Giuliano Capecelatro
L'Italia di Salvini e Di Maio

La salvinosofia

Costruire una nuova Unità per escludere l'Altro; sostituire l'Azione al Pensiero: esegesi, in chiave filosofica, del primato salviniano sul mondo. Un miles gloriosus, un Pirgopolinice alla Plauto che ha sempre ragione. Finché gli altri sono d'accordo

Ubu, forse. No, non va. Il vitalismo prorompente, prevaricatorio, della geniale creatura di Alfred Jarry era l’alter ego ideale per Silvio Berlusconi, che di candele verdi nelle cene eleganti ad Arcore ne avrà consumate a centinaia. Un salto a ritroso di alcuni secoli: Tito Maccio Plauto, ecco! Il suo Pirgopolinice, miles che orgoglioso strombazza ai quattro venti le proprie imprese e la gloria che ne discende. Lui sì. C’è maschera che raffiguri meglio l’attuale onorevole ministro dell’Interno?

Vediamolo all’opera. Strabuzza gli occhi, fa la faccia feroce, digrigna i denti, mitraglia frasi sprezzanti sul nemico. Non si cura di critiche e polemiche, tira dritto per la sua strada. È proprio “l’uomo che se ne va sicuro,/ (…) e l’ombra sua non cura che la canicola/stampa sopra uno scalcinato muro” invidiato da Eugenio Montale. Ha cose troppo serie cui badare, affari di gran momento da sbrigare, per curarsi dell’ombra, montaliana o junghiana. Ma sì, Pirgopolinice fatto e sputato.

Prima, comunque, va sfatata una leggenda. Una maligna vulgata di sinistra vuole il Pirgopolinice istituzionale becero, ignorante fino al midollo. Nulla di più falso. Il Nostro ha schivato, sì, gli atenei tradizionali. Ma ha affinato mente e pensiero nelle più efficienti e popolari accademie circensi, di solito note come stadi. Qui, immerso in studi leggiadri e sudati cori, ha forgiato, con dura e assidua fatica, la sua Weltanschauung.

Ci si balocca ancora con Socrate, nel terzo millennio!, che ha lasciato in eredità l’anodino “So di non sapere”.  Che, se seguito alla lettera, condannerebbe l’uomo a uno stallo perenne. Meno scetticheggiante, più pragmaticamente cartesiano, il Pirgopolinice istituzionale riassume l’inesausto travaglio teoretico nell’eleganza e incisività di un pentametro giambico: “Dé/vi mo/rìre”. Che riecheggia garrulo tra gli austeri e affollati spalti delle accademie circensi, rivolto con maschia determinazione all’indirizzo dell’avversario, dell’Altro.

Sgombriamo il campo da equivoci. Quel verso sublime non è un invito a scatenare furie omicide, come una lettura ingenua o prevenuta potrebbe indurre a credere. È un assioma filosofico raffinato, una seria conquista metafisica, in cui un pizzico di volontà di potenza nietzscheana si innesta sul tronco dell’inviolabile Unità parmenidea- formata da quanti sono, pensano, agiscono come lui. Per evitare una fatale aporia, l’Unità non può, non deve accogliere l’Altro perché, lo capirebbe anche un bambino, si annullerebbe.  Alta filosofia, insomma, che, al contrario degli obsoleti sistemi partoriti dai cosiddetti grandi pensatori, non disdegna di misurarsi sul terreno dei fatti; anzi li cerca, li insegue con ansia.

Un dipinto classico, la Scuola di Atene di Raffaello Sanzio, mette al centro quei due vecchi barbogi di Platone e Aristotele, intenti a una disputa. Il primo col ditino alzato verso il suo iperuranio; l’altro che lo invita a dare maggior peso all’esperienza e indica la terra. Ciarpame del passato. Via, via. Il Nuovo che avanza, e che reclama: azione, azione!, con la stessa foga con cui nelle carestie si invoca il pane, sciorina una smagliante iconografia. In cui il Pirgopolinice istituzionale appare, ridente e fiducioso, fianco a fianco di forze nuove, baldanzose, esuberanti, giovani di sguardo fiero, il braccio teso a mostrare limpidi orizzonti, pronti a lenire le ferite dell’umanità con la generosa divulgazione di quel superbo, scultoreo assioma di cui si fanno apostoli, e la provvida segnalazione di paradisi festosamente innevati a cui approdare per sfuggire alle brutture del mondo; in primis, alla costante, implacabile minaccia dell’Altro, che sembra sbucare da ogni parte.

Prendiamo il Mediterraneo, diventato un incubo. Non c’è giorno che l’Altro, nelle sue multiformi incarnazioni, non lo solchi, lanciandosi protervo all’assalto dell’Unità. Che però, difesa dalla ferrea tempra di Pirgopolinice, virilmente resiste con pochi, secchi comandi. Con cui mette in riga anche le anime belle che tentennano, tendono pietose mani, inalberano presunti buoni sentimenti, cianciano di sciagurate fratellanze, inesistenti eguaglianze, pur di aprire porti e portoni all’invasore. Ma il Nostro è una roccia. Non cede di un millimetro. Ferma tutti deciso sul bagnasciuga. E il suo pentametro giambico risuona da una sponda all’altra di quel mare.

