Paolo Fabrizio Iacuzzi e Ilaria Tagliaferri
Alla Fiera del Libro per Ragazzi

Zannoner, architetto della scrittura

La letteratura, per l’autrice toscana, è una costruzione sofisticata, dove quello che conta è la forza evocativa della narrazione. «La grandezza di un'opera - dice nella lecture che tiene oggi a Bologna - sta nella potenza che azzera i tempi, le differenze, le culture, che sa accendere una fiamma nel lettore e che resterà con lui per sempre»

In occasione della Fiera del Libro di Bologna 2019, la scrittrice Paola Zannoner il 3 aprile alle 13,30 al Caffè degli Autori legge la Ceppo Ragazzi Lecture 2019, scritta appositamente per il Premio Internazionale Ceppo. La scrittrice ha vinto il Premio per l’infanzia e l’Adolescenza, a cura di Paolo Fabrizio Iacuzzi, che ha ricevuto grazie alla Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia “per la sua capacità di costruire, di libro in libro, una grande architettura narrativa dove gli elementi si corrispondono e la tensione fra fiction e non fiction è calata in una istanza civile ed etica insieme” (dalla motivazione di Ilaria Tagliaferri). La lecture è stata scritta rispondendo alle sollecitazioni delle cinque parole chiave (Crescita, Volontà, Curiosità, Famiglia, Dolore) proposte dal Premio ed è pubblicata sul n. 122 della rivista “LiBeR”, trimestrale di libri per bambini e ragazzi. Riportiamo l’inizio insieme a tre domande che gli abbiamo rivolto.
Per saperne di più: <http://paolofabrizioiacuzzi.it/63-ceppo-paola-zannoner-vince-il-premio-ceppo-per-linfanzia-e-ladolescenza-c-s/>.

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Si scrive, almeno io scrivo, per un desiderio di appagamento di un’idea di bellezza. L’idea è appunto un’idea, perfetta nella sua luminosità. Io scrivo cercando di avvicinarmi a quell’idea, che nella traduzione pratica, nella scrittura, nella narrazione, va per forza sporcandosi, perché è materia, è approssimativa, è allusiva, è una prossemica. Le mie storie sono come tasselli di un grande puzzle, e ancora non ho il disegno completo, finito.

Ho molti autori preferiti che mi sembra si siano avvicinati alla perfezione della scrittura come grande architettura della mente: uno tra questi è William Shakespeare, l’insuperato poeta dei caratteri e dei sentimenti. Leggere (e rappresentare) Romeo e Giulietta a distanza di cinquecento anni (circa 1596) ci fa capire cosa significa “immortalità”. La storia di per sé è eterna ed eterno il linguaggio poetico attraverso cui si esplicita quel sentimento potente, puro come lo è l’amore adolescente che si giura “per sempre”, sfidando appunto la morte, quell’ombra che i giovanissimi guardano con fascino e inquietudine. Un linguaggio che illumina qualsiasi tipo di rappresentazione del dramma!

Ci rendiamo conto come sia diverso leggere Shakespeare (come Dante), da altri autori che rientrano nella categoria dei classici, e le cui storie ci incantano ancora oggi. Se abbiamo ben presente che le sorelle March, Le piccole donne di Louise May Alcott (1868, di cui conservo religiosamente l’edizione del 1968, quando ero bambina) sono ragazze dell’Ottocento, brillanti e acute, ma certamente diverse dalle ragazze di oggi, in Romeo e Giulietta proviamo una sorta di trasmutazione perché loro, oggi, sono ancora vivi e palpitanti, e le loro parole ci fanno piangere.

La grandezza di un’opera sta nella potenza che azzera i tempi, le differenze, le culture, che sa accendere una fiamma nel lettore, e che resterà con lui per sempre. Le tigri di Mompracem (1883-1884) di Emilio Salgari è una lettura che da bambina mi affascinava per l’ambiente, l’avventura, e il grande tema della ribellione contro i dominatori, gli inglesi che spadroneggiavano nel Golfo del Bengala. Sandokan era pirata a capo dei “tigrotti”, ma il suo obiettivo era contrastare gli inglesi e far sollevare un popolo. Salgari poi mi sembra molto interessante in un’epoca come la nostra dove si richiede che la narrazione sia frutto di esperienza diretta: uno scrittore che sapeva far lavorare la propria immaginazione, che sapeva rendere appassionanti i personaggi così diversi dal proprio mondo, al punto da far credere che fossero realmente esistiti.

