’attricetta semi-vergine (fu amante del re? Giornali scandalistici si dicevano certi). Attraverso la tormentata e mediocre vita dell’attrice, l’autrice descrive il post-franchismo. Senso di liberazione, eccessi psichedelici, e il dilagare, almeno sugli schermi del destape (spogliarello). Curioso notare cha la fine di una dittatura coincide con il nudo liberatorio, la movida, la bramosia del futuro. Tra i frequentatori di Clara, che diventerà avvocato, svogliatamente, non possono mancare Jorge Borges, «lo scrittore non deve sforzarsi di essere moderno, lo è fatalmente perché vive nel presente» e Cechov che, interrogato dalla moglie sul senso della vita rispose: «È come chiedere cos’è una carota». Gli fa eco Wittgenstein: «O comprendi o muori».

Regina. I miti e le leggende dell’antica Grecia continuano a essere faro di saggezza, fantasia, suggestioni. Attorno ai due poemi omerici sono nate altre leggende, tutte fondate sul “si dice che” (tipicità degli elleni). L’autorevole grecista Maria Grazia Ciani (già docente a Padova) ci offre uno splendido libro sulla figura di Penelope, moglie trascurata di Ulisse: il quale sarà anche assetato di sapere, ma umanamente – e occorre dirlo una volta per tutte, a costo di essere controcorrente – egoista, tanto astuto quanto sleale. L’autrice, in La morte di Penelope (Marsilio, 95 pagg., 12 euro) narra la dolentissima ventennale attesa del marito, in una Itaca dove fanno da padroni i Proci, pretendenti al trono. Nell’ultimo periodo la donna, dolce e altera insieme, sta per cedere a causa dello spasimante Antinoo (stesso nome dell’amante dell’imperatore Adriano). Penelope, il volto nascosto dietro il velo, avverte per il giovane – il più sobrio dei Proci – un confuso ma intenso palpitare. Maria Grazia Ciani, con una scrittura adamantina ed elegante, delinea il quasi cedimento della sovrana di Itaca, terra che per tradizione è ospitale. Alla fine Penelope prende da un nascondiglio l’arco e le faretre del marito e annuncia una gara: il premio è lei stessa. Antinoo fallisce nel tendere la corda. Riesce invece un oscuro mendicante, Ulisse. La freccia si conficca nel petto di un uomo. Chi?

Distanza. L’affetto, soprattutto quello tra madre e figlio, ha infinite sfumature. Ma questo è più che ovvio in esistenze “normali“. Nella città dove è ambientato questo breve romanzo «è inverno tutto il tempo». Il ragazzo Jon, così come la giovane madre Vibeke, ha rapporti accentuatamente indiretti del mondo. Non sa nulla dell’origine della sua famiglia, quindi cerca di informarsi in biblioteca, mentre la mamma passa il tempo a leggere, a casa Una distanza reciproca caratterizza l’opera di Hanne Orstavik (Amore, Ponte Alle Grazie pagg., 128, 14 euro). Dominano il non detto e il silenzio, pecurialità del testo, che può tradursi in limite (comunicativo, ma non lessicale). L’unico elemento colorato e vivace è un Luna Park, fondale del mostruoso e del fiabesco. Si evidenzia che, per lo stile, Vibeke e Jon sembrino la stessa persona. È una storia, seccamente scandita da frasi corte, di un profondo disorientamento. Prevale l’intuizione di come siano veramente gli altri, oltre al presagio di una sventura.

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