Visto al Teatro dell’Opera di Roma
La vedova allegra in pista
Damiano Michieletto offre al pubblico romano una “Vedova allegra” anni Cinquanta dove si balla il boogie woogie e dove l’invito continuo alla danza diventa un invito alla vita. L’artista veneto firma la regia dell’operetta di Franz Lehár conferendo, dietro le tonalità pastello, brio travolgente e leggerezza irresistibile
L’ha fatto di nuovo. Apparentemente si è limitato ad uno slittamento temporale di appena mezzo secolo, dai valzer belle époque al boogie-woogie anni Cinquanta. In realtà l’intervento del regista veneto sulla Vedova allegra andata in scena all’Opera di Roma dal 14 al 20 aprile, ma già nel cartellone della Fenice 2017-2018, non coinvolge solo l’ambientazione. Anche il piano drammaturgico assume nuove sfumature sotto la lente del regista, come sa chi è abituato all’impronta stilistica di Damiano Michieletto.
Die lustige Witwe, questo il titolo originale dell’operetta composta da Franz Lehár e presentata per la prima volta a Vienna il 30 dicembre 1905, è la storia a lieto fine di una giovane e ricca vedova, Hanna Glawari, di una vecchia fiamma mai spenta e del piccolo stato mitteleuropeo di Pontevedro che rischia la banca rotta qualora la vedova convolasse in seconde nozze con uno straniero. L’azione ha luogo presso l’ambasciata pontevedrina di Parigi – la commedia da cui il libretto di Viktor Léon e Leo Stein trae il soggetto, infatti, era L’attaché d’ambassade. Michieletto, tuttavia, sceglie una banca, non un’ambasciata, perché sono i soldi a muovere l’azione: i venti milioni dell’eredità della Glawari. Altro filone, immancabile, è l’amore: quello sincero e litigarello tra il Conte Dànilo e Hanna, quello vezzoso, sensuale e adulterino di Valencienne, la moglie del barone Zeta, per Camille De Rossillon. In un gioco sapiente di luci surreali e di equivoci da commedia borghese, il personaggio del segretario del barone, un Njegus interpretato da Karl-Heinz Macek, diventa un Puck complice degli innamorati. È lui a spostare il galeotto ventaglio di Valenciennes, è lui a spargere la magica polvere argentata e a ricongiungere gli amanti dopo i litigi.
Hanna, Dànilo, Valenciennes, Camille e gli altri nobili e meno nobili sfaccendati e corteggiatori che animano il libretto si muovono in una scenografia essenziale e curata nei dettagli al punto che la banca, l’ufficio, la sala da ballo per colori pastello, geometrie e stralci di luce dalle finestre richiamano ora le tele di Hopper ora la pellicola di Billy Wilder Quando la moglie è in vacanza. Le coreografie e i movimenti di scena (di Chiara Vecchi) danno corpo alla gioia di vivere travolgente che non lascia indifferente nessuno: merito dell’idea di Michieletto e della bravura di costumista, Carla Teti, e scenografo, Paolo Fantin, coadiuvati dalle luci di Alessandro Carletti. Squadra vincente non si cambia: il terzetto accompagna Michieletto di teatro in teatro, di opera in operetta. A dirigere l’orchestra e i cantanti, assicurando il ritmo sostenuto e incalzante di corteggiamenti, tradimenti e intrattenimenti notturni, è il Maestro Constantin Trinks. Il cast contribuisce alla resa dello spettacolo per la versatilità, le doti mimetiche e la scioltezza nella danza. Si distingue in particolare, per pulizia vocale e presenza scenica, Adriana Ferfecka, soprano nel ruolo di Valencienne, ma dispiace che Nadja Mchantaf sia una Glawari che balla meglio di come canti(ballava davvero bene però, con quelle giravolte, quei salti e quelle prese vorticose). Il cast maschile è in forma smagliante, brillanti e perfettamente calati nel ruolo, del casanova incallito piuttosto che del marito tradito: Paulo Szot (Dànilo), Anthony Michaels-Moore (barone Zeta), Peter Sonn (Camille) e così pure i personaggi minori, la cui complicità nei tempi comici ha reso godibilissimi persino i dialoghi – molti – recitati in lingua originale. La macchina teatrale è perfettamente sincronizzata per restituire il ritmo e la vivacità della Vedova allegra; lo spettacolo messo in piedi da Michieletto coinvolge tutti, strappando un paio di volte gli applausi del pubblico a tempo di musica. L’invito alla vita e alla danza si svolge senza soluzione di continuità, dal brano di apertura fino alla chiamata alla ribalta.