In margine al Salone del libro di Torino
Contro Ezra Pound
È arrivato il momento di rileggere Pound, un intellettuale sopravvalutato che frulla in un vortice unico Est e Ovest, haiku e provenzali, classicità e sperimentalismo, Ovidio e Cavalcanti, Jefferson e Mussolini. Forse se le merita, le speculazioni dei nuovi fascisti
A proposito della querelle sullo stand dell’editore di CasaPound al Salone torinese, qualcuno invita a leggere o rileggere Pound, a capire quanta distanza lo separi dai “poveretti” (Cacciari) di CasaPound. Proviamo a farlo. Subito però un interrogativo, che spero non suoni irrispettoso: proprio sicuri che Pound, che si sentiva contemporaneo di Dante e Cavalcanti, sia stato uno dei maggiori poeti del ‘900, come enfaticamente dichiarò una volta Cacciari di fronte alla sua tomba veneziana? Avrei molti dubbi in proposito. Per certi versi mi appare come un insuperabile software della cultura universale, una sterminata enciclopedia in forma poetica dell’intero sapere umano. Montale disse una volta che nel suo cervello si celebrava “un festival della letteratura mondiale”. Aggiungerei: un festival postmoderno inzeppato di reminiscenze classiche e mitologie culturali, a volte scadenti o perfino un po’ fasulle.
Pound, definito “global translator”, sembra frullare in un vortice unico Est e Ovest, haiku e provenzali, classicità e sperimentalismo, Omero e Dante, Ovidio e Cavalcanti, Riccardo di San Vittore e Iside (madre della religione egizia), Jefferson e Mussolini. A 12 anni andò per la prima volta nella coltissima Europa. provenendo dalla estrema provincia del Far West americano, e da allora non si è più ripreso! Prezioso maieuta del suo amico Thomas S. Eliot, ma, al contrario di lui, la sua opera “è in parte naufragata sotto il peso della sua erudizione” (così il critico Edmund Wilson, suo amico, che ricorda come Pound alle cene fingeva di saper suonare il piano!). Della poesia di Pound amo l’essenzialità, l’energia, l’esattezza metrica, il principio artigianale che una poesia deve essere scritta “altrettanto bene di una prosa”, la negazione dell’io in favore del mondo – tutte attitudini travasate nei beat –. La sua stessa scandalosa biografia politica, infine, mi appare come una vicenda ispirata da una disarmata ingenuità che lo porta ad abbracciare cause perse, ancorché aberranti, come la RSI (e per il reato di tradimento scontò la pena in una gabbia di cemento e filo spinato a Pisa).
Va bene, è ingiusto banalizzarlo. Ma prendiamo un suo famoso aforisma: “Se un uomo non è disposto a lottare per le sue idee, o le sue idee non valgono nulla, o non vale nulla lui”. Una sentenza roboante e falsa. Non tiene conto di quella che Orwell chiamava la naturale “lunaticità” dell’essere umano, sempre un po’ esitante, contraddittorio. Cosa sono quelle “idee”granitiche che dovrebbero governarci dispoticamente e che non tollerano dubbi su di sé? E poi, al contrario: quante volte si è lottato – fanaticamente! – per idee che letteralmente “non valevano nulla”, per idolatrie sociali sprezzanti verso ogni compromesso! Ma la forza di Pound non sta nel suo pensiero esplicito. Piuttosto nella fusione di senso e suono che si percepisce in alcuni suoi versi. Lui stesso dichiarò che le proprie citazioni erano soltanto dei temi musicali, che poi sviluppava liberamente. Singolare: il mito della purezza – probabilmente nato dai laghi cristallini del suo Idaho –, che la sua poesia tende a negare poiché si mescola alla lingua parlata e colloquiale, diventerà invece esiziale dal punto di vista politico-ideologico.
Prendiamo poi il rapporto di Pasolini con Pound. Un rapporto di ammirazione, e financo di devozione (si veda la celebre intervista, ora su YouTube, in cui legge con empatia alcuni dei suoi versi). Però non è mai devozione acritica. In un articolo del 1973 si sofferma sugli scritti “economici” (Oro e lavoro, Roosevelt e le cause della guerra presente…), giudicandoli “farneticanti e anche idioti… illogici e provocatori”, originati da una “pazzia clinica”. Le sue affermazioni “paradossali, teppistiche e arrabbiate” nascono per lui da una “politica gestuale”, dunque teatrale, esibizionistica. In un altro articolo, dello stesso anno, precisa che l’ideologia reazionaria di Pound – delirante – proviene dal suo background contadino, è tutta una venerazione dei valori di un mondo contadino arcaico celebrati nei Cantos: compassione paterna, devozione filiale, mutualità fraterna ( e proprio questi valori, in questa formulazione poundiana, li inserisce nel suo dramma “Bestia da stile”). Poi conclude, con una profezia errata (come spesso capitava a Pasolini) che qualcosa in Pound ne impedisce una piena strumentalizzazione da parte della destra. Mary de Rachelwitz, la figlia di Pound, ha perso la causa contro CasaPound e la appropriazione indebita del nome (e anche se lei, secondo Pasolini, avrebbe qualche responsabilità riguardo a una cattiva ricezione del pensiero del padre). Ora, sappiamo che la cultura vera sempre destabilizza, e ci offre una verità fatalmente ambigua sulla condizione umana (che è ambigua). Dunque qualsiasi riduzione a slogan, come quella fatta da CasaPound, la tradisce, e in questo caso tradisce Pound. Eppure non riesco a immaginarmi una cosa come CasaCéline: lo scrittore francese, che pure finì collaborazionista e autore di ripugnanti libelli antisemiti, aveva qualcosa di intrattabile e di refrattario alla destra. Nei primi romanzi difende gli sventurati e i senza potere, denuncia l’idiozia e l’orrore della guerra fino a elogiare la vigliaccheria, oltre a curare gratis come medico i barboni della banlieu parigina. No, troppo infido e pericoloso da maneggiare politicamente.