Roberto Verrastro
A proposito de “L'affaire Kiessling”

Kiessling, il diverso

Lo storico militare tedesco Heiner Möllers analizza la storia (piena di colpi di scena) di Günter Kiessling, vicecapo della Nato negli anni Ottanta, accusato di omosessualità. Una vicenda di discriminazioni e spionaggio

Un generale omosessuale? Nella Bundeswehr, le forze armate della Repubblica Federale Tedesca, oggi c’è anche un tenente colonnello transgender, Anastasia Biefang, ma nel 1983 di omosessualità si parlava solo nei pettegolezzi su Günter Kiessling, celibe all’età di 58 anni: nessuno immaginava un’altra spiegazione all’enigma di un uomo dalla posizione sociale invidiabile che, a differenza degli altri generali, non era mai stato sposato. Nella cittadina belga di Casteau, nei pressi di Mons, a un’ora d’auto a sud di Bruxelles, sede del supremo quartier generale europeo della Nato, il generale Kiessling era giunto all’inizio di aprile del 1982 come vicecomandante supremo. Il comandante supremo è sempre stato un generale statunitense e il primo, nel 1951, fu «Ike» in persona, ovvero Dwight David Eisenhower, presidente degli Stati Uniti dal 1953 al 1961. Kiessling si guadagnò invece l’etichetta di «crazy guy» dal comandante supremo allora in carica, il generale Bernard Rogers, come ricorda lo storico militare tedesco Heiner Möllers, tenente colonnello della Bundeswehr, autore del volume L’affaire Kiessling (Ch. Links Verlag, 368 pag, 25 euro, ebook 14,99 euro), pubblicato in Germania nel decennale della morte del generale, scomparso il 28 agosto del 2009.

Fino al 1977, solo il Regno Unito ebbe l’onore di fornire un vicecomandante al quartier generale, ma dal 1978 i vicecomandanti furono due per accontentare la Germania Ovest, le cui truppe nel teatro europeo della Nato erano numericamente inferiori solo a quelle statunitensi. Il primo vicecomandante tedesco fu il generale Gerd Schmückle, seguito nel 1980 dall’ammiraglio Günter Luther che, scrive Möllers, «si concentrò su quanto per lui era davvero importante: perfezionarsi sul campo da golf piuttosto che nel lavoro militare». In un posto in cui «tutti erano ben pagati e l’umore era dei migliori», la situazione era ideale per coltivare il gossip e combaciava come un guanto con l’arrivo di Kiessling, il terzo dei vicecomandanti tedeschi. A parte la sua perfetta padronanza dell’inglese, «non è chiaro perché proprio Kiessling fosse stato nominato vicecomandante, infatti i documenti in proposito del dipartimento del personale del ministero della Difesa sembrano essersi volatilizzati, ed è ugualmente ignoto se ci fosse una candidatura alternativa per quel ruolo», osserva Möllers.

Mentre i generali americani e britannici avevano a disposizione nelle loro residenze fino a 17 persone che si occupavano della sicurezza delle loro famiglie e dell’organizzazione di eventi mondani, Kiessling, come se volesse alimentare le illazioni, viveva in una villa a due piani in compagnia del solo autista, di cui talvolta sembrava dubbia la funzione, visto che al mattino il generale tedesco arrivava al lavoro in bicicletta. Kiessling, che come il suo predecessore aveva intuito di detenere una carica priva di effettive responsabilità, irritò il generale Rogers manifestando perplessità sulla strategia della Nato, che dagli anni Settanta verteva sulla necessità di armi nucleari tattiche da impiegare nella fase iniziale di un eventuale conflitto con gli eserciti del Patto di Varsavia, ritenuti superiori sul piano della guerra convenzionale. Ma niente contava quanto il fatto che l’omosessualità, per quanto presunta, fosse percepita come un rischio per la sicurezza, rendendo ricattabile dai servizi segreti dei Paesi ostili all’Alleanza Atlantica un generale che aveva accesso alle informazioni più importanti e riservate.

