A proposito di "Barzellette"
Ridere secondo Ascanio
Il nuovo libro di Ascanio Celestini è scritto per essere detto: l'autore ci racconta i suoi paradossi da vero storyteller, e cioè in modo straniante, con un partecipe distacco, quasi in levare
Qualche giorno fa ho avuto un incontro pubblico, a Terni (Festival Gemellarte), con Ascanio Celestini, a proposito del suo ultimo libro, Barzellette (Einaudi, 304 pagine, 18 Euro). Azzardo un’ipotesi: Celestini, ottimo storyteller, nel mettere insieme questo libro è stato preso da sensi di colpa. Tanto che ci torna su in varie pagine, tenta di definire cosa è una barzelletta, la collega alla nobile tradizione orale, per difendersi cita Kafka, prova a incorniciare il tutto con una narrazione che ci porta in una stazione ferroviaria e tra i defunti, ci tiene tantissimo a smarcarsi da Berlusconi (pessimo barzellettiere perché interessato solo a farsi ammirare per le sue presunte abilità di raccontatore…). Ed è stato preso da sensi di colpa perché – diciamolo! – si tratta di un genere ultracommerciale e perché in esse si riversa l’immaginario più retrivo e stantio e carognesco del nostro paese. Altro che satira contro il potere! Volentieri la barzelletta vuole farci ridere sulle vittime, sui poveracci, sugli sventurati. E ricicla tutti i vecchi e peggiori stereotipi – di più e peggio che le vignette senza tempo delle parole crociate – su mariti cornuti e fedifraghi, su donne sempre frivole e talora sciocche, su ebrei tirchi, e fermiamoci qui per carità di patria….
Però poi Celestini ce le racconta da storyteller, e cioè in modo straniante, con un partecipe distacco, quasi in levare (diventa fondamentale ascoltarlo, più che leggerle!) e sapendo che si tratta di un rito sociale, di un gioco collettivo a cui ci chiede di partecipare (liberi di non farlo, ovviamente). In questo senso non è neanche così decisivo il finale di una barzelletta, per quanto sia spesso imprevisto e controintuitivo (per quanto mi riguarda sono d’accordo: quando qualcuno ne sta raccontando una che già conosco mi guardo bene dal dirlo perché così posso rilassarmi…). All’interno di questo gioco, i contenuti morali per lui sono del tutto irrilevanti. Niente moralismi, niente censure, neanche – poniamo – a proposito delle barzellette sugli spastici o sui malati terminali! Per quanto sia ripugnante, potrei acconsentire, ma solo a una condizione: che a raccontarle siano loro stessi (ammesso che ne abbiano voglia). Gli altri no, per favore. E non è questione di political correct.
Inoltre: in qualche caso la barzelletta può introdurre a un sano relativismo. Dal libro di Celestini: un povero prete di fronte a un leone: «Padre Onnipotente, ti scongiuro, ispira sentimenti cristiani a questa bestia feroce». E il leone, che si fa il segno della croce: «Grazie, Signore, per il cibo che ci concedi» (dove si vede che la religione cristiana in sé non ci garantisce alcuna salvezza!). Inoltre, una barzelletta che sarebbe piaciuta a Achille Campanile: un tizio approda sulla costa islandese e chiede a un pescatore: «Lei ha vissuto tutta la vita in Islanda?», e lui: «Non ancora».