Personalmente, non ho attinto soltanto alla mia esperienza diretta o alla mia biografia, anche se, come diceva Amos Oz, tutto è autobiografia e niente è autobiografia, nel senso che frammenti autobiografici vi sono sempre, e c’è comunque il punto di vista dell’autore. In molte mie storie ho utilizzato la capacità immaginativa di mettersi nei panni di un altro, dell’altro da sé, in situazioni anche drammatiche. Il mio ultimo racconto, C’è qualcuno nel buio (pubblicato dall’editore Librì a novembre 2018) è la storia di una ragazza e un ragazzo prigionieri sotto un tavolo dopo una tremenda scossa di terremoto che ha fatto crollare una parete di casa. Non si tratta di una mia esperienza diretta, ma della forza evocativa della narrazione.

La letteratura è un mondo di finzione, che prende dalla realtà alcuni dati e li rielabora per una costruzione sofisticata, che spinge la mente a produrre immagini sollecitata dalle parole. Parole che s’immagazzinano e che ci consentono di esprimere i nostri pensieri e i nostri sentimenti. Ecco perché io, forse più che scrittrice, sono lettrice. La lettura ha in me acceso il desiderio di conoscere e sfidare il mondo, di studiare e prepararmi e migliorarmi.

Che tipo di lettrice è stata da ragazza e quali sono le letture preferite adesso?
Sono stata una lettrice “onnivora”: mi gettavo avidamente su tutto, dai romanzi ai racconti, alle fiabe al mito ai fumetti. Quando ero adolescente, i fumetti erano di gran moda e io ero abbonata alla rivista Linus, che ci permetteva di apprezzare i disegnatori di tutto il mondo. Leggevo perché leggevano anche le mie amiche e ci scambiavamo opinioni sui libri, ci consigliavamo titoli e autori. Anche crescendo, ho avuto la fortuna di appartenere a una comunità letteraria. Leggevamo Calvino, scrittore moderno, e lo ammiravamo, leggevamo Eco e lo studiavamo, leggevamo Morante e ci commuovevamo. Far parte di un gruppo è importante per non sentirsi strani e soli, come mi ero sentita alle scuole medie, quando mi sembrava di essere l’unica ragazzina a leggere e studiare. Quindi se da piccola ero una lettrice solitaria, da adolescente ero una lettrice in una comunità di lettori. Le mie letture sono ancora oggi varie e dipendono anche dal lavoro perché continuo a studiare per scrivere i miei romanzi. Leggo i classici, i romanzi contemporanei, leggo psicanalisi e sociologia che mi aiutano a capire meglio la realtà in cui viviamo.

Nella lecture lei parla del suo genere preferito, il romanzo di formazione, e lo definisce «una crescita grazie al viaggio, all’incontro con gli altri, al parlare lingue straniere e naturalmente all’amore, coniuga presente e passato, esattamente come la crescita coniuga l’infanzia all’adolescenza all’età adulta». Perché si sente legata a questo genere?
Credo che in generale la letteratura sia una sorta di “formazione” perenne, la formazione del lettore e la formazione dell’individuo attraverso la conoscenza, l’esplorazione di temi e, come titola il suo romanzo lo scrittore francese Emanuel Carrére, di “vite che non sono la mia”. Nello studio della letteratura, si è individuato in particolare il bildungsroman, il romanzo di formazione, come quel tipo di storia che ripercorre la linea evolutiva di un personaggio durante la sua crescita. Nella mia produzione vi sono diversi romanzi di formazione, da La linea del Traguardo a Rolling Star, storie in cui un personaggio diventa consapevole di sé stesso e delle sue capacità.

Lei racconta che nei suoi libri «la novità sta nel fatto che non c’è un unico modello di famiglia»: a cosa è dovuta questa scelta?
La nostra società italiana è più tradizionalista rispetto ad altre società europee e occidentali dove la famiglia “allargata” esiste da almeno mezzo secolo e dove di recente si è anche deciso di abolire il termine “padre” e “madre” sostituendolo con un più generico “genitore”. È la trasformazione intorno a noi e come scrittrice mi sembra interessante testimoniarla, oltre al fatto che io stessa, personalmente, ho una famiglia “allargata” in cui contano molto le relazioni affettive più che quelle “di sangue”. Io credo che lo scrittore sia testimone del proprio tempo, perciò racconto le relazioni contemporanee che ci contraddistinguono.

(Nell’immagine vicino al titolo l’illustrazione per il Laboratorio di scrittura del marzo 2018 dell’Istituto Tecnico Economico A. Gentili di Macerata)

 

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