Per i cinquecento anni dalla morte
La malvasia di Leonardo
Nel 1499 Ludovico il Moro regalò a Leonardo una vigna nel cuore di Milano, a due passi dal Cenacolo. Ora quel terreno è tornato a produrre vino, seguendo una sorta di "trattato sul bere" scritto dallo stesso artista
Attraversato il cortile del palazzo, in fondo al giardino, ecco scorgersi il «piccolo appezzamento agricolo». I filari sono ben allineati «nel rispetto della disposizione originale e del vitigno scientificamente rintracciato» – si legge sul pannello della cronologia della storia della vigna. Non siamo sulle colline toscane bensì in pieno centro a Milano, in Corso Magenta 65, nel giardino di una storica dimora rinascimentale: la Casa degli Atellani, famiglia di diplomatici fedelissimi cortigiani degli Sforza. Il palazzo è l’unico lungo Corso Magenta a conservare l’aspetto dell’epoca. Quella vigna ha avuto un “vignaiolo” illustre: apparteneva a Leonardo da Vinci e gli fu donata da Ludovico il Moro come gesto di riconoscenza per «le svariate e mirabili opere da lui eseguite per il duca».
Così Leonardo, quando finiva di lavorare all’Ultima Cena, bastava che attraversasse la strada per poter prendersi cura della sua vigna: il refettorio dove il genio ha dipinto il Cenacolo è ubicato di fronte alla Casa degli Atellani. Leonardo proveniva da una famiglia di vignaioli e a Vinci, borgo sulle colline toscane dove nacque, il padre Piero aveva possedimenti e vigneti e Leonardo non tenne mai nascosto il suo amore per il vino, tanto da scrivere «credo che molta felicità sia data agli uomini che nascono dove si trovano i vini buoni». Fu Ludovico Maria Sforza detto il Moro, duca di Milano, il 26 aprile 1499, a donare ufficialmente il vigneto a Leonardo, come specificato nel Codice Atlantico e nel manoscritto I di Francia dove si trovano annotazioni per un terreno di dimensioni di 100 braccia milanesi (59 metri circa) e per 294 braccia milanesi (circa 175 metri).
L’artista era molto legato a quel vigneto nonostante le avversità alle quali andrà incontro. Il terreno gli fu confiscato dai francesi dopo che ebbero sconfitto in guerra Ludovico il Moro, ma poi riuscì a rientrarne in possesso. Il 2 maggio 1519 ad Amboise Leonardo morì e nel testamento redatto il 23 aprile ordina che la vigna venga suddivisa in due lotti uguali da assegnare uno al suo allievo prediletto Gian Giacomo Caprotti detto il Salai, l’altro a Giovanbattista Villani, il servitore che l’ha seguito in Francia. Solo nel 1919, grazie al progetto dell’architetto Piero Portaluppi incaricato dal senatore Ettore Conti, magnate dell’industria elettrica italiana del ventennio fascista, si pensò di ristrutturare la Casa degli Atellani. E da qui la scoperta, durante i lavori nel 1920 da parte di Luca Beltrami, che identifica e fotografa la parte della vigna di Leonardo ereditata dal Salai in fondo al giardino della Casa degli Atellani. Ma nell’agosto del 1943 la casa venne bombardata: le parti danneggiate saranno ricostruite dopo la guerra. Il sito della vigna viene ricoperto con le macerie dei bombardamenti. Nel 2014 l’idea di recupero riprende grazie agli attuali proprietari e alla fondazione Portaluppi. Iniziano gli scavi e grazie all’analisi dei detriti organici della terra raccolti, un gruppo scientifico dell’Università di Milano dichiara di essere risalito al Dna originale della vite di Leonardo: la Malvasia di Candia aromatica, all’epoca molto popolare. Dal 2017 la vigna ha dato le sue prime bottiglie, circa un centinaio. Un vino fermo, proprio come quello che beveva Leonardo: allora non c’erano le bottiglie e lo si conservava nella terracotta. Leonardo come riportano alcuni suoi scritti, considerava il vino come qualcosa di prestigioso, un connubio perfetto di bellezza ed efficienza. Nella lettera che l’artista inviò al suo “fattore di Fiesole” nel 1515, indica come migliorare la coltivazione delle vigne concimando la vite con sostanze basiche e la vinificazione in botti chiuse, che a quei tempi erano considerate intuizioni geniali. Si tratta, insomma, di un vero e proprio trattato sul vino, dove Leonardo consigliava anche come berlo: preferire vino di qualità e berlo senza eccessi. Precursore del bere responsabilmente. Se Leonardo vedesse ora i suoi “filari rinati”, brinderebbe con un bicchiere del suo vino esclamando: “Ad maiora semper!”.