Il mondo visto dalla parte degli ultimi
Emergenza diritti
«Non credo che sia stato l’atteggiamento di diffidenza nei confronti della democrazia ad aver messo in pericolo i diritti umani: quell’idea era già indebolita. I populismi sono stati solo la conseguenza di questo indebolimento». Parla Eleonora Mongelli, vicepresidente del Comitato Italiano Helsinki
I diritti umani in questo ultimo decennio sembrano in declino. Per fortuna però ci sono alcune associazioni e Ong che combattono contro questa deriva autoritaria. Tra di loro vi è la Federazione Italiana Diritti Umani-Comitato Italiano Helsinki (in sigla FIDU ETS). Un ente attivo dal 6 ottobre 1987 con la costituzione del Comitato Italiano Helsinki per i diritti umani. Per conoscere il suo lavoro ne parliamo con il Vicepresidente Eleonora Mongelli.
Di cosa si occupa la FIDU?
La FIDU opera in Italia e all’estero per diffondere la conoscenza dei diritti umani, monitorarne e denunciarne le violazioni, portarle all’attenzione della comunità internazionale e creare maggiore sensibilità nell’opinione pubblica. L’organizzazione mira a influenzare gli Stati affinché rispettino nei fatti gli impegni sottoscritti sui diritti umani.
Quali paesi seguite in particolare?
La FIDU, oltre all’Italia, nascendo nel 1987 come Comitato Italiano Helsinki, dedica un’attenzione particolare all’Europa centro-orientale, alla Russia, al Caucaso e all’Asia centrale ex sovietica. Tuttavia, seguiamo, attraverso missioni di advocacy e di monitoraggio dei diritti umani, anche l’area del Mediterraneo meridionale. Ci occupiamo anche dell’abolizione della pena di morte nel mondo e della lotta alla schiavitù in molti paesi tra cui l’Africa e in particolare la Mauritania. Uno Stato in cui esiste ancora, di fatto, la schiavitù e in cui la FIDU è impegnata con una campagna che sostiene la lotta democratica e nonviolenta del movimento abolizionista mauritano guidato da Biram Dah Abeid. Fra gli altri Paesi oggetto di nostre campagne specifiche vi sono l’Iran e il Venezuela.
Sei appena tornata dall’Ucraina…
Sì, abbiamo appena concluso una missione di monitoraggio dei diritti umani in Ucraina, organizzata dalla FIDU insieme alla Open Dialogue Foundation e al Center for Civil Liberties. Siamo stati sia a Kiev che a Odessa, a pochi giorni dal primo turno delle elezioni presidenziali. I principali focus del monitoraggio sono stati la lotta alla corruzione delle amministrazioni locali, la situazione dei prigionieri politici ucraini detti “ostaggi del Cremlino” nella Crimea occupata e nella Federazione Russa, nonché il quadro politico del Paese, sospeso tra l’avvicinamento all’Europa comunitaria e le problematiche del conflitto in corso nel Donbass. È stato molto interessante incontrare attivisti e giornalisti che lottano quotidianamente contro la corruzione delle amministrazioni locali, alcuni dei quali vittime di duri attacchi da parte di gruppi criminali non identificati, rappresentanti di ONG, autorità istituzionali e familiari di prigionieri politici, tra cui la figlia di Edem Bekirov, cittadino ucraino della minoranza tatara detenuto illegalmente in Crimea nonostante le sue condizioni di salute gravissime e il cui caso ha attirato l’attenzione dell’UE e di molte organizzazioni per i diritti umani.
È difficile parlare di diritti umani nell’era di Trump, Putin, Jinping e dei populismi?
Ci troviamo certamente in un momento storico particolarmente difficile per la tutela dei diritti umani che è iniziato però prima che il termine “populismo” entrasse nel nostro vocabolario quotidiano. Non credo che sia stato l’atteggiamento di diffidenza nei confronti della democrazia e delle istituzioni, diffuso negli ultimissimi anni e che ha portato poi alla Brexit, alla presidenza di Trump e ad altri governi cosiddetti “populisti” nel mondo, ad aver messo in pericolo lo stato dei diritti umani. Credo che l’idea dei diritti umani fosse già indebolita e che i populismi siano stati solo la conseguenza di questo indebolimento. Dagli anni 70 agli anni 90, in particolare in seguito agli Accordi di Helsinki del 1975, i diritti umani hanno fatto notevoli passi avanti ma, a partire dall’11 settembre 2001, abbiamo assistito, invece, ad una graduale contrazione dei diritti e dell’idea stessa di Stato di diritto, ovunque, anche in quei Paesi che avevano svolto un ruolo chiave nella promozione dei principi degli Accordi di Helsinki. Questo fa sì che la situazione odierna, riguardante i diritti e le libertà fondamentali, sia effettivamente più difficile che in passato. Lo vediamo in Cina, in Russia, negli Stati Uniti, in Paesi dell’Europa centro-orientale come la Polonia e l’Ungheria, che tanto hanno lottato per il raggiungimento della democrazia, ma che in questi ultimi tempi vivono una pericolosa deriva autoritaria. Lo vediamo perfino in Italia, sia nell’atteggiamento diffuso nei confronti delle politiche migratorie e nella legislazione che ne consegue, sia nel dibattito quotidiano in cui vengono messi in discussione principi già acquisiti da tempo, come il diritto all’aborto o il principio della funzione rieducativa della pena.
Vi è qualche esempio positivo?
L’ultimo rapporto di Freedom House ci informa che i diritti politici e le libertà civili sono in regressione in 68 Paesi, mentre solo 50 Paesi hanno fatto dei passi avanti. Si registra un sorprendente miglioramento, seppure fragile, in Armenia, Etiopia, Angola e Ecuador, mentre nella classifica globale le prime tre posizioni sono occupate da Finlandia, Norvegia e Svezia.