Every beat of my heart
Dylan Thomas prega
Dalla nascita di un bambino «che impara adesso il sole e la luna» alla nascita del mondo. È una visione e una rivelazione del divino la poesia del grande autore gallese qui tradotta da Roberto Mussapi. Un grido di vita che riconduce a «un mai nominato e sempre più travolgente Cristo»
Il lettore di queste pagine ha già incontrato la meravigliosa poesia da cui sono tratti questi versi, sempre nella mia traduzione. Ora ne isolo un blocco in cui leggendo si prova la meraviglia di una subitanea, improvvisa e assoluta scoperta del divino: mentre ha la visione il poeta (l’uomo), si inginocchia.
La poesia inizia con un “Who are you?”, “Chi sei tu” … chiede Dylan a una voce di bambino, un pianto o strillo di nascente che si percepisce dal muro “sottile come un’ala di scricciolo”.
Subito la tenerezza di quell’ala, di quel piccolo uccellino ci presentano il bambino che sta uscendo alla luce, nella stanza accanto. Sconosciuto, sconosciuta la madre che lo sta partorendo. Da quel grido di vita, dai rumori della levatrice, il poeta vive quella nascita e il miracolo della nascita in assoluto, e in esso sente quella di un mai nominato e sempre più travolgente Cristo.
Ora lo sta seguendo e la visione si dilata alla nascita del mondo, il poeta prega, la visione è diventata preghiera.
Nel nome dei perduti che hanno gloria
nelle distese schifose di carogne
sotto il lamento funebre
degli uccelli da carico
gravi degli affogati
e della verde polvere
e lassi
dello spirito
della terra
come polline
sulle nere piume
e sul becco di fango
io prego anche se appartengo
solo in parte oramai a quei dolenti
fratelli perché la gioia è penetrata
nel cuore dell’osso del mio cuore.
Perché lui che impara adesso il sole e la luna
del latte di sua madre possa tornare
prima che il labbro avvampi e fiorisca
alla stanza di sangue della nascita
dietro l’osso di scricciolo
del muro e ammutolire
e l’utero
che generò
per
tutti gli uomini
adoranti
la luce bambina o
la prigione abbagliante
si spalanchi al suo avvento.
Nel nome degli sfrenati
persi sulla montagna imbattezzata
nel cuore del buio io lo prego.
Che lasci i morti morire anche se piangono
che le sue mani d’erica li sollevino
al trono della sua ferita cosmica
e il giardino della goccia di sangue
sopporti che la cieca armata
di pietra s’addormenti
nella profonda e
buia
roccia
e nessun
osso di cuore risvegli
ma lasci che si spezzi
sulla cresta della montagna
non invitato dal sole
e la polvere martellante sia soffiata
giù nella grufolante pianura del fiume
sotto la notte che cade incessante.
La notte che cade incessante è una conosciuta
stella e paese alla legione dei dormienti
io chiamo a rintocco la loro lingua
per piangere la sua inondante
luce per mare e per terra
e siamo giunti
a conoscere
ogni
luogo
strada
groviglio
passaggio
quartiere e tomba
della caduta senza fine.
Ora il comune Lazzaro
dei dormienti che tracciano rotte prega
di non svegliarsi mai più mai più sorgere
perché il reame della morte ha i confini del cuore.
E la stella dei perduti la forma degli occhi.
Nel nome dei senzapadre
nel nome dei non nati
di chi non vuole
le mani e gli strumenti
dell’alba levatrice
o nel nome
di nessuno
Adesso
Nessuno che
sarà io prego
possa il sole
scarlatto filare un grave
grigio e il colore della creta
fluttuare sul suo martirio
nella sera dispiegata
e il buio conosciuto della terra amen.
Dylan Thomas
(Da Visione e preghiera)