La sua preoccupazione è che quell’assioma non resti a vagare nelle praterie metafisiche, ma scenda sulla terra e sempre più informi mentalità e comportamenti, sino a generare una nuova, inesorabile etica. L’Altro, in fondo, talora può anche provenire dai propri ranghi, e assumere proditoriamente le sembianze di un ladro, un rapinatore. Nulla di meglio, anche in questo caso, che dare piena e concreta attuazione al dettato filosofico. Soluzione che ha fatto rizzare i capelli

in testa ai malcapitati industriali delle armi da fuoco, già col fiato corto per le ordinazioni che arrivano dallo Yemen e da ogni altro punto del pianeta in cui imperversano conflitti. E ora paventano gli straordinari necessari per fronteggiare l’impennata di domande da parte di ogni signor Brambilla che si rispetti. Ma il Progresso, civile e morale, ha leggi a cui è doveroso inchinarsi.

Con un sapido tocco di deliziosa erudizione, il Nostro eleva se stesso a suggestiva metafora. Atena, dea della sapienza, usciva armata dalla testa di papà Zeus. Lui non si perita di farsi effigiare con un’arma spropositata, un possente mitra. Minacce? Plastica raffigurazione dell’invidia penis? Ma no, ma no! Un vivace gioco dell’intelletto per menti superiori. Ma anche un monito esplicito all’Altro, costantemente impegnato in subdole manovre.

Gli accoliti – sia chiaro, sempre e solo nel puro significato etimologico: compagni di viaggio – lo idolatrano (chi come Lui?) e assecondano. Non sono ferrati come il Mentore sul piano teorico, accusano sbavature dialettiche, ma gagliardamente sopperiscono con i fatti e l’indefessa diffusione del verbo. Un giovane maître à penser, reduce da un’ardita impresa contro l’Altro, enuncia in una seguitissima trasmissione televisiva il credo: «I rom non sono come noi». Un senatore dallo sguardo obliquo, che ingloba tutto l’universo femminile nella sfera dell’Altro, da tenere a bada e possibilmente punire, si vanta giulivo della condanna inflittagli per diffamazione di un circolo gay, ancora un’infernale incarnazione dell’Altro. La condanna, pfui! Ai suoi occhi obliqui una medaglia al valore.

Mentalità universalistica – al confronto, il tanto decantato Leonardo, altra reliquia di un polveroso e ingombrante passato, risulta uno scialbo imbonitore di provincia –, il Pirgopolinice istituzionale propugna senza mezzi termini anche una profonda riforma della dottrina e dell’immobilismo gerarchico della chiesa cattolica, nel cui seno piamente staziona, rosario sempre in mano. Un’eresia non più tollerabile, il dogma dell’infallibilità papale. Nessuno, e Pirgopolinice lo dice a chiare lettere, può avere l’esclusiva di parlare a nome dei cristiani o dei cattolici. Né tanto meno far mostra di arroganza e contrapporre, come se fossero realtà antitetiche, Gesù Cristo e la Lega, il movimento che raccoglie e organizza i suoi seguaci. Aria nuova deve soffiare sul soglio di Pietro. Se non provvedono per tempo le imbalsamate burocrazie vaticane, ci metterà mano lui. Lo spinge e legittima il Popolo, di cui è serafico ma severo interprete, che gli gonfia le vele.

Agile e rapido di mente, coglie al volo le contraddizioni di chi lo avversa: quei professoroni che fanno la muffa in mezzo a vecchi tomi, i nostalgici di improbabili derby politici o, mettiamo per mera ipotesi, un qualsiasi pontefice. E rilancia ironico, la calma olimpica scaturita da un pensiero che sa inespugnabile: “Il confine tra bontà e fesseria è labile”. Col che i suoi contestatori sono belli che serviti: non lo dice, ma lascia intuire che loro quel confine, con i continui starnazzamenti per le sorti dell’Altro, lo hanno superato e appartengono inequivocabilmente, professoroni o pontefici, al secondo campo.

Catafratto nella sua poderosa e trionfante filosofia, l’Unità che condanna a perpetua esclusione ogni possibile Altro, osannato dai suoi accoliti, da legioni di entusiasti proseliti che diffondono senza sosta il messaggio e ne agevolano il farsi linguaggio comune, il Pirgopolinice istituzionale prosegue l’irresistibile ascesa. Senza timori, sereno, irenico quasi. Sicuro che nulla e nessuno possa fermarlo. Dai cieli della metafisica, rapito, sente calare come manna l’annuncio urbi et orbi: Pirgopolinice ha sempre ragione.

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