Itinerari per un giorno di festa
Le mani di Leonardo
Ingresso libero per ammirare nel Braccio di Carlo Magno l’opera che il da Vinci lasciò a Roma, prima di partire per la Francia. Una tavola che ha svelato, grazie ai sofisticati strumenti di indagine dei Musei Vaticani, le impronte digitali dell’artista che vi spalmò il colore manualmente
Ultimi dieci giorni di Quaresima, dopodomani Domenica delle Palme, piazza San Pietro ancora di più al centro del mondo, con il pellegrinaggio di turisti e cittadini cattolici e non, credenti e non, ma ciascuno innamorato del carisma artistico e storico di Roma. Nella vicenda trimilleraria della città s’inserisce anche il nome possente di Leonardo da Vinci, superstar in questo 2019 che ne celebra il cinquecentenario della morte. Ebbene, egli a Roma, dove visse dal 1513 al 1517 prima di partire per la Francia, ha lasciato una sola opera, che appartiene alle Collezioni Pontificie. Uscendo eccezionalmente dalla Pinacoteca Vaticana, questa opera ora è in mostra proprio in piazza San Pietro, ovvero nello spazio seicentesco del Braccio di Carlo Magno, là dove il colonnato sinistro del Bernini si congiunge alla basilica. È il San Girolamo nel deserto, vibrante di pathos e di misticismo nella scarnificata figura del padre della Chiesa appena coperto da un brandello di veste, accovacciato su una roccia, lo sguardo assorto nella contemplazione dell’Altissimo in una preghiera che non si cura del leone seduto ai suoi piedi, reso mansueto dalla devozione espressa anche con il sacrificio del digiuno.
Un dono del Governatorato e dei Musei Vaticani, l’esposizione, che è a ingresso gratuito per tutti (dal lunedì al sabato 10-18, mercoledì 13,30-18, fino al 22 giugno). E che attraverso una serie di pannelli didascalici e un video realizzato nella Santa Sede riassume, con l’acme della visione del dipinto, non solo la sua storia, ma quella di Leonardo a Roma. Il quale arrivò nel 1513, mentre nella città erano presenti Michelangelo, famoso per la Cappella Sistina, e Raffaello, celebrato per le Stanze. Il da Vinci era stato invitato dal Cardinale Giuliano de’ Medici, regnante papa Leone X. E si dedicò a studi botanici e latamente scientifici piuttosto che a “gareggiare” con gli artisti-divi del momento. Eppure il porporato gli diede un appannaggio di 33 ducati al mese e un appartamento appositamente ricavato per lui nel Belvedere Vaticano. Nel quale c’era anche un «bancho per macinare i colori», come testimonia un prezioso documento esposto al Braccio di Carlo Magno, uscito dall’Archivio Storico della Fabbrica di San Pietro, nel quale si contabilizza quanto necessario per allestire l’alloggio.
Dunque, Leonardo restò a Roma per due anni, trasferendosi a Castel Sant’Angelo dopo la morte di Giuliano de’ Medici. Ma il San Girolamo lo aveva dipinto prima. Non si sa bene quando, se all’inizio o alla fine degli anni Ottanta del Quattrocento (c’è un’analogia dello sfondo con il paesaggio dell’Adorazione dei Magi degli Uffizi del 1481 e con quello de La Vergine delle Rocce, 1484-86). Né si sa chi commissionò l’opera, che potrebbe anche essere stata realizzata per un uso privatissimo di devozione da parte dell’artista. Quel che è certo, è che si tratta di un lavoro di Leonardo, mai messo un dubbio a differenza di tante controverse attribuzioni. Come sia giunto a Roma, e quando, è un altro punto interrogativo. Della tavola si ha notizia come facente parte della collezione di Angelica Kaufmann, celebre pittrice a cavallo tra Sette e Ottocento. Ma quando ella morì, nel 1807, il dipinto ebbe una sorte impietosa: diviso in due parti, quella inferiore finì nel negozio di un rigattiere, utilizzata come anta di una credenza; quella superiore, con il volto di Girolamo, venne usata come piano per lo sgabello di un ciabattino. A ricongiungere i due pezzi fu lo zio di Napoleone, il cardinale collezionista Joseph Fesch. Quando questi venne a mancare, la tavola venne venduta in due successive aste e poi, per difficoltà economiche degli ennesimi proprietari, finì al Monte di Pietà. Dal quale lo tirò fuori nel 1856 la volontà di papa Pio IX di arricchire con soggetti religiosi le collezioni vaticane. Raccomandato da Tommaso Minardi e Filippo Agricola come «dipinto di mano di Leonardo da Vinci e perciò rarissimo e pregevolissimo» entrò così nella Pinacoteca, che proprio sull’iscrizione musiva a lettere dorate dell’esterno affianca il nome dell’autore della Gioconda a quelli di Giotto, Raffaello, Tiziano, Melozzo, Caravaggio.
Altro ancora dicono i pannelli della mostra. Spiegano le particolarità di realizzazione di un’opera affascinante anche nel suo essere “non finita”, come del resto l’Adorazione dei Magi. Il corpo e il volto di San Girolamo furono maggiormente oggetto di attenzione del da Vinci, che vi prodigò le sue conoscenze anatomiche. Gli strumenti di indagine più avanzati in dotazione ai laboratori dei Musei Vaticani, che hanno sviluppato più di duemila riprese per documentare tutta la superficie del dipinto, hanno tra l’altro permesso di identificare, soprattutto nel paesaggio a sinistra, le impronte digitali dell’artista, che stese perciò il colore con le mani. E che usò per tratteggiare il leone anche il prezioso indaco, il colore utilizzato dai Maya ma anche, proveniente da Bagdad, presente nella pittura medievale, e infine, ai giorni nostri, molecola chimica base del tessuto denim.
Di avanzata tecnologia ci parla anche la teca che racchiude il quadro dentro la dorata cornice realizzata nel 1931. Essa è “invisibile” e sul retro possiede sensori capaci di registrare ogni mutamento di temperatura e umidità. Così salvaguardato il San Girolamo può essere osservato da vicino e potrà andare in tournée fino al 2020, con tappe al Metropolitan di New York e al Louvre. Intanto godiamocelo a Roma, come «capolavoro assoluto ma anche come opera che esalta la spiritualità di un grande Padre e Dottore della Chiesa», scrive Barbara Jatta, Direttore dei Musei Vaticani. Lo testimoniano in mostra anche due riflessioni del papa emerito Benedetto XVI che disegnò la figura di Girolamo durante altrettante udienze generali nell’autunno 2007. Dove del santo – nato nel 347 a Stridone, oggi in Croazia – è sottolineato: «Ha riconosciuto ed assimilato i valori artistici, la ricchezza di pensiero e l’armonia delle immagini presenti nei classici, che educano il cuore e la fantasia a nobili sentimenti».