Anna Camaiti Hostert
Cartoline americane

La farsa Russiagate

L'amministrazione Trump ha messo il bavaglio al Russiagate. C'era da aspettarselo, in un paese dove la democrazia è ogni giorno a rischio e dove non si capisce più chi deve controllare chi

«I russi, i russi, gli americani…» cantava Lucio Dalla molti anni fa nella canzone dall’emblematico titolo Futura. Ebbene, il futuro oggi sembra appeso, proprio come allora, a queste due potenze. Non è bastata la caduta del Muro di Berlino e della Cortina di ferro a indebolire la pugnacità della Russia che con metodi e politiche diverse continua a cercare di dominare le più importanti zone strategiche del mondo. E certo non aiuta il fatto che anche la Cina si sia aggiunta ai commensali che tentano di spartirsi la torta. Tantomeno il fatto che a capo degli Stati Uniti ci sia un presidente volubile, macho, senza senso dello Stato e del bene comune. Con a cuore solo il benessere e i vantaggi personali.

E il gioco si fa ancora più pericoloso perché, come in questo caso, a essere sotto scacco è la democrazia americana, minacciata nella sua politica interna dalle interferenze di uno dei paesi summenzionati che vuole decidere dei destini del mondo: la Russia. Ci si riferisce in particolare al fatto che per riuscire a vincere le ultime elezioni presidenziali ai danni della candidata democratica Hillary Clinton, Trump si è servito proprio dei favori di Putin. Il tormentone della inchiesta del procuratore speciale Robert Mueller nei confronti del presidente, quella che avrebbe potuto portare a un’accusa di spionaggio o di alto tradimento si è invece trascinata per mesi, senza produrre prove evidenti che rendano possibile una sua incriminazione ufficiale di collusione con la Russia. Ma ha lasciato la porta aperta a possibili infrazioni e crimini commessi dal presidente. È toccato al Ministro della Giustizia descriverne le conclusioni. Invece di rendere pubblico il documento nella sua interezza, (300 pagine) cosa che la speaker della House, Nancy Pelosi, ha richiesto immediatamente, William Barr in un documento di quattro paginette distribuito al Congresso, ha affermato che non sono emersi elementi per accusare Trump di “obstruction of justice”. La Russia si è dichiarata sollevata dal rapporto Mueller e, a dispetto della delicatezza di altre instabili situazioni internazionali come in Venezuela o in Siria dove i due paesi sono l’uno contro l’altro, si aspettava queste conclusioni semplicemente perché non c’è stata nessuna collusione tra le due potenze.

Questa farsa deve essere apparsa ridicola a molti che reclamano per intero la verità su questa pericolosa vicenda se perfino Saturday Night Live, la nota trasmissione satirica del sabato sera, si è scomodata e ne ha fatto uno sketch. De Niro che impersonava Mueller, una nota comica della trasmissione, Aidy Bryant, che ricopriva la parte di William Barr e Alec Baldwin, ormai un sosia di Trump, nelle vesti del presidente, hanno scherzato sul fatto che delle innumerevoli pagine che Mueller (nella foto sopra) ha consegnato ne siano state rese note solo quattro e che in futuro il materiale che verrà dato al pubblico sarà emendato delle parti che, si è detto, sono top secret. Con un chiaro riferimento al fatto che a essere espunti saranno gli elementi controversi della collusione con la Russia, Baldwin-Trump ha mostrato un foglio in cui le parti non censurate erano solo due righe. Il resto, tutto oscurato.

Al di la dell’amara ironia che si può fare sulla vicenda, c’è qualcosa di veramente grave che invece va sottolineato. Fareed Zakaria, il più noto e rispettato editorialista della CNN che scrive anche sul Washington Post, ha, nella sua ultima trasmissione domenicale, GPS, sottolineato il fatto che il presidente oltre a dover rendere pubblica la sua dichiarazione dei redditi che ancora non è apparsa, non dovrebbe potere licenziare le persone che stanno investigando su di lui come invece ha fatto e continua a fare. E il Ministro della Giustizia non dovrebbe rispondere a questioni di politica. Ma, si chiede il giornalista, rivolgendo la domanda agli esperti in questioni giuridiche in studio con lui: ci sarà un processo? La risposta è che è ancora troppo presto. La palla è stata appena rilanciata da Mueller al Congresso che dovrebbe approfondire la questione puramente in termini di crimini e infrazioni che da soli potrebbero preludere a un impeachment. Ma, secondo Zakaria, tutto ciò rimanda a qualcosa di più grave che riguarda l’eccessivo potere del presidente e i rapporti tra i poteri dello Stato. Sono infatti sempre meno chiari. Le interferenze sono sempre più frequenti e aspettarsi che un potere indaghi su se stesso è impossibile. Sarebbe auspicabile che tutti i poteri dello Stato fossero più attenti all’indipendenza di ciascuno. Le diverse branche di esso dovrebbero investigare meno in superficie e più in profondità sulla natura dei loro ruoli. Dunque è l’essenza della democrazia ad essere messa in discussione.

Il capo della Commissione dell’Intelligence, il democratico Adam Schiff, ha fatto osservare che al di là delle conclusioni che non provano la colpevolezza di Trump ci sono altri elementi allarmanti. E in un discorso retoricamente costruito sulla ripetizione di quello che per i repubblicani è diventato “ok” ha incluso l’accettazione di fare numerosi meeting con la diplomazia russa da parte della famiglia Trump e dei suoi amici e poi mentire al proposito; la facoltà di chiedere pubblicamente aiuto a una potenza straniera per gettare fango sulla candidata democratica come ha fatto Trump durante la campagna elettorale, quella di alterare i sondaggi, la scelta di avere rapporti con Wikileaks, quella di concludere affari approfittando della posizione di potere che si potrà conquistare. Concludendo alla fine, che, per lui, tutto ciò non è affatto ok. E ha chiesto ai colleghi di rinsavire, perché se anche questo non è un comportamento criminale non solo è “immorale, contro ogni principio etico, antipatriottico ma è soprattutto indice di corruzione… E il giorno che l’America accetterà tutto ciò si sarà persa per sempre”

Facebooktwitterlinkedin