Visto al Piccolo Eliseo di Roma
Calcio senza veli
Nuovo esperimento di teatro itinerante e di riflessione sulla società con "Spoglia-Toy" di Luciano Melchionna al Piccolo Eliseo di Roma. Non è tutto oro quello che luccica e dietro i muscoli e lo status symbol di Mister e dei suoi 11 giocatori si nascondo le pieghe tragiche e profonde dell'esistenza umana
Premetto che non ho visto mai Dignità Autonome di Prostituzione, lo spettacolo che ha regalato notorietà a Luciano Melchionna, mentre ho visto altri spettacoli – diciamo più tradizionali – a sua firma. Ebbene in molti mi dicono che Spoglia-Toy, lo spettacolo in scena a Roma fino al 26 maggio, è molto simile nel format a Dignità. Al pubblico, infatti, al momento del ritiro del proprio biglietto viene consegnato un numeretto che tornerà utile poi nel corso della serata. L’ingresso al Piccolo Eliseo del pubblico avviene tutti insieme, e tutti insieme dopo un lungo tragitto, un numero prestabilito ogni sera viene fatto accomodare, accalcato, in uno spazio angusto e semibuio, dove sono già in tensione emotiva gli undici calciatori ricoperti solo di accappatoio o telo in vita, un profumo di bagnodoccia si mescola all’aria rappresa e viziata. Si attende qualcosa o qualcuno, l’atmosfera è surriscaldata da cori camerateschi.
In men che non si dica, mentre il pubblico si sta ancora accomodando, fa l’ingresso Mister, colui che tutto può e che tutto fa, un deus ex machina che senza mezzi termini usa tutte le sue armi in possesso per ottenere il massimo da quelle ‘teste vuote’. Tuttavia s’intuisce che anche lui forse non brilla di luce propria, per quanto ce la metta tutta. Dietro di Lui si cela una moglie colta e intelligente che probabilmente gli mette le parole in bocca. Ma il fine giustifica i mezzi. E l’ottimo Mister pur di portare a casa un buon risultato è disposto a innalzare uno sport popolare come il calcio a livelli altissimi, disposto anche a rubare il mitico Vello d’Oro per guarire qualsiasi ferita provocata da un’inattesa sconfitta. Una sconfitta è una ferita inferta prima ancora che per i tifosi soprattutto per chi la subisce, e allora gli undici uomini in campo diventano novelli Argonauti. E Gennaro Di Colandrea come Mister, nonostante i pochi anni in più rispetto ai suoi colleghi/attori/calciatori mostra avere una maturità, una vigorosa potenza, una caratura di grosso valore. È giunto il momento di tirare fuori il numero di cui siamo entrati in possesso all’ingresso e di seguire il nostro Eroe in accappatoio. Ma questo clamore, questa importanza, questa nobiltà cui, grazie all’impeto di Mister, la squadra è elevata, giunge infine, rimpicciolita dallo squallore di una vita fatta di piccole cose, di problematiche insulse in un 2019 inoltrato: come un figlio con probabili tendenze omosessuali, che oggi definiremmo disturbi di genere, che il calciatore numero Quattro racconta al nostro gruppetto sparuto. Con ciuffo moicano platinato, interpretato con adesione e trasporto, Emanuele Gabrieli, occhi negli occhi, diffonde un’emozione che corre a fior di pelle. Improvvisamente è come se dalla mitica serie A cascassimo a rotta di collo in uno squallido torneo locale di una qualche borgata romanesca. Tematiche come quelle riportate all’attenzione del pubblico convenuto in uno spogliatoio di fortuna ricavato in un sottopalco del teatro dal gusto rétro, quasi un ritratto anni Settanta, fanno crollare tutte le aspettative, ovviamente posso riferire delle undici solo di una storia, quasi certamente le altre saranno state di sicuro, più interessanti. E l’oro di cui il giovane uomo dolente si riveste, pantaloncini ridotti e magliettina striminzita, indossati a vista, vorrebbero alludere agli stipendi favolosi di cui questi signori possono disporre, ma è solo un’esposizione impudica e impavida, di corpi più o meno palestrati in opposizione allo squallore di cupe esistenze mandate allo sbaraglio. E a nulla valgono citazioni colte o meno – Montale, Bernard Show, Maradona, Pasolini – suggerite da chissà quale ghostwriter, per trasformarsi in una danza macabra eseguita sotto gli occhi curiosi e voyeuristici degli spettatori tutti oramai raggruppati in platea. Finalmente il sipario della concretezza può aprirsi. Parla la Società Sportiva. Su di un piedistallo ammette le sue colpe come un novello Convitato di Pietra.
Con l’entrata in campo della macchina burocratica, con l’ingresso del football business, il calcio ha perso spontaneità e immediatezza, e a farne le spese son questi giovani corpi in attesa di riscatto. Mi vengono in mente per opposte ragioni personali La solitudine di un Portiere di Didier Kaminka, visto da ragazzo in qualche replica tv recitato da un giovane Mariano Rigillo, oppure Fùtbol. Storie di calcio di Osvaldo Soriano passando Prima del calcio di rigore di Peter Handke, letture e visioni sparute che risultano essere le mie incursioni calcistiche nel mondo della fantasia di autori amati, ma da quando è nato il Calcio è argomento di grande discussione ed ammirazione da parte delle arti e della letteratura, per questo motivo Spoglia-Toy ritrae uno spaccato tanto rutilante e scattante nei muscoli esibiti degli interpreti quanto tragico e profondo nei risvolti transitori dell’esistenza umana.