Fu per questo che il 31 agosto del 1983, Kiessling finì nel mirino del MAD (Militärischer Abschirmdienst), il servizio di controspionaggio della Bundeswehr, che inviò una foto del generale in uniforme a Wolfgang Rösch, ispettore capo della polizia criminale di Colonia, città in cui Kiessling risiedeva negli anni Settanta. Opportunamente ritoccata per non fare capire che si trattava di un militare, la foto fu consegnata da Rösch al suo collega Helmut Simon, al quale venne anche celato il cognome dell’indagato. Il 5 settembre, Simon si recò in un locale gay e lesbo di Colonia, il «Café Wüsten», per chiedere se qualcuno conoscesse il Günter nella foto. «Ma quello è il Günter della Bundeswehr!», esclamò un testimone, precisando tuttavia che quel Günter non si vedeva nel locale da almeno un decennio. Toccò poi al «Tom-Tom», un disco pub in cui un altro testimone disse che Günter doveva essere quel tizio della Bundeswehr che a volte spariva per due o tre mesi, ma poi riappariva nel locale due o tre giorni di fila, di solito nel fine settimana, per intrattenersi con gli Stricher, i ragazzi omosessuali dediti alla prostituzione.

Le indagini erano state dilettantesche: nulla vietava che i sedicenti testimoni si riferissero a un altro militare di nome Günter vagamente somigliante a Kiessling, o che si fossero divertiti a consolidare dicerie che potevano essersi diffuse su di lui anche a Colonia. Ma la bomba che qualcuno voleva preparare a tutti i costi era pronta, ed esplose tra le mani del ministro della Difesa, il cristiano-democratico della CDU Manfred Wörner che, allertato il 14 settembre dal capo dell’ufficio di sicurezza della Bundeswehr, il generale di brigata Helmut Behrendt, dopo ulteriori lacunose indagini rimosse Kiessling il 23 dicembre con il prepensionamento. Da bravo generale, Kiessling diede battaglia assistito da Konrad Redeker, un noto avvocato di Bonn (la capitale della Germania Ovest, allora), e il 4 gennaio del 1984 entrò ad Amburgo nell’ufficio di Claus Jacobi, caporedattore del settimanale Welt am Sonntag, per inaugurare un mese di interviste infuocate con i principali mass media nazionali, durante le quali egli ribadì di non essere omosessuale e che Wörner non aveva mezza prova del contrario, come avrebbe confermato quell’anno una commissione parlamentare d’inchiesta istituita il 20 gennaio. Il cancelliere Helmut Kohl chiese al ministro della Difesa di fare chiarezza e Wörner infatti non ci riuscì, ma Kohl ne respinse le dimissioni.

Günter Kiessling, che aveva sempre servito fedelmente la Repubblica Federale Tedesca, fu quindi riabilitato il primo febbraio e rientrò in servizio fino al 31 marzo, per essere congedato con tutti gli onori. Il libro di Heiner Möllers non rivela se lo scandalo fosse stato solo il maldestro tentativo dei vertici militari di sbarazzarsi di un personaggio scomodo, o se vi avesse anche preso parte l’intelligence di Paesi intenzionati a danneggiare il ruolo della Germania Ovest nella Nato. Per Möllers quest’ultima ipotesi non è avvalorata nemmeno dalla scoperta avvenuta nel 1990, nella Germania riunificata, che il defunto colonnello Joachim Krase del MAD, il controspionaggio della Bundeswehr, negli anni dell’affaire Kiessling, era da tempo un IM ( Inoffizielle Mitarbeiter) della Stasi, un collaboratore informale dei servizi segreti della Germania comunista pagato circa 40mila marchi all’anno. In ogni caso, Manfred Wörner concluse la sua carriera come segretario generale della Nato dal luglio del 1988 all’agosto del 1994, quando morì per cancro a 59 anni.

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