Silvia Zoppi Garampi
Ancora su Ungaretti alla maturità

Il segreto della poesia

Quello che avrebbe più incuriosito il poeta dell’“Allegria” sarebbe stato leggere i testi elaborati dagli studenti maturandi. Perché «“Risvegli” come tutte le poesie del “Porto Sepolto” è un testo capace di sollecitare l’immaginazione, di far riflettere sui riverberi prodotti dai suoi versi striminziti». A iniziare da quella domanda su Dio

Parlare di esami di maturità significa spesso, e lo abbiamo appena visto anche quest’anno, innescare delle polemiche: da una parte sulla scelta degli argomenti, dall’altra sulle modalità indicate per svolgere la prova. Sul secondo aspetto ci tornerò indirettamente alla fine di questa considerazione sulla prima traccia proposta dal Ministero, dedicata all’analisi della poesia Risvegli della raccolta Il Porto Sepolto di Ungaretti. Il tema è stato accolto bene: in generale, nell’ultimo anno scolastico, Ungaretti è insieme a Montale il poeta più studiato del Novecento. Inoltre il nostro poeta è oggi considerato il fondatore della poesia contemporanea italiana e uno dei maggiori rappresentanti della letteratura dello scorso secolo. E un po’ devono aver influito anche le date e la circolazione di nuovi libri sulla popolarità del poeta nato ad Alessandria d’Egitto nel 1888: nel 2016 si celebrarono i cento anni della stampa del Porto Sepolto, quest’anno è un secolo dall’uscita dell’Allegria dei Naufragi, che oltre alle poesie dello smilzo volumetto del ’16 incluse testi precedenti e successivi. Il prossimo anno si celebreranno i cinquant’anni dalla morte del poeta, avvenuta a Milano nel giugno del 1970.

In questo frangente scolastico, ciò che avrebbe più incuriosito Ungaretti, fuori da ogni polemica, sarebbe stato leggere i testi elaborati, in quelle sei ore che volano, da maturande e maturandi. E infatti sarà interessante leggere gli scritti delle nostre ragazze e dei nostri ragazzi perché Risvegli come tutte le poesie del Porto Sepolto è un testo capace di sollecitare l’immaginazione, di far riflettere sui riverberi prodotti dai suoi versi striminziti:

 

Risvegli

Mariano, il 29 giugno 1916

 

Ogni mio momento

io l’ho vissuto

un’altra volta

in un’epoca fonda

fuori di me

 

Sono lontano colla mia memoria

dietro a quelle vite perse

 

Mi desto in un bagno

di care cose consuete

sorpreso

e raddolcito

 

Rincorro le nuvole

che si sciolgono dolcemente

cogli occhi attenti

e mi rammento

di qualche amico

morto

 

Ma Dio cos’è?

 

E la creatura

atterrita

sbarra gli occhi

e accoglie

gocciole di stelle

e la pianura muta

 

E si sente

Riavere

 

È come si vede una poesia che richiama sensazioni e sentimenti: la memoria, la tradizione lirica che a ritroso il poeta ha ripercorso; il ricordo delle vite passate risalenti a secoli prima. Poi successivamente c’è il risveglio da quel primo momento di immersione negli abissi della mente e c’è la presa di contatto con la natura, con il paesaggio circostante, con la morte vicina, con il valore della propria vita. Si può dire che Risvegli è un testo che raccoglie, nella tipica, innovativa struttura poetica del Porto Sepolto, alcuni aspetti tematici propri della stessa raccolta, permettendo di spaziare e di fare collegamenti tra le poesie più conosciute del primo Ungaretti. Ma soprattutto è una composizione che ancora ci dice molto, e credo possa colpire i sentimenti dei più giovani, per la mutevolezza degli stati d’animo sintetizzata in poche parole, per il particolare attaccamento alla vita in particolari frangenti, espresso negli ultimi versi, per gli interrogativi che il poeta si pone.

Così Leone Piccioni esprime nel suo agile libro intitolato Porto Sepolto (Succedeoggi 2016), lettura che la gioventù amerebbe, l’inquietudine del poeta in Risvegli: «Ungaretti anarchico, ateo aveva avuto tuttavia sempre una brace vampeggiante nell’animo. La vera conversione avvenne – come si sa – nel ’28, con La Pietà. Anche da certe lettere agli amici traspare talvolta un certo travaglio, insieme a una sicura conoscenza dei testi biblici. C’è una data importante, una data della trincea del ’16: il 29 giugno compone tre liriche, non sono forse di riflessione e di angoscia religiosa? Sono Peso, Dannazione, Risvegli. In Peso ci descrive quel contadino che “… si affida alla medaglia/ di Sant’Antonio /che porta al collo/ e va leggero…”, per contrapporgli un proprio desolato ritratto: “ma ben sola e ben nuda/ senza miraggio/ porto la mia anima”. Certo quel contadino è un ingenuo, la sua religiosità apparterrà senz’altro alla sfera della superstizione, ma c’è nel poeta come un’invidia per la leggerezza che guida il suo passo. La poesia Dannazione è composta di soli tre versi: “Chiuso fra cose mortali/ (anche il gran cielo stellato finirà)/ perché bramo Dio?”: so di essere mortale – pare dirci il poeta – non credo all’eternità al punto di poter affermare che anche il cielo, anche le stelle hanno un loro termine di vita. Se sono convinto di questo perché – mi domando – “bramo Dio?”. E in Risvegli ecco un verso soltanto da sottolineare: “Ma Dio cos’è?”. Per le risposte occorrerà aspettare il 1928, la liturgia della Settimana Santa a Subiaco […]».

Spero tanto che le studentesse e gli studenti non si siano fatti tentare dall’alternativa (nella traccia ministeriale) di rispondere a quelle secche domande sulla poesia in questione – che al massimo potevano costituire una scaletta di riferimento – e abbiano scelto la propria lettura di Risvegli, una libera interpretazione, partendo dall’analisi delle parole: il modo per dimostrare che hanno inteso l’universale messaggio di Ungaretti per il quale la poesia è «segreto comunicato a segreto» e che ancora conclude la poesia eponima del Porto Sepolto con la nota strofa:

Di questa poesia

mi resta

quel nulla

d’inesauribile segreto

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