Lapis
Autorevole a chi?
Che relazione c'è tra un "buongiornissimo" e un'affermazione di papa Francesco sulla pace a Gerusalemme? Il mito dell'originalità a tutti i costi propugnato dai social (e descritto da Stefano Bartezzaghi). Con questo commento, si inaugura una nuova rubrica di Matteo Pelliti
Sei anni fa inauguravo su Ilbureau.com (http://ilbureau.com/) una piccola rubrica di analisi linguistiche, LAPIS (i tic, i lapsus e le storture della lingua sociale) con queste parole: «Il livello di udibilità delle stronzate nel discorso pubblico si è indicibilmente alzato, e questo è un male». Ora, mi pare che, a distanza di sei anni, la situazione non sia molto migliorata e che il radioso presente “gialloverde” offra ulteriori e sempre più interessanti spunti per riflessioni sociolinguistiche. Niente di accademico, solo brevi osservazioni leggibili in pochi minuti, poco oltre la soglia di attenzione di un post. Grazie all’invito di Nicola Fano, riprendo quindi quella mia piccola ricerca, o denuncia, di quanto di incongruo e ridicolo viene ospitato nelle nostre abitudini lessicali contemporanee. Mi accompagna, e in parte mi spinge, in questo ritorno sul terreno motoso del presente, il nuovo libro di Stefano Bartezzaghi, Banalità. Luoghi comuni, social network e semiotica (Bompiani, 2019), perché è una guida utilissima e illuminante per aumentare la propria consapevolezza sulle prassi linguistiche in rete e per fissare negli occhi la banalità senza cadere nell’abisso del suo stesso sguardo ma, anzi, facendosela un poco amica.
Fra i tratti più interessanti del volume, a mio modo di vedere, una riflessione sul concetto di “autorevolezza” e sulla messa in discussione del concetto nelle interazioni sui social. Chi è autorevole in rete e per dire cosa? La navigazione dentro la banalità condotta da Bartezzaghi prende le mosse proprio da un post incauto – apparso su Facebook – in cui veniva criticata una dichiarazione di Papa Francesco nella quale auspicava la pace per Gerusalemme, nel Natale 2017. Se anche il Papa viene giudicato banale, lui che è una “fonte” autorevole in sé, cosa sarà giudicato originale? Il post dell’anonimo censore del Papa appare realmente come una spia della distorsione di prospettiva in cui ci imbattiamo nella polarità originalità/banalità che tiene in tensione le nostre comunicazioni quotidiane, meglio, le nostre autorappresentazioni di pensiero. Cito da Bartezzaghi: «Su quale base l’estensore del post ha autorizzato se stesso ad applicare la categoria dell’originalità a un messaggio pontificio (e a parametrarlo, sia pure per paradosso, con la propria capacità di essere originale)? Risposta. Questa “base” è la piattaforma stessa del social». Ciò rappresenta una distorsione, per me, dei nostri comportamenti linguistici (cioè, alla fine, etici): lo “stare” su Facebook abilita, ipso facto, all’elaborazione del giudizio sull’originalità o meno di un messaggio del Papa. Direi di più: la piattaforma spinge a formulare giudizi proprio nell’idea di “distinguersi”, di essere “originali”. Avere consapevolezza della natura illusoria della dimensione “orizzontale” dei socialnetwork, per riprendere ancora spunto da Bartezzaghi – come se il Papa avesse la stessa necessità di essere originale nei messaggi come chiunque scriva un “Buongiornissimo” di lunedì mattina – è una condizione di maggiore salute linguistica, conversazionale, relazionale.